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Racconti Matti

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Era una mattina di luglio quando Antonio, un tranquillo automobilista napoletano, si svegliò con una missione: andare al Comune per sbrigare una pratica. Con l’ottimismo che solo un buon caffè napoletano può dare, Antonio si infilò nella sua vecchia Fiat Panda e si mise in strada.
“Non sarà così difficile,” pensò, mentre lasciava il garage. Ah, se solo avesse saputo cosa lo aspettava!
Appena girato l’angolo, si trovò di fronte al primo ostacolo: una fila di auto parcheggiate in seconda fila. Antonio sospirò e iniziò a suonare il clacson, sperando che i proprietari si materializzassero magicamente per spostarle. Ma a Napoli, si sa, le auto in seconda fila sono come monumenti storici: nessuno le tocca.
Dopo una lunga attesa e qualche imprecazione sottovoce, un anziano signore con un passo da lumaca si avvicinò alla prima macchina. “Sto arrivando, sto arrivando!” gridò, mentre Antonio cercava di mantenere la calma. Quando finalmente l’auto si mosse, Antonio proseguì lentamente, come un esploratore in una giungla urbana.
Superata questa prova, si ritrovò in un viale affollato. Qui, la gente attraversava la strada come in un gioco di calcio: da tutte le parti, tranne che sulle strisce pedonali. Antonio si fermò ogni cinque metri per evitare di investire qualcuno. A un certo punto, una nonnina con un cesto di pane apparve improvvisamente davanti a lui. Antonio frenò di colpo, mentre la nonnina, con un sorriso angelico, lo salutava come se fosse un vecchio amico.
“Nonna, ma dove vai?” pensò Antonio, scuotendo la testa. Era evidente che a Napoli le regole del traffico erano più delle linee guida.
Dopo mezz’ora di avanzamento lento e tortuoso, Antonio raggiunse una piazza dove c’era un altro ostacolo: un mercato rionale. Le bancarelle invadevano la strada e i clienti passeggiavano come se fossero in un parco. Antonio suonò il clacson, ma un venditore di frutta gli lanciò uno sguardo di rimprovero, come se il suo tentativo di passare fosse un oltraggio personale.
Finalmente, con pazienza e destrezza, riuscì a superare anche il mercato. Il Comune era ormai in vista. Ma, come in una perfetta beffa del destino, un camion dei traslochi bloccava l’ultima strada. Antonio sospirò profondamente e cercò di farsi largo, ma il camionista, con la calma di un monaco buddista, lo informò che ci sarebbe voluta almeno un’ora per finire.
Rassegnato, Antonio parcheggiò l’auto e decise di fare l’ultimo tratto a piedi. Attraversò il caos del traffico e le strade affollate, evitando miracolosamente altre auto in doppia fila, venditori ambulanti e pedoni indisciplinati.
Quando finalmente arrivò al Comune, sudato e stanco, si rese conto che gli sportelli erano chiusi per la pausa pranzo. Con un sorriso amaro, Antonio si sedette su una panchina, pensando che a Napoli anche le missioni più semplici si trasformano in epiche avventure.
E così, il nostro eroe automobilista capì che, per sopravvivere al traffico di Napoli, ci vogliono non solo pazienza e abilità, ma anche un bel po’ di senso dell’umorismo.
In una piccola città, un arzillo vecchietto di nome Alfredo, noto per il suo spirito vivace e la sua invidiabile energia nonostante i suoi 80 anni. Un giorno, Alfredo si svegliò con un dolore lancinante al ginocchio, probabilmente frutto delle sue recenti “avventure” di giardinaggio estremo. Decise che, per la prima volta in anni, avrebbe fatto una visita al Pronto Soccorso.
Con passo lento ma deciso, Alfredo si diresse verso l’ospedale locale. Quando varcò la soglia del Pronto Soccorso, fu accolto da un’infermiera giovane e sorridente che gli consegnò un modulo da compilare. Alfredo, con gli occhiali scivolanti sul naso, prese una penna e iniziò a scrivere, aggiungendo qualche commento personale tra le righe per rendere la lettura più interessante ai medici.
Terminata la burocrazia, si accomodò nella sala d’attesa, che sembrava più affollata di un concerto rock. Si sedette accanto a una giovane madre con un bambino che non smetteva di piangere e a un ragazzo con un braccio ingessato, chiaramente reduce da una battaglia epica contro uno skateboard.
Le prime due ore passarono tra il tentativo di capire le trame delle telenovele in TV e l’ascolto dei racconti della vita del vicino di sedia, un uomo con un mal di denti che sembrava deciso a condividere ogni dettaglio del suo dolore. Alfredo, però, non si scoraggiò. Cominciò a chiacchierare con gli altri pazienti, dispensando saggezza e aneddoti della sua lunga vita. Raccontò di come, negli anni ’60, aveva viaggiato in tutta Europa su una Vespa e di come una volta avesse scalato l’Etna con una sola scarpa.
Dopo quattro ore, Alfredo cominciò a pensare che forse aveva preso la residenza permanente nella sala d’attesa. Chiese ad un’infermiera quanto ancora avrebbe dovuto aspettare, ricevendo in cambio un sorriso incerto e un vago “Non dovrebbe mancare molto”. Decise di ingannare il tempo leggendo un giornale vecchio di una settimana trovato su una sedia. Scoprì con sorpresa che, nonostante l’età del giornale, la situazione politica non sembrava affatto cambiata.
Dopo sei ore, la fame iniziò a farsi sentire. Alfredo tirò fuori un panino che aveva saggiamente portato da casa, condividendolo con un ragazzo affamato che aspettava con una caviglia gonfia. Il Pronto Soccorso era diventato per lui una piccola comunità temporanea, un luogo dove aveva stretto nuove amicizie e dove le ore, anche se lente, passavano con un certo umorismo.
Finalmente, dopo otto ore, il nome di Alfredo fu chiamato. Si alzò con un gesto teatrale, come se fosse il protagonista di un film che finalmente raggiunge l’apice. Entrato nella sala visite, fu accolto da un giovane dottore visibilmente stanco. Dopo una rapida visita e qualche radiografia, il verdetto fu una semplice infiammazione, curabile con un po’ di riposo e qualche antidolorifico.
Alfredo lasciò l’ospedale con un sorriso, ringraziando tutti per la loro pazienza e augurando una buona serata ai nuovi amici della sala d’attesa. Tornando a casa, pensò che l’odissea del Pronto Soccorso fosse stata una delle sue avventure più memorabili, non tanto per il dolore al ginocchio, quanto per l’esperienza umana e l’ironia della vita che si manifesta nei luoghi più inaspettati.
E così, con il cuore leggero e il passo lento ma sicuro, Alfredo si incamminò verso casa, pronto a raccontare la sua avventura alla famiglia, sicuro che avrebbe suscitato risate e forse un pizzico di invidia per aver trasformato una giornata al Pronto Soccorso in un’epica storia di vita.
In una grande città, un impiegato di nome Giovanni, noto tra i colleghi per la sua puntualità e la sua dedizione al lavoro. Un giorno, Giovanni doveva affrontare una giornata particolarmente importante, con una riunione cruciale e una presentazione che avrebbe potuto decidere il futuro del suo progetto. La cosa più ironica di questa giornata? Giovanni aveva promesso di arrivare in ufficio in anticipo, come un eroe moderno.
La giornata iniziò con Giovanni che uscì di casa con grande entusiasmo. Salì sul suo scooter, che gli aveva promesso di portarlo in ufficio in un battito di ciglia, ma che invece aveva deciso di avere un mal di pancia di meccanica. Dopo un’ora passata a cercare di accendere il motore, Giovanni decise di abbandonare il suo fidato mezzo e di prendere la metropolitana.
Arrivato alla fermata della metropolitana, Giovanni fu accolto da una scena che sembrava uscita direttamente da un film di fantascienza: il tabellone elettronico mostrava che il prossimo treno sarebbe arrivato tra 20 minuti, ma l’orario non era stato aggiornato dal 1983. Decise allora di farsi forza e aspettare, osservando con divertimento e crescente ansia i turisti che lo circondavano, mentre pensava a quanto sarebbe stato più semplice se avesse potuto viaggiare con un razzo.
Finalmente, il treno arrivò, ma solo per scoprire che il vagone era affollato come una scatola di sardine. Giovanni, che si era abituato a viaggi comodi e senza stress, si ritrovò inchiodato a una maniglia e appiccicato a una signora con un profumo di cucina etnica piuttosto persistente. Il viaggio sembrava interminabile, e Giovanni cercava di rimanere calmo mentre il treno si fermava ogni due minuti per motivi sconosciuti.
Quando finalmente il treno arrivò alla sua fermata, Giovanni corse giù per le scale della metropolitana, solo per scoprire che l’uscita era bloccata per lavori di ristrutturazione. Con il cuore in gola e la bocca secca come il deserto, cercò un’uscita alternativa. Dopo aver vagato per un labirinto di tunnel sotterranei e aver chiesto indicazioni, Giovanni riuscì a emergere in superficie, solo per trovare una folla di manifestanti in strada.
Dopo aver tentato di schivare persone e cartelli, Giovanni si rese conto che aveva perso completamente l’orientamento. Decise di consultare il GPS del suo smartphone, che fortunatamente si era connesso, ma il suo tragitto era bloccato da una maratona cittadina. Così, dovette trovare un percorso alternativo, che si rivelò essere un dedalo di vicoli stretti e negozi di souvenir.
Finalmente, Giovanni raggiunse il suo edificio, solo per scoprire che il suo ufficio si trovava al ventesimo piano di un grattacielo senza ascensore in funzione. Nonostante avesse il fiato corto e le gambe come pasta frolla, Giovanni iniziò a salire le scale, pensando che la riunione sarebbe stata la sua salvezza e un’occasione per mettersi alla prova.
Arrivato finalmente in cima, con la camicia fradicia di sudore e i capelli spettinati, Giovanni entrò in ufficio con un sorriso trionfante e un respiro affannoso. I colleghi lo accolsero con sguardi stupiti, ma non per la sua presentazione, che era stata, per sua fortuna, rimandata per un problema tecnico. La riunione si svolse senza problemi, e Giovanni si rese conto che il vero successo della giornata era stato riuscire a sopravvivere a quella odissea urbana.
Alla fine della giornata, Giovanni tornò a casa con la consapevolezza che, nonostante le avventure e gli imprevisti, l’importante era che fosse riuscito a mantenere il suo spirito e a trovare l’ironia in ogni situazione. E così, con un sorriso sulle labbra, decise che, in futuro, avrebbe valutato seriamente l’idea di usare un razzo per i suoi spostamenti quotidiani.
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