
Napoli, anno del Signore 1666.
Sono passati appena dieci anni dall’epidemia di peste che ha falcidiato 250.000 napoletani, più della metà degli abitanti. Dove allora scavarono le fosse comuni adesso è fiorito l’aneto e l’erba profumata. L’aria odora di spezie e rugiada, le strade brulicano di voci: mercanti e mendicanti, peccatori e santi sotto lo stesso cielo azzurro terso. Presso l’archivolto di Port’Alba, dove i viandanti passano per raggiungere uno dei più grandi mercanti cittadini, una ragazza dai fluenti capelli rossi si ferma ogni giorno accanto al vecchio “abbeveratoio del Mercatello”.
Maria, quest’è il nome della ragazza, è nota nel quartiere. Vive sola poco distante, in un piccolo casale costruito all’ombra silenziosa della Chiesa della Redenzione dei Captivi, all’angolo di via San Sebastiano. Lì, tra i muri umidi e le preghiere mormorate a fior di labbra, si prende cura dei poveri, dei malati, dei reietti che nessuno vuole accudire. Sono gli schiavi riscattati dai pirati saraceni, spezzati nel corpo e nello spirito dai remi delle galee musulmane. Le mani di Maria ‘a rossa, delicate e gentili, distribuiscono cibo, lavano ferite, accarezzano i capelli dei moribondi. È una pia ragazza, devota, sempre pronta a spendere un sorriso e un aiuto.
Poi lo incontrò. Un giovane dal volto severo e dagli occhi brucianti di brace viva, troppo belli per essere onesti. Lui arringa la folla con voce ferma, predica la virtù, ammonisce contro il peccato. Ma quando gli sguardi di Maria e del predicatore si incrociano, qualcosa in loro due si spezza. Nessuna parola, nessuna promessa. Solo incontri rubati alla routine, sguardi furtivi tra la gente, e poi baci appassionati nel bosco di sciuscelle (carrube) che si inerpica, silenzioso e ruffiano, lungo la collina della Costagliola.
L’amore li divorò come un incendio. Decisero di fuggire. Lei lo avrebbe aspettato oltre la Porta delle mura, dove la città diventava prima orti e poi campagna, dove nessuno li avrebbe trovati. Ma quella notte senza luna, mentre il vento le scompigliava i rossi capelli e il cuore le batteva impazzito, lui non venne. Maria lo attese fino all’alba, poi fino alla notte successiva, e quella dopo ancora. Lo maledisse. Lo pianse. Ma lui non varcò mai la soglia di Port’Alba. Non perché non volesse. Ma perché scelse altrimenti. Il giovane dagli occhi di brace era un frate e, all’ultimo istante, con il piede già oltre il confine tra la sua vecchia vita e quella nuova, aveva scelto Dio.
Maria non torna più a casa: l’ospizio, i poveri, la preghiera… tutto ciò che un tempo aveva amato ora le sembra inutile e fatuo. ’A rossa vaga inebetita per giorni, prima tra la campagna poi nella mala selva fino ad addormentarsi, esausta, presso la Grotta degli Sportiglioni… In quel triste luogo, discarica secolare per le ossa dei poveri morti lontano dalla Grazia di Dio, dimorano, indisturbati, i negromanti e le maliarde più pericolose.
Una vecchia, una janara dai capelli bianchi e dagli occhi neri come il fondo della fontana degli incanti, la ridesta dal sonno. Le parla melliflua, alimenta il suo odio facendolo divampare come incendio. Le dice che l’amore non muore, ma si trasforma in odio. Lei può aiutarla a vendicarsi del mondo che l’ha derisa, dell’uomo che l’ha abbandonata senza nessuna pietà, insegnandole l’arte degli ‘nciarmi e delle fatture a morte. Maria ‘a rossa accetta, vuole quel potere diabolico, desidera la rivalsa. Torna in città dopo poco e tutti notano il suo cambiamento; ora ha veleno nelle mani e parole accattivanti che ardono sulla lingua. La sua bellezza radiante attira uomini e donne, sventurati che cercavano nei suoi filtri una speranza, un desiderio, un destino finalmente d’amore.
Ma lei non vende amore. Lei dona la morte. Uno dopo l’altro, gli sprovveduti innamorati cadono vittime del tranello d’a rossa: sostanza letale estratta dalla cantarella al posto delle violette e il gioco è fatto. I destinatari dei suoi filtri d’amore sono condannati a una tremenda morte. Uomini si contorcono nel letto, donne impazziscono dal dolore, cuori battono fino a scoppiare. Tra la gente del mercatello il suo nome viene solo sussurrato con timore: “Maria ‘a rossa è addiventata ‘na Janara…”
Gli inquisitori di San Domenico Maggiore la osservarono a lungo, fino al giorno in cui decisero che la strega doveva essere fermata. Maria fu catturata all’alba, portata via con le mani legate da corde benedette, trascinata davanti al tribunale nella sala del capitolo. Lì, nel buio dell’aula del convento, la rossa fu trascinata davanti al suo giudice.
Era lui. Il frate. Il predicatore. L’uomo che non aveva mai osato varcare la soglia di Port’Alba. La strega rimase muta, non chiese perché, non chiese niente. Il giudice firmò la sua condanna con la mano che tremava appena.
Maria non si difese. Non gridò sotto la tortura del cavalletto, né alla pena della corda che le disarticolo gambe e braccia rendendola simile a una tragica bambola rotta. Non chiese pietà.
Fu rinchiusa in una gabbia di ferro e appesa sotto l’archivolto di Port’Alba. Giorni e notti passarono mentre la gente, che un tempo aveva desiderato i suoi filtri e i suoi servizi, ora si fermava a insultarla, a sputarle addosso, a riderle in faccia mentre lei, secca e morente, li guardava con occhi che non avevano più lacrime, solo odio.
L’ultimo giorno d’inverno del 1666, quando la vita l’abbandonò, un urlo squarciò la città. Un vento gelido si alzò tra i vicoli, spezzò le candele nelle chiese, spense il fuoco nei focolari. Maria non era più di questo mondo. Il suo corpo fu bruciato nel Campo del Mercatello, le sue ceneri disperse lontane dalle fosse del grano.
Ma non il suo spirito, da allora, Port’Alba è maledetta. Gli innamorati che osano passare sotto la Porta non troveranno mai pace. Se si baciano, la morte si insinua tra le loro labbra. Se si stringono, il vento li separa. Se si amano, il destino li condanna a dividersi. Perché Maria ‘a Rossa non perdona. E il suo odio è eterno.
Il linguaggio oscilla tra un italiano letterario e inserti dialettali (‘nciarmi, janara, addiventata) che funzionano come piccole scosse elettriche nel tessuto narrativo, ricordandoci che siamo in un territorio linguistico ibrido, proprio come ibrida è la protagonista.
Mi verrebbe da dire: “povera strega!” Vivere in un mondo di uomini troppo abituati a giocare con le vite delle persone, soprattutto quelle delle donne. Grazie mille per il commento Raff