Manipolazione

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Era inevitabile e facilmente prevedibile la reazione di Giorgia Meloni all’imponente manifestazione del 15 marzo a favore dell’Unione Europea, che ha visto confluire decine di migliaia di persone nelle piazze per esprimere la loro entusiastica approvazione all’idea rivoluzionaria — per il periodo e le condizioni in cui fu formulata – di ambire alla formazione degli Stati Uniti d’Europa, in un tempo in cui l’Europa era dilaniata dalle guerre e nel quale fascismo e nazismo soffocavano la libertà dei cittadini. La nostra Premier, però, ha esagerato e si è spinta troppo oltre nella critica spietata del Manifesto di Ventotene, tirando in ballo anche Eugenio Scalfari, morto ormai da tempo, che in alcuni suoi editoriali a suo tempo avrebbe esaltato l’oligarchia al posto della democrazia, con l’aggravante che il chiamato in causa non può difendersi e spiegare le ragioni delle sue idee.

Per ottenere il risultato sperato, contando anche sul fatto che la maggior parte dei cittadini non ha letto, per lo meno non attentamente, il Manifesto di Ventotene, ha fatto un’operazione chirurgica di “taglia e cuci”, con una manipolazione selettiva e strumentale di un testo scritto nel 1941, sotto le bombe dell’Asse e sotto il tallone del Duce, sul quale l’Europa ha pensato e costruito se stessa non più solo come civiltà, ma anche comunità. Alla nostra Premier non è bastato occultare la verità narrando di Altiero Spinelli transfuga dal PCI già nel 1938, di Ernesto Rossi azionista liberale ed Eugenio Colorni massacrato e ucciso dalle camicie nere nel 1944. La memoria selettiva di Meloni ha trascurato di ricordarci che in quegli stessi anni nei quali nasceva il sogno europeo, Giorgio Almirante, padre putativo della destra tricolore e fondatore del Msi, dal quale poi derivarono An e poi FdI, riversava il suo delirio xenofobo e antisemita su La difesa della razza: “Il razzismo ha da essere cibo di tutti e per tutti … Il razzismo nostro ha da essere quello della carne e dei muscoli … non c’è che un attestato con il quale si possa imporre l’altolà al meticciato e all’ebraismo: l’attestato del sangue”.

La Premier si è dichiarata sconvolta dalle parole sulla proprietà privata contenute nel Manifesto e sulla incapacità dei cittadini comuni di autodeterminarsi. Ecco perché ha detto, e quasi tutti i giornali nazionali lo hanno riportato in prima pagina, che lo spirito di Ventotene non le appartiene. Non c’era bisogno che ce lo ricordasse, conosciamo già la sua “matrice”, ed era inevitabile che cercasse di buttar giù il totem di Ventotene, anche a costo di manipolare la storia e le dichiarazioni di alcuni. La signora capo del governo con le sue esternazioni ha oltraggiato, forse senza saperlo, la memoria di quanti hanno combattuto in nome dell’Europa prima dall’esilio, poi dalle fila della Resistenza per restituire all’Italia la dignità, che il fascismo aveva distrutto, agli italiani la loro libertà. Giorgia Meloni è diventata una specialista delle citazioni monche che chissà chi gliele prepara a misura delle sue piccole polemiche. Ma questa volta ha raggiunto il culmine di ciò che è scandaloso con il Manifesto di Ventotene fatto a brandelli per ridurlo alla dimensione d’una polemica parlamentare, ignorando l’integrità del testo, il tempo, il luogo, la condizione di prigionieri del fascismo degli autori, quali che fossero allora i riferimenti politici correnti. Ignorando soprattutto che da quel Manifesto sarebbe poi venuta l’Italia democratica e repubblicana, lo Stato sociale di cui tutti abbiamo beneficiato. Non si può fare sfoggio di citazioni distorte per ammantare con parole altrui le proprie approssimative conoscenze. Ma gli italiani hanno un difetto: sono pigri, pigri e indifferenti; mi chiedo quanti di loro hanno letto il Manifesto da cima a fondo, soppesandone i contenuti alla luce del tempo in cui furono scritti.

E a proposito dell’indifferenza degli italiani a fronte della situazione disastrosa del nostro Paese nei settori nevralgici della sanità, della fiscalità, del lavoro (che non si trova), non può non venirmi in mente che già nel 1917 Antonio Gramsci aveva gridato la sua indignazione contro gli indifferenti (Odio gli indifferenti. Chiare Lettere 2011). A quel tempo aveva solo 26 anni ma aveva le idee molto chiare. Aveva scritto: “Credo che vivere voglia dire essere partigiani. Chi vive veramente non può non essere cittadino e partigiano. L’indifferenza è abulia, parassitismo, è vigliaccheria, non è vita. L’indifferenza è il peso morto della storia. È la materia bruta che strozza l’intelligenza. Il male che si abbatte su tutti, avviene perché la massa degli uomini abdica alla sua volontà, lascia promulgare le leggi, che solo la rivolta potrà abrogare, lascia salire al potere uomini che poi solo un ammutinamento potrà rovesciare. Tra l’assenteismo e l’indifferenza poche mani tessono la tela della vita collettiva, e la massa ignora, perché non se ne preoccupa; e sembra che sia la fatalità a travolgere tutto e tutti”. Parole che trovano una eco più di vent’anni dopo nel Manifesto, nel quale gli autori scrissero: “Il popolo ha sì alcuni fondamentali bisogni da soddisfare, ma non sa con precisione cosa volere e cosa fare. Mille campane suonano alle sue orecchie. Con i suoi milioni di teste non riesce a orientarsi, e si disgrega in una quantità di tendenze in lotta fra loro”. Queste parole le abbiamo lette ripetute volte quando abbiamo parlato di democrazia e di altre forme di governo nelle quali il popolo è considerato impreparato a fare delle scelte consapevoli e va dietro all’imbonitore di turno con le sue promesse che non saranno mai realizzate. Accusare, perciò, il Manifesto di propugnare che l’unica forma di democrazia è l’oligarchia, attribuendo queste parole a un editoriale di Eugenio Scalfari di tanti anni fa, del quale bisognerebbe aver letto tutto il contesto, è un atto finale di propaganda di regime. Come scrive Massimo Giannini su la Repubblica: «La presidente del consiglio che, scimmiottando l’attitudine dei despoti studiati da Hannah Arendt, non è una «bugiarda qualsiasi», ma è capace di menzogne che nella loro enormità ambiscono a generare «una nuova realtà». La statista trasformata in anti-Stato che nel tempio della democrazia rappresentativa consuma un’impostura istituzionale, mescolando falsità, ipocrisia, nichilismo. Non le bastava l’ennesimo stupro della storia compiuto alla Camera, trattata da aula sorda e grigia e poi incendiata a colpi di molotov ideologiche contro i padri fondatori dell’Unione europea. Non le bastava imbrattare con il fango il ricordo di tre eroi perseguitati dalla dittatura fascista, confinati in un’isoletta del Tirreno e ora sviliti ad agenti provocatori del bolscevismo rosso, nemici del popolo e della proprietà privata. Non le bastava la manipolazione selettiva e strumentale di un testo visionario scritto nel 1941 … Non le bastava tutto questo. La Sorella d’Italia ha voluto aggiungere ancora una dose di veleno, alla pozione già altamente tossica impastrocchiata a palazzo Chigi dai patrioti al servizio del Rasputin post-missino Giovanbattista Fazzolari; quelli che da giorni incubavano “l’operazione Ventotene”, che ne avevano dettato subito l’infame contronarrazione ai giornali-cognati e che adesso, in piena trance delmastriana, provano intima gioia nell’aver teso “la trappola alla sinistra” e nell’aver abbattuto il “muro rosso”. Come se il Manifesto di Spinelli e Rossi fosse il Manifesto di Marx e Engels. Come se il federalismo europeo fosse lo stalinismo sovietico. Quella dose supplementare di veleno ci riguarda direttamente, perché integra il piano di killeraggio politico orchestrato contro i cinquantamila europeisti irriducibili chiamati a Roma una settimana fa. Bisognava buttare giù ad ogni costo il totem di Ventotene intorno al quale quella piazza si era riunita».

Tornando agli indifferenti di Gramsci, molto prima di lui Dante aveva individuato e punito gli ignavi nell’Antinferno. Nudi, tremanti, gli ignavi sono coloro “che mai non fur vivi”, oggi sono quelli che figurano in fondo ai sondaggi, capaci solo di rispondere “non so, non ricordo” nel timore di prendere una qualunque posizione. Quindi, ancora una volta è ai cittadini — ed elettori — che ci rivolgiamo. L’Italia dorme, dorme per la verità l’intero Occidente, i risultati si vedono e non sono soltanto politici, incidono sul costume, il tempo libero, la manipolazione delle notizie e dei consumi, la cancellazione della storia. La piazza del 15 marzo ha fatto rivivere ad alcuni di noi il grido di Stephane Hessel, diplomatico tedesco di lungo corso; dovremmo davvero indignarci, prima ancora dovremmo finalmente svegliarci, sarà possibile tenerlo vivo lo spirito di quella piazza? Non lo sappiamo, ma sappiamo ciò che scrissero Spinelli e Rossi a conclusione del loro lavoro: “La via da percorrere non è facile né sicura. Ma deve essere percorsa, e lo sarà”.

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