
*L’espressione Nacht und Nebel (“Notte e nebbia”), ispirata ad un’opera di Wagner, fu usata dal regime nazista per indicare un decreto segreto emanato da Hitler l’8 dicembre 1941. Questo decreto autorizzava la cattura e la deportazione segreta di oppositori politici e partigiani nei territori occupati, con l’obiettivo di farli sparire, come nebbia nella notte, senza lasciare traccia. I prigionieri venivano trasferiti nei campi di concentramento o giustiziati in segreto, in modo che le loro famiglie non ricevessero alcuna notizia su di loro. L’idea era quella di seminare terrore tra la popolazione e scoraggiare ogni forma di resistenza.
La città si sveglia nel grigiore di un’alba senza colori. Il cielo è un ammasso uniforme, un tetto basso di nuvole dense che soffocano i raggi di un sole celato. Camminando per le strade, si avverte una tensione costante, come se l’aria fosse carica di elettricità, pronta a esplodere in una tempesta che tutti aspettano ma che nessuno riesce a veder arrivare. I monitor nelle vetrine e i notiziari trasmessi dai droni sopra i palazzi ripetono la stessa litania: “crisi, pericolo, nemico”. Le immagini si susseguono in un flusso continuo, un misto di paura ed aggressività, alimentando un clima d’odio che non lascia spazio alla comprensione. La manipolazione dei media è un’arte raffinata, un gioco di specchi che confonde la realtà, unendo verità e menzogna in un’unica narrazione studiata a tavolino. Nelle case, l’incertezza economica si riflette in tavole sempre più vuote e in notti insonni passate a calcolare spese e debiti. La corruzione morale e politica permea ogni istituzione: chi comanda ride nelle stanze ovattate del potere, mentre nelle strade la gente si azzuffa per un posto di lavoro o un piatto di cibo.
La laicizzazione forzata ha svuotato ogni simbolo del suo significato, lasciando solo simulacri di credenze senza anima. Il clima mondiale fortemente compromesso rende l’aria pesante, le tempeste più violente, le terre aride e sterili. Eppure, nessuno sembrava più preoccuparsene davvero. Ci sono problemi più immediati, più urgenti, più vicini alle miserie quotidiane. L’intelligenza artificiale ha soppiantato il pensiero critico. Ogni scelta è demandata ad algoritmi che calcolavano le possibilità di successo, riducendo gli individui a semplici profili di consumo e produttività. La fiducia nelle istituzioni è una utopia, ma la gente continua ad obbedire per abitudine, per mancanza di alternative, per paura di essere esclusa.
Lo svuotamento dell’Io è la vera malattia. Nessuno è più capace di provare empatia, perché l’incompetenza sociale e affettiva si è diffusa come un virus, trasmessa da schermi e dispositivi che insegnano a interagire senza toccarsi, a parlare senza ascoltare, a guardare senza vedere. L’ignoranza ha creato una generazione di schiavi consenzienti, incapaci di immaginare un’alternativa, di concepire un futuro diverso. Di contrasto, il parossismo estetico domina ovunque: corpi levigati, sorrisi forzati, vite filtrate attraverso immagini che non sono mai reali. I falsi valori regnano sovrani: competitività, ambizione, culto della sopraffazione. Il ritorno al pensiero totalitario è nell’aria, nei discorsi della gente comune, nelle leggi che vengono approvate senza opposizione. Le disparità sociali sono insanabili. I pochi privilegiati si muovono in città dorate, protetti da muri e guardie armate, mentre i molti sopravvivono nei quartieri dimenticati, tra violenza e disperazione. La diseguaglianza manifesta tra generi, etnie, è diventata la normalità, un dogma accettato senza ribellione. E così la società viaggia, Im Nebel, nella nebbia. Navigando a vista lungo coste di mari sempre più noti, senza timone, senza rotta. Il diverso è il nemico, il prossimo un avversario. Il mondo si avvia verso la guerra totale per l’interesse di pochi, e nessuno si ferma a chiedersi se esistesse ancora un modo per fermarla.
Nella nebbia.
La bambina si chiama Luce. Ha sei anni, ma il tempo sembra non avere più molto senso. Non ricorda quando ha visto l’ultimo tramonto, né quando l’aria non avesse quel disgustoso sapore di ferro e puzzasse di gas. Napoli è una distesa di muri coperti di slogan, di facce in bianco e nero impresse ovunque. Le squadracce dei fratelli marciano per le strade con passo ritmato, controllando i volti, le mani, gli sguardi. Ogni mattina, la bambina esce di casa e si incammina verso la scuola. Non ci sono più libri, solo monitor. Non ci sono più domande, solo risposte preconfezionate. Le maestre vestono di grigio, parlano con un tono monocorde, insegnano la storia con parole dure, scolpite come le statue di bronzo erette nelle piazze. Raccontano di un tempo caotico, di uomini che avevano svenduto l’onore della patria, di femmine che si erano illuse di poter vivere senza padroni, di perversioni stroncate per riportare ordine nel nostro Paese. Luce ascolta senza capire. Il suo mondo è fatto di regole e paura. Solo se si comporta bene, avrà il pane. Se si comporta male, finirà nel campo di rieducazione per bambini indisciplinati. Nessuno sa cosa succede lì dentro, ma ogni tanto qualche bimbo sparisce e nessuno osa più nominarlo.
Napoli non è più quella che raccontano i vecchi, quelli che ricordano i giorni del caos e della falsa libertà. Il mare è sempre grigio, il cielo una cupola immobile e le strade sono percorse da camion blindati che trasportano uomini con le teste rasate e gli stivali pesanti. Gli “uomini veri”, dicono, quelli che riporteranno il paese al suo atavico splendore.
Le donne camminano con lo sguardo basso, vestite con abiti lunghi fino alle caviglie, portano il capo coperto da veli scuri. «Per la decenza, per la moralità, per il bene della famiglia», dicono i manifesti. Luce non ha mai visto sua mamma ridere. È giovane, ma già vecchia. Si muove come un’ombra, senza alzare la voce, senza farsi notare. «Una buona madre sa stare al suo posto», dicono i programmi della sera, tra un bollettino di catastrofi e un discorso della Grande madre della Patria, capo storico del Supremo Consiglio.
Il papà della piccola è partito per il fronte del Nord, dove si combatte per difendere la patria dagli invasori che nessuno però ha mai visto, ma che tutti temono. Ogni tanto arrivano lettere che lei non sa leggere. Sua mamma le stringe tra le mani e piange in silenzio. Napoli è divisa in zone: le più belle, quelle alte, sono per i fedeli al regime. Il centro storico è divenuto una discarica a cielo aperto, dove la gente lotta per un pezzo di carne o una razione d’acqua pulita. Tutti i monumenti del lascivo passato sono stati distrutti o coperti da pesanti teli neri. Ai confini, nelle vecchie periferie, dietro i reticolati, ci vivono quelli che non si sono voluti piegare. Sono paria senza nome e senza volto, che si trascinano ai margini aspettando che la morte venga a liberarli. Esistono e sono tollerati solo come monito.
Luce non sa cosa significhi sperare. Non capisce cosa fosse il mondo prima di quello che conosce. Si alza, vive, obbedisce. Quando chiude gli occhi, vede solo il grigio che la circonda.
Quasi ogni giorno, mentre cammina verso scuola, sente un rumore forte, un boato che fa tremare il suolo con piccole scosse. La gente attorno a lei si ferma, per un attimo solo. Poi i megafoni tuonano: «Andate avanti. Non c’è nulla da vedere».
La piccola non si volta, nessuno si volta … Non è importante sapere chi sia morto, chi sia stato cancellato. Importa solo restare in vita, finché si può. Luce entra nell’edificio scolastico, il corridoio è lungo, le pareti grigie, senza finestre. L’aria sa di polvere e disinfettante. Nessuno parla. I passi dei bambini risuonano nel silenzio come gocce d’acqua in una giara vuota.
Si siede al banco, composta, con le mani sulle ginocchia, come le avevano insegnato. Davanti a lei, sullo schermo nero che copre l’intera parete, appare il volto della Grande Madre della Patria. Ogni mattina inizia così: la Grande Madre parla e loro ascoltano.
«Fratelli d’Italia, l’ordine è stato ristabilito»
Il volto dai grandi occhi sporgenti è impassibile, la voce ormai priva di inflessioni romanesche. Le sue parole scivolavano dentro le menti senza incontrare resistenza.
«La disciplina è forza, il caos è debolezza».
Le maestre camminano tra i banchi, gli occhi attenti, le mani leggere come lame sulle spalle dei bambini. Se qualcuno abbassa lo sguardo, la pressione delle dita si fa più forte.
«Ricordate: la libertà è stata una menzogna, noi fratelli d’Italia vi abbiamo salvati».
Luce ascolta, è sempre stato così da quando riesce a ricordare. Le hanno insegnato che la famiglia, la patria, l’obbedienza sono le uniche cose importanti.
«Abbiamo epurato la società dai deboli e dai traditori. Siate fieri di servire la Nuova Italia».
La piccola non sa cosa significhi “essere fiera“. Non conosce nessuna parola per descrivere ciò che prova. Guarda la maestra, il suo volto è inespressivo. Il video finisce. L’aula rimane nel silenzio. Poi la lezione comincia.
Scrittura e propaganda. I bambini copiano le frasi sul quaderno, con la grafia perfetta che gli hanno imposto:
“Obbedire è servire. Servire è onore”.
“Il diverso è pericolo. L’ordine è sicurezza”.
“L’ambizione porta alla gloria. Chi è forte sale, chi è debole cade”.
Luce non si chiede cosa vogliano dire. Non si chiedeva mai niente. Le domande erano pericolose… Dopo la scuola torna a casa. La mamma aspetta lei con il grembiule nero e il capo coperto. Il cibo è sempre lo stesso: pane secco, un pezzo di formaggio insapore, una tazza di brodo. Mangiano in silenzio. Parlare è inutile. Dai monitor le notizie si susseguono con lo stesso tono rabbioso: “Oggi sono stati arrestati venti dissidenti nelle zone periferiche. Il processo sarà pubblico, in piazza Municipio. La Grande Madre della Patria ha ribadito l’importanza della disciplina nelle famiglie. Le donne che non rispettano il “Codice della Madri” saranno rieducate. La guerra continua sul Fronte del Nord. Gli eroi della patria avanzano, portando la luce dell’Ordine nelle terre dei barbari”.
Sua mamma abbassa lo sguardo portando via i piatti. La bambina si siede vicino alla finestra e guarda fuori. Il cielo è sempre lo stesso, un manto di piombo senza sole. Le strade sono vuote. Dopo il tramonto nessuno può più uscire. I droni sorvolavano la città con il loro ronzio costante, osservando, registrando.
Un grido squarcia il silenzio. Un colpo. Poi un altro. Poi più nulla.
Luce non si muove. Nessuno si muoveva.
Nella nebbia, Napoli scivolava verso la notte, senza speranza, senza domani.
Quella notte Luce non dormì. Il suono dei colpi continuava a rimbombarle nella testa, anche se fuori era tornato il silenzio. Si gira nel letto, guarda il soffitto. La debole luce del lampione stradale filtra dalla finestra sbarrata, disegnando lunghe ombre sulle pareti spoglie.
Non ricorda l’ultima volta che ha visto una stella. All’alba, il segnale dei megafoni la fa sobbalzare. Una voce metallica riempie l’aria: “Popolo di Napoli, oggi celebriamo la purezza della Nazione. Unitevi a noi in Piazza Municipio per assistere alla giustizia del Supremo Consiglio.”
La mamma la prende per mano, non c’è scelta. Tutti devono andare.
Le strade si riempirono di persone mute, le file avanzano lente, come processioni senza santi. I volti sono tutti uguali: spenti, attenti a non mostrare emozioni. Solo gli uomini in divisa sorridono, con le mani sui manganelli, i fucili a tracolla.
La piazza è piena. Sul palco, tre uomini e una donna sono inginocchiati, le mani legate dietro la schiena. Hanno i vestiti strappati, i volti gonfi di lividi. Sopra di loro, un’enorme bandiera con la fiamma tricolore sventola pesante nel vento di scirocco
Luce sente la presa della mamma stringersi sul suo polso. Un ufficiale sale sul palco, parla con la stessa voce che la piccola ha sentito mille volte, quella che dice cosa è giusto e cosa è sbagliato, cosa è ordine e cosa è caos: “Questi individui hanno tradito la patria. Hanno diffuso idee sovversive, hanno messo in dubbio la giustizia della Grande Madre. Oggi dimostreremo che la debolezza e la dissidenza non saranno tollerate“.
Un applauso si alza dalla prima fila. Il resto della piazza rimane immobile. I soldati imbracciano le armi. I condannati non dicono nulla. La Madre della patria guarda il pubblico. Per un attimo Luce pensa che possa essere sua madre. Ha lo stesso silenzio rabbioso.
Poi il rumore dei colpi. Uno, due, tre, quattro. I corpi cadono, come bambole rotte. Il sangue macchia il legno del palco. Un altro applauso, più forte, forse registrato: “Gloria alla Nuova Italia“.
La piccola non capisce. Guarda sua mamma, il suo viso bianco, gli occhi fissi a terra. Nessuna lacrima, nessun tremore. È così che si sopravvive. Tornano a casa in silenzio. Quella sera, mentre il coprifuoco cala sulla città, la bambina si avvicina alla finestra. Guarda in basso, nella strada vuota. Un gatto magro rovista tra i rifiuti. Nel riflesso del vetro vede il suo viso. Piccolo, pallido, gli occhi scuri senza espressione. Cerca di immaginarsi grande. Non ci riesce. Il futuro forse non esiste. C’è solo la nebbia.