Napoli velata: Iside e il suo culto immortale

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Antonio Nacarlo, Iside, Riproduzione riservata

“O dolce madre, tu che raccogli i frammenti e ridai forma al corpo spezzato, che conosci il dolore della perdita e la gioia del ritrovamento, volgi il tuo sguardo su questa terra di onde e fuoco. Proteggi coloro che solcano il mare e camminano per le vie della città, tu che sei la signora dei viaggi e delle metamorfosi. Tu che hai molti nomi e molti volti, ma sei sempre la stessa, nascosta sotto veli di tempi diversi”.

Potrebbe sembrare una preghiera cristiana, un’invocazione alla Vergine Maria o a una santa, invece è un’antica supplica rivolta a Iside, la grande madre del pantheon egizio. Dea madre e sposa devota, simbolo di amore, fertilità e protezione. Secondo il mito, dopo che il fratello Seth uccise e smembrò il marito Osiride, Iside raccolse i suoi resti, ricomponendoli con l’aiuto di Anubi e dando alla luce il figlio Horus, destinato a vendicare il padre. Il suo culto, nato sulle rive del Nilo, si diffuse rapidamente nel Mediterraneo grazie ai commerci e alla presenza di comunità egizie nelle grandi città portuali, fino a raggiungere Roma e l’intero Impero.

A differenza di altre divinità pagane, Iside offriva ai suoi fedeli un rapporto intimo e personale con la promessa di protezione e salvezza anche oltre la morte, un aspetto che la rese particolarmente amata. Con l’avvento del Cristianesimo, molti elementi del culto isiaco si sovrapposero alla figura della Vergine Maria. Entrambe sono spose divine, spesso raffigurate con un bambino in grembo (Iside con Horus, Maria con Gesù), entrambe protettrici dei naviganti e legate alla luna, simbolo del femminile sacro. La stessa iconografia mariana, con il manto stellato e il volto velato, riprende alcune delle raffigurazioni della dea egizia. Il concetto di resurrezione, centrale nella storia di Osiride, trovò una sua continuità nel Cristianesimo. Così, mentre il mondo antico tramontava, Iside non scomparve del tutto, ma si trasformò, velata sotto nuove forme, continuando a essere venerata nei santuari mariani sparsi per l’Europa.

Questa profonda devozione attraversò i secoli e si radicò profondamente nella città di Napoli. Come apprendiamo da Ruggiero di Castiglione (Alle Sorgenti della Massoneria, Ed. Atanor, Roma 1988), “L’Egitto a Napoli non fu solo una suggestione religiosa, ma una presenza concreta”. Già nel II secolo a.C. una folta comunità egizia, prevalentemente di origine alessandrina, si stanziò nella zona dei Campi Flegrei e nei pressi dell’attuale Piazzetta Nilo. Qui eresse una statua dedicata al fiume sacro, tramandando i riti isiaci per secoli.

Antonio Nacarlo, Schizzo del “Corpo di Napoli”. Riproduzione riservata

Questa statua, oggi nota come Corpo di Napoli, fu riscoperta nel Settecento, priva della testa e delle mani. Per molto tempo si credette che fosse la rappresentazione della sirena Partenope, simbolo della città, e solo successivamente si comprese che raffigurava il dio Nilo, personificazione del grande fiume egizio. La scultura, opera di epoca romana, mostra un uomo barbuto, il ventre gonfio come il corso del Nilo nel periodo delle piene, circondato da putti che rappresentano i suoi affluenti. Il suo ritrovamento fu un segno della persistenza dell’eredità egizia nella cultura partenopea, un frammento di un passato mai del tutto sepolto.

La toponomastica stessa partenopea conserva ulteriori tracce di questa influenza: via Egiziaca a Pizzofalcone e a Forcella, la Chiesa di S. Maria Egiziaca, via Serapide, Piazzetta Nilo e via del Sole. Secondo alcuni studiosi, Napoli vide la fusione tra il sapere pitagorico e i misteri egizi, una conoscenza tramandata nei secoli attraverso cenacoli ermetici. La persistenza del culto isiaco si ritrova anche a Marechiaro, dove un tempo sorgeva un sacello dedicato alla dea, un luogo di culto per i marinai e i viaggiatori. Sopra le sue rovine venne costruita la Chiesa della Madonna del Faro, che ancora conserva tracce di un’antica devozione legata alla protezione sul mare. Come spesso accadde, la cristianizzazione dei luoghi di culto non cancellò del tutto la memoria pagana, ma la trasformò, sovrapponendo nuovi simboli alle vecchie credenze.

Numerosi altri luoghi in città testimoniano l’influenza della tradizione isiaca ed egizia. Per esempio, in un edificio di via Cattaneo, è stato rinvenuto, in un cunicolo sotterraneo divenuto garage, un affresco che rappresenta Iside seduta mentre allatta Horus, tenendo in mano un bastone lungo con un disco solare sulla sommità. Di fronte a lei, una figura in abiti egiziani le porge un’offerta. Non lontano dall’uscita della metropolitana “Materdei”, in via Duca Ferrante Della Marra, si può ammirare una lastra del XVII secolo, situata sul portone di un’antica villa. Su di essa è raffigurato Arpocrate, accompagnato dalla scritta in greco antico: MEGAS OROS APOLLON ARPOCRATES, che menziona le tre divinità Horus, Apollo e Arpocrate. L’ombra di Iside si allunga anche nel pensiero esoterico e massonico della Napoli rinascimentale e barocca. Il filosofo e umanista Giovanni Pontano, nella sua accademia, recuperò gli antichi misteri e il simbolismo astrologico, mentre Giambattista Della Porta, scienziato e occultista, nelle sue opere alchemiche sembrava attingere a un sapere nascosto che affondava le radici nell’antico Egitto.

Attraverso i commerci e i contatti con l’Egitto ellenistico, il culto isiaco si diffuse in tutta la Campania con una forza straordinaria. Esempio ne è il tempio di Iside a Pompei, miracolosamente conservato nonostante l’eruzione del Vesuvio nel 79 d.C., testimonianza dell’importanza della dea nel mondo romano. Qui, tra i dipinti e le iscrizioni, si ritrova l’eco di un rito misterico che prometteva rinascita e salvezza. Entrando nel tempio, il più antico lontano dall’Egitto, sulla parete sinistra si trova la riproduzione di Arpocrate (Horus) raffigurato come un fanciullo con il dito davanti alla bocca, mentre impone il silenzio agli iniziati al culto. Horus, figlio di Osiride e Iside, divenne il simbolo dei culti esoterici, che conobbero una nuova vitalità proprio in seguito al dissotterramento del Tempio di Iside nel Settecento. Le numerose testimonianze archeologiche fanno della sfortunata cittadina vesuviana una vera e propria roccaforte del culto nilotico, con numerosi richiami al fiume sacro, all’Egitto e alla dea stessa nei dipinti ritrovati nelle domus e negli edifici portati alla luce. Tra gli esempi più significativi vi sono le Terme Suburbane, con la rappresentazione del porto di Alessandria, la Casa dei Ceii, decorata con paesaggi nilotici del Delta, e la Casa di Paquius Proculus, dove compaiono pigmei intenti a navigare il Nilo. Motivi ispirati al culto isiaco sono stati rinvenuti anche negli scavi di Ercolano e Stabiae, nonché all’altro capo del golfo partenopeo, nelle Terme della Sosandra a Baia.

A Napoli l’antico tempio di Iside si trovava nei pressi di piazza San Domenico Maggiore, dove oggi sorge la Cappella Sansevero del principe Raimondo di Sangro, figura enigmatica e alchimista, riscopritore ed esperto di quell’antica sapienza egizia, trasponendola nelle sue opere e nelle meraviglie della sua cappella, tuttora il luogo turistico più visitato in città. Tra i capolavori ospitati, dal complesso progetto iconografico, accenniamo alla statua che immortala la madre del Principe. L’opera sarebbe collocata proprio nel luogo dove duemila anni fa si ergeva la statua di Iside, ed è a quest’ultima che essa si ispira. La Pudicizia, scolpita da Antonio Corradini, con il suo manto aderente come una seconda pelle, è un palese tributo alla dea velata, colei che custodisce i segreti della vita e della morte.

In conclusione, passeggiare per Napoli significa veleggiare su un mosaico di epoche e culti sovrapposti. La città è un palinsesto in cui gli dèi pagani si sono trasformati in santi, le antiche madri divine sono diventate madonne e le storie millenarie si sono mutate in leggende popolari. Iside non è mai scomparsa da Napoli. Il suo volto è nascosto sotto veli di tempo, ma chi sa osservare la troverà ancora, nella pietra delle statue, nelle immagini sacre e nelle antiche tradizioni che continuano a vivere nelle strade e nelle mille anime di questa città.

2 commenti su “Napoli velata: Iside e il suo culto immortale”

  1. Raffaele Catania

    L’immagine finale della “dea velata” che continua a vivere sotto strati di tempo e cultura cattura perfettamente l’essenza di Napoli

    1. antonio nacarlo

      Grazie Raffaele, come un fiume che continua a scorrere anche nascosto alla vista, la memoria storica persiste e continuerà a farlo anche quando noi non ci saremo più.

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