E se telefonando …

tempo di lettura: 5 minuti

È veramente un mondo strano quello nel quale otto miliardi di persone stanno in ansia per sapere come va a finire una lunga telefonata fra un quasi ottuagenario egocentrico ed egolatrico e un despota affetto da manie imperiali di grandezza! Una telefonata, il risultato della quale può consistere nel continuare un massacro insensato che sta dilaniando l’Europa, o dalla quale, invece, potrebbero scaturire le premesse per una pacificazione fra gli eserciti in lotta. Ma già il dover ammettere che da due sole persone dipendono le sorti del mondo è un’anomalia che non può essere in alcun modo accettata. Dalle prime indiscrezioni che stanno emergendo, sembra che l’esito del lungo colloquio si sia concluso con una sorta di “vittoria” per Putin che, rispetto al suo omologo americano, gode certamente di una enormemente maggiore esperienza politica e tattica che lo tengono inchiodato al suo “trono” da un quarto di secolo.

Sembra sufficientemente ovvio che una telefonata, per quanto lunga, non possa eliminare tutte le contraddizioni e le contrapposizioni che stanno caratterizzando questo periodo così incerto per le sorti del mondo. Se vogliamo ridurre il tutto al problema centrale, non è difficile individuarlo: da una parte c’è un dittatore che ha deciso di estendere il proprio impero oltre i suoi confini nazionali, a qualunque costo, anche quello di scatenare una guerra — cosa che è avvenuta —, dall’altra c’è una nazione sovrana che viene invasa con il dichiarato tentativo di farne un altro stato fantoccio della Russia. Qualunque mente ragionevole, anche se non esperta di politica internazionale, non ha alcuna difficoltà a comprendere che la nazione invasa, in questo caso l’Ucraina, non può accettare un fatto del genere, come non lo sarebbe nessun’altra nazione al mondo, in particolare quelle europee che da ottant’anni godono di pace e stabilità, a turbare le quali è intervenuto unilateralmente lo zar del Cremlino, al quale le centinaia di migliaia di morti fra i suoi giovani mandati al massacro sembra non facciano nemmeno perdere il sonno. È poi singolare che ad incontrarsi per decidere le sorti dell’Ucraina, debbano essere i capi di due nazioni che escludono proprio l’Ucraina dalla trattativa, a dimostrazione del fatto che siamo ripiombati, quasi senza accorgercene, in un periodo che pensavamo definitivamente chiuso, e cioè quello della “guerra fredda” che ha garantito l’equilibrio del terrore a partire dalla fine della seconda guerra mondiale.

“Quello in corso fra Stati Uniti e Russia”, come dice Fiona Hill, ex consigliera della Casa Bianca, “sembra più che altro un negoziato personale tra loro due, per definire le relazioni bilaterali, sulla testa degli ucraini e degli europei”. E aggiunge: “il capo del Cremlino ha ottenuto quello che voleva senza fare nessuna concessione”. Basta dare un’occhiata approfondita al risultato dell’incontro per rendersi conto che il risultato è stato quasi nullo e che il “perdente” è stato Trump e non Putin. Sarebbe strano, d’altra parte, il contrario, in quanto questa guerra di aggressione, non giustificata da nessuna provocazione, ha come obiettivo l’acquisizione dell’Ucraina, in tutto o in parte, oppure il renderla uno stato satellite della Grande Madre Russia. Le condizioni che ha posto il Cremlino sono quelle del far venir meno all’Ucraina le armi per resistere all’aggressione e dunque non possono essere accettate né da parte di Zelensky né da parte dei suoi alleati europei, determinati a garantire indipendenza e sovranità di Kiev. Ci troviamo, quindi, nel cosiddetto “cul de sac” dal quale non è possibile uscire senza profonde lacerazioni, anche perché i due “telefonisti” hanno tenuto del tutto in non cale oltre alla mancata presenza del protagonista principale, anche quella dei suoi alleati, cioè l’Europa. Il magnate e presidente americano ha tentato di far digerire la sconfitta asserendo di essere ottimista sulla possibilità di «raggiungere la pace», mentre dall’altra parte il Cremlino assicura che «sotto la guida di Trump e Putin il mondo è più sicuro». Come può essere il mondo «più sicuro» quando l’aggressore tiene costantemente il dito sul grilletto, pronto a scatenare un incremento del conflitto se non vengono accettate le sue condizioni?

Quindi, bisogna dirlo chiaro e forte: la posizione di Putin è quella di voler conservare ciò che Kiev non può accettare, cioè l’occupazione dei territori ucraini conquistati dal 2022. Ed è questo il quadro all’interno del quale l’Europa rilancia la sua richiesta più strategica: al tavolo del negoziato — com’è naturale — deve esserci anche l’Ucraina; e su questo i rappresentanti più significativi dell’Europa sono d’accordo, da Macron, che ha l’avallo di Starmer dall’Inghilterra, alla Germania che si accinge a modificare la sua Costituzione per togliere il freno al debito e consentirle di aiutare l’Europa ad accelerare sul piano per la difesa comune. Si tratta di rendere disponibili enormi risorse da destinare in buona parte alle questioni della sicurezza e della difesa, e rappresenta anche un mutamento storico per gli equilibri europei, figlio del lungo rigore tedesco sui conti pubblici che permette oggi di allargare i cordoni della borsa.

L’attuale situazione geopolitica rappresenta un serio problema anche per il nostro Governo, che deve barcamenarsi fra la sua conclamata amicizia con il Tycoon americano, la sua fedeltà all’Europa atlantica e la coerenza con la posizione tenuta in questi tre anni che ha avuto come perno la difesa dell’Ucraina e la difesa dei rapporti transatlantici. Allo stato attuale delle cose l’America ha bisogno dell’Europa e viceversa; così è sempre stato sin dal dopo 1945 ed ha rappresentato un presidio di pace e sicurezza per tutto il Vecchio continente. Ma l’America di Donald Trump non è l’America di Roosevelt e rappresenta, piuttosto, un salto nell’ignoto. Citando ancora una volta Mario Draghi, grande difensore dell’euro-atlantismo e consulente speciale della Presidente della commissione Ue, l’ex presidente del consiglio non ha fatto a meno di ricordarci che gli Stati Uniti si sono ritirati in buona misura dall’Europa, il che impone a quest’ultima l’onere di «difendere i propri confini». Sono in molti, oggi, a credere che la nuova amministrazione americana renderà estremamente più difficoltosi i rapporti con l’Europa, rispetto ai periodi precedenti e che, paradossalmente, sia la stessa democrazia americana periclitante. Basta guardare alle recenti, tumultuose iniziative di Trump, per capire che dobbiamo dimenticarci della “vecchia America”, per abituarci ad un nuovo soggetto che sfugge a tutte le classificazioni. Il mancato accordo sul completo cessate il fuoco di Trump con Putin, che il primo dava per scontato, è stato per lui una vera e propria doccia fredda, ed è la conferma di ciò che il Presidente ucraino dice ormai da tempo, e cioè che sono le condizioni poste da Putin il vero ostacolo alla fine della guerra.

Se un personaggio della caratura di Mario Draghi ha espresso pubblicamente la necessità di “difendere i nostri confini”, ciò vuol dire che l’espansione della Russia a ovest non intende fermarsi all’Ucraina, o alla Bielorussia, come ha già fatto, ma ha mire per il momento non dichiarate ma facilmente intuibili. Con il suo linguaggio chiaro e schietto, questo è proprio ciò che egli ha detto in pubblica audizione al Senato senza giri di parole: «La nostra sicurezza è oggi messa in dubbio dal cambiamento nella politica estera del nostro maggior alleato rispetto alla Russia che, con l’invasione dell’Ucraina, ha dimostrato di essere una minaccia concreta per l’Unione europea».

Sono parole pesanti, pronunciate da chi nell’ambito dell’Unione Europea ha ricoperto, e ricopre, posizioni importanti, e non quelle di un Salvini qualunque che putiniano di ferro com’è se ne è uscito con una dichiarazione che ha dell’incredibile: «La nostra sicurezza non è minacciata da Trump, ma dai migranti clandestini»! Batte sempre sullo stesso tasto, trito e ritrito, non rendendosi conto di essere fuori dalla realtà, imprigionato com’è nelle maglie di una rete che si è cucita addosso e di cui non ha intenzione di liberarsi per non perdere il modesto sostegno che alcuni esagitati della Lega ancora gli accordano.

Le parole di Draghi, pronunciate nella sede del Senato italiano, vanno ascoltate con estrema attenzione, perché rappresentano un punto di vista lontano sia dalle posizioni di Elly Schlein che da quelle di Giorgia Meloni. Fra le cose che Draghi ha detto in Senato vi è anche la sua affermazione secondo la quale «Bisogna definire una catena di comando di livello superiore che coordini eserciti eterogenei per lingua, metodi, armamenti, e che sia in grado di distaccarsi dalle priorità nazionali operando come sistema della difesa continentale, e concentrare gli sviluppi su piattaforme militari comuni che consentano l’interoperabilità e riducano la dispersione e le attuali sovrapposizioni. La difesa comune è ineludibile». Ma è nella replica che le sue parole si fanno più drammatiche: «C’è differenza di vedute su chi è davvero il nemico». Parole dense di significato. La manifestazione dei giorni scorsi a favore dell’Europa è stata un segnale importante ed anche un avvertimento a chi non ritiene che la politica aggressiva ed espansionistica di Putin sarà senza conseguenze per i popoli del vecchio mondo. Così anche le politiche militari ed economiche di Trump non vanno certo a favore dell’Europa. Dal che l’esigenza imprescindibile di un’Unione dotata di un forte esercito comune che si ponga come argine non oltrepassabile dalle ambizioni zariste e da quelle trumpiane. Allo stato delle cose, il dover dipendere dagli esiti di una telefonata tra due oligarchi che tentano ciascuno di sopraffare l’altro, sembra semplicemente una “boutade” di valore propagandistico e lascia il tempo che trova e che, nonostante il grande rilievo che le hanno attribuito i media, sia cartacei che d’altra natura, non ha risolto un bel niente, perché non è sollevando la cornetta di un telefono che cessano le guerre! E per tornare al titolo di questo articolo, chi è avanzato negli anni non può non ricordare come questa bellissima canzone di Mina termina con le parole: “È già finito”. Nella canzone ciò che è finito è l’amore, nella realtà ciò che è finito è il tentativo di por fine ai massacri con una telefonata!

Rispondi

This site uses Akismet to reduce spam. Learn how your comment data is processed.

Torna in alto