
Può risultare noioso e ripetitivo parlare sempre dello stesso personaggio, ma quando la persona in questione è l’uomo più potente del mondo e inoltre manifesta gravi segni di squilibrio che, data la sua carica, possono mettere in pericolo la stabilità dell’equilibrio mondiale, allora ci sembra doveroso interessarsene, dato che in un modo o nell’altro l’argomento ci riguarda tutti. Non per nulla sull’ultimo numero dell’Espresso, quando non si era ancora verificata l’indegna bagarre alla Casa Bianca fra i due presidenti, scatenata da quello Usa, appare un trafiletto che dice: “Dall’imperialismo su Canada, Panama e Groenlandia, alle posizioni estreme su Gaza e Ucraina, il secondo mandato del tycoon è segnato da impulsi oscillanti più che da strategia. Un enorme pericolo”. Credo che sia la prima volta dalla fine del secondo conflitto mondiale, e sono trascorsi ben ottant’anni, che sul ponte di comando della più potente nazione del mondo si sia assisa una persona del genere, guidata da “impulsi oscillanti”, più che dal buon senso e dall’equilibrio. Il che vuol dire che Trump, definito anche “una scheggia impazzita”, si lascia guidare dai suoi stati d’animo e da quel senso di rivalsa a tutti i costi che lo accompagna sin da quando, dopo il primo mandato, fu sconfitto da Biden per il secondo. Egli deve dimostrare al mondo chi è che comanda veramente e che può disporre come meglio gli aggrada della sorte di tutte le altre nazioni, entrando pesantemente nei loro affari interni e condizionandoli, com’è avvenuto di recente con la sua pesante intrusione, esercitata mediante Elon Musk, nelle elezioni tedesche, dove ha fatto di tutto perché le vincessero i neonazisti dell’AfD.
Se volessimo tentare di riassumere in poche parole le caratteristiche di questo personaggio, che in una Casa Bianca decente non lo avrebbero fatto entrare nemmeno dalla porta di servizio, potremmo dire che recita a soggetto, con nessuna strategia in mente se non quella di primeggiare ad ogni costo anche se ciò richiede di umiliare tutti: sia gli avversari ma anche, e di più, gli alleati, dall’idea di incorporare il Canada come cinquantunesimo Stato all’ipotesi imperialista di acquisire Groenlandia e Canale di Panama, alla toponomastica del golfo d’America e del Canale George Washington al posto della vecchia Manica o English Channel, fino alla visione di una riviera mediterranea a Gaza. Arrivando alla svolta di una nuova partnership con la Russia, che lo spinge a incolpare l’Ucraina per la guerra scatenata da Vladimir Putin. Questo individuo non brilla per coerenza e lo dimostra giorno dopo giorno oscillando fra due estremi. Un giorno è il migliore amico di Kim Jong-un, l’indomani promette fuoco e fiamme; prima è arrabbiato con Benjamin Netanyahu per avere riconosciuto la vittoria di Joe Biden, poi lo vuole come primo invitato a Washington. E così anche con Zelensky, a prescindere dalla sceneggiata di venerdì scorso nello studio ovale. Zelensky è il bersaglio della sua rabbia (lo ha definito dittatore e comico di modesto successo). Come dice Charles Kupchan, docente di relazioni internazionali, è solo in questo secondo mandato che stiamo vedendo «il vero Trump»; e poi aggiunge: «Sono sconcertato da come abbia affrontato questa apertura (alla Russia di Putin). Non c’è una strategia coerente, ma solo caos. Il governo americano sta concedendo troppo prima ancora che i negoziati inizino; esclusa un’adesione alla Nato per l’Ucraina, no a una presenza dei militari americani. Kiev che dovrebbe rinunciare ai confini del 2014. E poi gli insulti di Trump a Zelenky. Non sono azioni deliberate. Sono principianti, non sanno cosa stanno facendo».
Dobbiamo prendere atto che mentre il mondo è costretto a concentrarsi sulle buffonate di Trump, sulla sua megalomania che lo fa sentire investito del destino di imprimere al mondo la sua volontà, a qualunque costo, non dobbiamo trascurare la tragedia che quotidianamente ha luogo sotto i nostri occhi. Mentre Trump si diletta nelle sue buffonerie, migliaia e migliaia di giovani ucraini e russi muoiono, migliaia e migliaia di loro ritorneranno a casa — sempre che ci tornino — mutilati e distrutti nel corpo e nella mente. Non dimentichiamo nemmeno che l’Ucraina è nel cuore dell’Europa, quell’Europa che dovrebbe giocare un ruolo cruciale in tutta questa vicenda e che invece sta a bordo campo senza sapere che fare. Trump sa che questa posizione di incertezza europea gioca a suo favore; d’altra parte l’Ucraina è lontanissima da Washington, mentre è molto più vicina a Berlino, Parigi, Praga, Roma, Londra. E quindi ecco il suo diktat agli Stati dell’Unione: dovete spendere di più e impegnarvi di più per portare la pace in Ucraina. Ma, come spiega sempre Kupchan, «la preoccupazione è che invece di riorganizzare l’alleanza, finisca col distruggerla. Non sappiamo se abbia intenzione di ritirare le truppe americane dall’Europa. Credo di no, ma essendo estremamente impulsivo, tutto è possibile. Altro punto importante è che l’amministrazione Usa rischia di alienarsi irreparabilmente gli alleati. Il discorso che il vicepresidente J.D. Vance ha tenuto a Monaco è stato offensivo e sconcertante (come lo sono stati i suoi interventi aggressivi contro Zelensky alla Casa Bianca). Se gli americani trattano male gli alleati e sostengono partiti che hanno legami con i neonazisti, com’è successo in Germania, allora molti europei si chiederanno come sia possibile contare su un Paese che ha perso la testa, che non sa cosa sta facendo».
Il comportamento di Trump mi ricorda molto da vicino una scena indimenticabile di un film di parecchi anni fa, Il grande dittatore, nel quale Charlie Chaplin, nelle vesti di Hitler si diverte a giocare con un mappamondo come se fosse una sua proprietà della quale può fare ciò che vuole. Se gli europei, tutti, comprendessero finalmente che solo uniti possono vincere le sfide che ci sono poste dinanzi, se l’Europa cominciasse a dubitare dell’affidabilità americana, vedremmo emergere una Ue diversa, più indipendente e unita. Ma, a cominciare dall’Italia, sembra che questo sia un ostacolo difficilmente superabile se, dopo lo spettacolo indecoroso offertoci dal presidente e dai suoi accoliti, in casa nostra abbiamo un vicepremier e ministro che inneggia a Trump. Sì, stiamo parlando di Salvini che l’altro ieri twittava «Forza Trump». Mentre, sempre dagli ambienti della destra ci giungeva l’appello di Gianfranco Fini, secondo il quale «I veri patrioti sono gli ucraini. La destra non esiti e stia con loro». Nell’intervista che egli ha rilasciato, un’intervista nella quale non esita ad aderire alla proposta di Michele Serra di una piazza per l’Europa (iniziativa che ha già incontrato moltissimi consensi) ha espresso con chiarezza il suo pensiero sul guazzabuglio mondiale che sta sconvolgendo il mondo. Secondo lui ciò che è accaduto alla Casa Bianca probabilmente non era programmato, ma è stato dovuto all’irruenza del presidente e alla volgarità del suo vice. Zelensky era andato disposto a firmare l’accordo sulle terre rare, e Trump, dopo gli incontri con Macron e Starmer, aveva dato l’impressione di essersi ammorbidito. Poi le modalità dell’incontro, con la diretta tv e Vance che ha fatto di tutto per provocare, lasciano pensare che si sia trattato di una trappola. Sempre secondo il fondatore di AN, «È probabilmente stata una vendetta per la vicenda di Hunter Biden, il figlio dell’ex presidente, nella quale Zelenksy non intervenne assecondando le richieste di Trump, oppure la sua impossibilità di non assecondare Putin, o la convinzione di essere onnipotente. Quale che sia la versione corretta, forse tutte e tre insieme lo sono, siamo all’allarme rosso». Parole di un politico di lungo corso, al cui spessore la nostra premier non si avvicina nemmeno lontanamente. Da quanto sopra emerge con chiarezza una constatazione: la democrazia europea è sotto attacco. Sono ormai migliaia i cittadini del nostro Paese che si rendono conto di vivere un passaggio esistenziale, ed è quindi indispensabile esprimere la determinazione a difendere i nostri principi, valori e interessi. Il nostro sistema economico, sociale e culturale, i diritti civili, la battaglia contro il cambiamento climatico (che è l’ultimo dei pensieri di Trump). Gli Italiani, che non si fanno imbonire dai social di proprietà del plurimiliardario, avvertono la necessità di dire forte e chiaro: “qui si fa l’Europa o si muore”, e di mobilitarsi con chiunque si definisca “popolo europeo”. Dovremmo tutti sentire, assecondando l’invito di Serra, la necessità di scendere in piazza insieme a tutte le forze politiche e sociali europeiste, dell’associazionismo, dei sindacati e del mondo dell’impresa che conosce il valore dell’Europa unita, pronti a ripartire dagli ideali del Manifesto di Ventotene e sfilare sotto un’unica bandiera: quella blu stellata. Tra la Russia assassina di Putin, le mire rapaci della Cina, l’attacco di Trump che definì l’Ue “il peggior nemico degli Stati Uniti” e che umilia oggi il popolo ucraino, è l’ora del sussulto europeo che non può essere solo la difesa dell’esistente. Avviamo il percorso verso gli Stati Uniti d’Europa, a partire dall’abolizione dell’unanimità al Consiglio Europeo dove oggi è possibile che anche un solo Stato, l’Ungheria, che rappresenta solo l’1% del Pil europeo, può bloccare gli altri 26 paesi sugli aiuti all’Ucraina. Ci sono momenti, e questo è uno d’essi, in cui la Storia accelera e chiama a risposte decisive. Stiamo assistendo alla fine di un ciclo e al ritorno della regola del più forte. Dobbiamo contrastarlo. Possiamo farcela!