C’era una volta l’Occidente

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Incertezza e precarietà sono due termini che ben descrivono lo stato d’animo della maggior parte degli abitanti di questo pianeta. Sono due condizioni fortemente negative, perché incidono profondamente sulla capacità umana di progettare, di programmare, di costruire il futuro, per così dire.

Questo è il momento storico che ha determinato una cesura significativa con gli ottant’anni che hanno fatto seguito alla fine del secondo conflitto mondiale, durante i quali, anche grazie alla cosiddetta “guerra fredda”, si sono evitate le “guerre calde”, cioè si è mantenuto un certo equilibrio che ha consentito, tranne scaramucce di minore importanza, di vivere in condizioni di relativa stabilità e che hanno favorito lo sviluppo, la crescita industriale, relazioni costruttive fra le varie nazioni e, cosa di massima importanza, si è dato vita alla tanto attesa, vagheggiata, desiderata Unione Europea, nata a Maastricht (Paesi Bassi). Nazioni che fino a pochi decenni prima si erano combattute culminando in due spaventosi conflitti mondiali, adesso erano unite da una politica comune, da una moneta comune (20 su 27 Stati), da obiettivi condivisi e dal kantiano “imperativo categorico”: mai più guerre! Questo “miracolo” politico che ha realizzato i sogni più ambiziosi di grandi uomini del passato, con la presenza significativa di alcuni italiani, e che, nel 2012, ha fatto insignire l’UE perfino del Premio Nobel per la pace, adesso è periclitante, perché l’Unione va sempre più perdendo autorevolezza ed è in mano a politici che non sono nemmeno la pallida ombra di quelli che la fecero nascere. Sta rischiando di cadere nell’insignificanza.

Sono all’opera da un certo tempo forze disgregatrici, sia dall’esterno che dall’interno, come lo Stato membro dell’Ungheria di Orbàn, filo russo e antiatlantico, insieme a due grandi nazioni che stanno operando attivamente per smembrarla o, comunque, per relegarla ai margini del dibattito politico mondiale. È triste a dirsi, ma una di queste due nazioni è proprio quella alla quale si era sempre guardato come alla nostra grande alleata e protettrice: gli Stati Uniti d’America, il sogno di molti italiani. L’altra è la Russia di Putin. Una Russia profondamente diversa da quella che aveva realizzato uno dei suoi più grandi uomini politici del XX secolo, Michail Gorbacëv, persona illuminata e lungimirante, grande amico dell’Unione, che si era reso pienamente conto dell’importanza che essa aveva assunto nel mantenimento degli equilibri mondiali, e che si adoperò strenuamente perché l’Europa, lacerata da due tremendi conflitti, diventasse o ritornasse ad essere coesa; ed è in questa direzione che egli agì, procedendo alla demolizione del muro di Berlino; chi non ricorda le famose parole del presidente americano Ronald Reagan rivolte al suo omologo sovietico: “Signor Gorbacëv, abbatta questo muro!”, muro che era il simbolo vivente della disunione europea; proprio per questo suo lungimirante attivismo per portare l’Europa al centro della scena mondiale e per i suoi tentativi per un duraturo appeasement con l’altra potenza mondiale americana, nel 1990 fu insignito del premio Nobel per la pace.

L’attuale inquilino del Cremlino, invece, è tutto il suo opposto; il suo sogno non è la pace, ma il potere, ed è ad esso che egli ha improntato la sua azione politica, che ha precipitato nuovamente il centro dell’Europa in una guerra che da tre anni la devasta e ne minaccia la sopravvivenza. Putin è molto più vicino a Stalin di quanto non si creda e il suo comportamento nei confronti del nostro Presidente della Repubblica ne è la conferma. Non pago delle offese di “invenzioni blasfeme”, rivoltegli dopo il suo intervento a Marsiglia, ha rincarato la dose per bocca di Maria Zakharova, portavoce del Ministero degli esteri russo, che questa volta, oltre alla persona del Presidente, ha minacciato anche l’Italia con questo avvertimento: “Mattarella è il presidente di un Paese che storicamente è stato tra coloro che hanno attaccato la Russia, e l’Italia è il Paese in cui è nato il fascismo”. Chi ha orecchie per intendere intenda. Il Quirinale non ha mosso ciglio dopo questi attacchi, mantenendo un sereno distacco, e ci si sarebbe aspettati che tutte le formazioni politiche del nostro Paese lo sostenessero apertamente, e in maggioranza lo hanno fatto, con l’eccezione del silenzio significativo della Lega e del “rimprovero” dei Cinque stelle, secondo i quali le parole di Mattarella a Marsiglia sono state un errore, favorendo così gli attacchi vergognosi della Russia.

Ma come abbiamo già detto, gli attacchi all’Unione provengono da due parti, e l’altra è quella del nostro ex (adesso lo possiamo definire così) alleato: gli Stati Uniti. In questi giorni si è svolto il summit di Monaco di Baviera, in Germania, ed in tale occasione il vicepresidente americano J.D. Vance ha indicato l’Europa, non la Russia né le autocrazie, come minaccia per l’Occidente. Egli ha usato il suo intervento alla Conferenza sulla sicurezza del 14-16 febbraio a Monaco per denunciare quella che considera la minaccia più grande per la stabilità dell’Occidente: l’Europa. Vance, che è stato eletto assieme a un presidente, Donald Trump, che ha sobillato un tentativo di colpo di stato nel paese che ora governano assieme, ha dato lezioni di democrazia ai leader europei, accusandoli di essere dei censori illiberali che utilizzano una terminologia sovietica come “misinformazione” per nascondere “antichi interessi radicati”, che hanno paura dei loro stessi cittadini quando esprimono il loro dissenso – la cancellazione delle elezioni in Romania, nel dicembre scorso, sono l’esempio di questo terrore europeo per il dissenso – e che hanno abbandonato, in questa furia censoria, il loro compito di “difensori della democrazia”. Per fortuna che c’è l’America, questa America con un “new sheriff in town”, ha detto Vance, che ha ancora la magnanimità di fare un’offerta agli europei impauriti e livorosi, e di garantire all’Occidente uno spazio libero di confronto e d’espressione, in cui sono accettate tutte le voci, quelle in accordo e quelle in disaccordo – ed egli ha fatto la sua offerta mentre l’Amministrazione Trump, con il solerte aiuto di Elon Musk, licenzia ogni giorno funzionari americani colpevoli di averla pensata diversamente dal Presidente e di aver agito contro i suoi crimini. Interessante il commento di Joseph Braml, direttore del Think Thank della Trilateral Commission, che spara ad alzo zero sull’amministrazione che ben conosce: «Con il loro sostegno ad Afd (il partito neonazista tedesco) gli scagnozzi di Trump, Musk e Vance stanno provando a dividere l’Europa per poter controllare meglio le sue singole parti». In questo mondo capovolto, capitanato da un’America sfigurata rappresentata da Vance a Monaco, la Russia e tutte le minacce esterne che assediano l’Occidente sono meno pericolose della “minaccia interna”, l’Europa stessa, l’alleata di sempre, la quale continua a ripetere che si deve difendere “da qualcosa”, ma non sa dire “per che cosa” farlo, perché non ha da salvaguardare dei valori ma cordoni sanitari inutili con partiti che hanno un consenso (ha legittimato il dialogo con l’AfD tedesca) e fissazioni illiberali.

Possiamo ben dire, allora, che per dare una scossa all’Europa, insomma, Vance si augura un’ascesa delle forze eversive dentro di essa e si diverte anche ad augurarci la nostra fine: “Se abbiamo retto a Greta Thunberg per dieci anni, voi potrete sopravvivere a qualche mese di Elon Musk”, ha detto compiaciuto, riferendosi all’altro distruttore dell’Europa che infatti ha festeggiato sul suo social “X” il vicepresidente ripetendo tutto maiuscolo “Mega Mega Mega”, Make Europe Great Again, che era anche lo slogan del semestre europeo presieduto dall’Ungheria di Viktor Orbán. Della guerra in Europa che dovremmo vincere per salvarci tutti, Vance non ha parlato dal palco, si è limitato a promuovere uno degli argomenti cari a Putin, cioè la fragilità europea. Il vicepresidente ha però poi incontrato Volodymyr Zelensky, il presidente ucraino che ha avuto una delle settimane più complicate di sempre visto che Trump ha telefonato a Putin, estromettendo gli europei e anche l’inviato americano Keith Kellogg, il teorico della “massima pressione” sulla Russia, non solo sull’Ucraina.

Come abbiamo già detto, e con molto rammarico, il vero nemico dell’Europa non è né la Cina né la Russia, ma è “all’interno”, in quei governi che non ascoltano i loro popoli e, anzi, reprimono le voci dissenzienti, portando a una vera e propria “ritirata della libertà d’espressione”, nell’UE come in Gran Bretagna. Chi si aspettava che il vicepresidente degli Stati Uniti, J.D. Vance, alla Conferenza sulla sicurezza di Monaco, avrebbe criticato l’Europa soprattutto per l’insufficiente spesa militare è stato preso alla sprovvista da un discorso dirompente, con cui Vance ha accusato il blocco di aver tradito i valori condivisi con gli Stati Uniti, diventando addirittura simile a quell’Unione Sovietica che le due sponde del Nord Atlantico avevano contrastato insieme durante la Guerra Fredda. L’autore di “Elegia americana”, come già nell’altrettanto esplosiva intervista concessa al Wall Street Journal prima di partire per il summit, è tornato a invitare i partiti politici tedeschi a collaborare con i nazionalisti di Afd, affermazioni accolte con esultanza dalla leader della formazione di estrema destra, Alice Weidel.

Ci piace concludere con il commento di Lucio Caracciolo, che su la Repubblica afferma: “Non abbiamo più certezze. A nemmeno un mese dall’insediamento di Trump alla Casa Bianca, queste quattro parole condensano il senso dello sconvolgimento in corso sotto i nostri occhi. Al netto degli annunci di propaganda, la rivoluzione geopolitica già segnala la crisi esistenziale della famiglia atlantica, il riavvicinamento fra Stati Uniti e Russia, la congiunzione delle guerre in Ucraina e in Medio Oriente, da interpretare entro una medesima equazione. Tutto sullo sfondo della vera sfida strategica globale, quella che oppone Stati Uniti e Cina. In tutte queste partite noi europei siamo al meglio attori secondari … Quando il gioco si fa durissimo le strutture dell’Unione Europea non reggono la competizione. Gli ex protettori americani chiedono ai non più protetti europei sacrifici che non siamo in grado di sostenere … Si ripete per l’ennesima volta uno scenario già visto, previsto e incredibilmente rimosso, con gli americani indifferenti alle sorti di Kiev, perché impegnati in superiori partite e gli europei che non possono o non vogliono far seguire fatti alle parole. Fra vaghezze e ipocrisie. C’era una volta l’Occidente”.

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