Otto miliardi in ostaggio?

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Sulla Terra vivono più di otto miliardi di persone, la maggior parte delle quali in condizioni molto precarie e senza alcuna certezza per il loro futuro, che per il momento non è affatto roseo. Ed è veramente singolare che questa enorme massa di popoli debba dipendere dalle decisioni — chiamiamole anche “capricci” — di un ristretto manipolo di persone. Non è necessario essere uno specialista in sociologia o in psicologia sociale o in altre discipline consimili, per rendersi conto ictu oculi che si tratta di una sproporzione davvero enorme e ingiustificabile che quattro o cinque persone, o comunque poche persone, abbiano il potere di decidere per il resto di tutti gli abitanti del pianeta, guidate dai loro personali interessi, dalle loro personali idiosincrasie o condizionate dal loro stato mentale. Il caso più eclatante è quello che riguarda uno degli appartenenti a questo gruppetto, ovvero Elon Musk, l’uomo più potente del mondo, oltre a esserne il più ricco, dato che ha le spalle coperte nientedimeno che dal Presidente degli Stati Uniti. Musk, come lui stesso ci ha fatto sapere, è affetto dalla sindrome di Asperger, una sorta di disturbo dello spettro autistico.

È dunque a questa ristrettissima oligarchia di persone che il resto del mondo vede affidato il proprio futuro, e anche il loro presente. Oligarchia è il contrario di democrazia, la grande ammalata dell’Occidente, in condizioni sempre più periclitanti, perché la sua gestione non risiede affatto nelle scelte del “popolo”, ma in quelle — letteralmente — di un minuscolo apparato che, da varie parti del mondo, ne decide le sorti e il destino. Due di questi oligarchi li conosciamo bene, anche perché non vi è un giorno in cui le loro decisioni, a volte scriteriate, non colpiscano varie fasce della popolazione e non siano oggetto di servizi giornalistici. Si prenda, per esempio, il Doge, che non è il magistrato che una volta governava la città di Venezia, ma l’acronimo di Department of Government Efficiency (Dipartimento per l’efficienza governativa) istituito da Trump con un colpo di penna su un ordine esecutivo che così può scavalcare il Congresso e operare in piena autonomia, la cui gestione è stata affidata a Elon Musk, che lo sta ripagando con l’epurazione del settore pubblico di chi ha maggiore senso della propria missione al servizio della collettività. Negli Stati Uniti i suoi effetti — negativi — stanno già riversandosi su migliaia di persone, in gran parte funzionari statali che da un giorno all’altro si sono trovati senza il loro posto di lavoro, e questo perché Musk è pienamente convinto che la macchina statale non debba essere affidata alla gestione di personale di provata esperienza ed efficienza, ma a degli anonimi giovani che lui, sostenuto dal Presidente, sta mettendo a capo di molte agenzie governative, alcune delle quali, inoltre, sono state prontamente smantellate, mettendo in seria crisi diversi settori dell’assistenza statale. Questi giovani che stanno decapitando la macchina statale appaiono vogliosi di ingraziarsi un capo impegnato ad azzerare la spesa delle amministrazioni pubbliche federali. Apparentemente non ci sono limiti al raggio d’azione di questi tagliatori di teste. Una delle Agenzie soppresse, di importanza cruciale, è Usaid, l’agenzia che gestisce i programmi di assistenza allo sviluppo degli Stati Uniti in tutto il mondo. Si tratta di un’agenzia dai compiti vitali che finanzia programmi di assistenza in 120 paesi, ma che secondo Musk sarebbe un verminaio. In effetti Usaid sta finanziando in molti paesi africani programmi di sverminazione dei bambini e di riduzione della maternità tra le minori. Le conseguenze di questa imperdonabile iniziativa di Musk, e di conseguenza di Trump, ha causato la cessazione di colpo dell’attività dell’agenzia in tutto il mondo, fatto chiudere ospedali e scuole in Sudan, licenziare 5.000 operatori sanitari in Etiopia, buttare via quintali di cibo destinati alle popolazioni dell’Africa sub-sahariana, perché non c’è più nessuno in grado di distribuirli.

Se pensare alla solidarietà che i Paesi più ricchi dovrebbero avere nei confronti dei più poveri fra i poveri non basta per capire gli immensi danni sociali di questa operazione, cerchiamo di trovare ragioni egoistiche per cui chiudere i programmi di assistenza allo sviluppo è una follia. L’editto del Doge su Usaid ha anche interrotto i programmi di monitoraggio dell’influenza aviaria in 49 Paesi del mondo, azioni di prevenzione della malaria e altri interventi che hanno permesso di contenere i focolai di Ebola in Guinea, Liberia e Sierra Leone ieri, e oggi in Uganda. Sono programmi fondamentali per ridurre il rischio di nuove pandemie che potrebbero arrivare anche da noi. Lo stop dei finanziamenti a Usaid riguarda anche i fondi destinati ad agenzie Onu per i rifugiati, l’Organizzazione internazionale per le migrazioni, il Programma alimentare mondiale. È evidente, pertanto, che qui ci troviamo di fronte ad un caso tipico di strapotere di un uomo che coinvolge pesantemente le vite di milioni di esseri umani inermi che non possono che subirne le tremende conseguenze perché non possono in alcun modo opporsi a ciò che viene fatto loro, se non subirne i nefasti effetti. L’egoismo e la volontà di potere di uno tengono praticamente in ostaggio milioni di esseri umani che per gli egoarchi al potere non sono altro che numeri.

Passando all’altro egoarca, ci troviamo di fronte al personaggio di Putin, che da vent’anni detiene il potere assoluto in Russia, sfidando perfino il primato di Stalin. Alla volontà di quest’ometto che si crede un gigante è dovuta la perdita di 180.000 giovani russi, più feriti e dispersi che porta il totale a 500.000. Cinquecentomila famiglie che sono in lutto, prive dei loro affetti più cari, per la volontà di potenza di un solo uomo nelle cui mani è affidata la vita e la morte di quasi 150 milioni di persone.

Il quarto oligarca, dopo Trump, Musk e Putin, che domina la vita e il futuro di un miliardo e mezzo di persone è Xi-Jinping, che da dodici anni esercita, lui solo, un potere assoluto su una massa enorme di persone e che ha potere non sottoposto a nessun controllo di stabilire in che modo i suoi “sudditi” debbano vivere la loro vita.

E poi c’è l’Europa, unico gigante senza potere, stretto fra questi due onnipotenti oligarchi, uno dall’altra parte dell’Atlantico e l’altro alle estremità dell’Oriente. Un’Europa che, come abbiamo già detto in altre circostanze, ha dimenticato, o non vuole ricordare che al suo nome va aggiunto l’aggettivo “unita”, che ne farebbe realmente una potenza mondiale se unita lo fosse realmente. Ma negli ultimi tempi vi sono forze potenti al suo interno che tendono a disgregarla invece che a unificarla. Si comincia con il Presidente dell’Ungheria e si continua con la nostra Premier, sempre più indecisa da quale parte schierarsi, che ultimamente si è perfino inimicata la Corte penale internazionale dell’Aja, con la liberazione di un noto massacratore, protetto e rimesso in libertà dal nostro Governo. Al problema della (dis)unione europea si aggiunge poi anche quello della disunione interna al nostro Paese e in molti altri paesi europei, come la Francia e la Germania, in cui forze di orientamento opposto, invece di guardare al benessere dei cittadini e della nazione, guardano al loro orticello personale non tenendo nel minimo conto che, così facendo, mettono in pericolo l’esistenza dell’unico strumento veramente in grado di impedire ai quattro egoarchi di tenere in ostaggio il resto dell’umanità. Un’Europa timida, lacerata, dimentica del suo valore morale, storico, culturale che ne fece patria di grandi battaglie per la conquista della libertà, come la Rivoluzione francese e il Risorgimento italiano.

Auspichiamo che le iniziative assunte dal nuovo inquilino della Casa Bianca e dal suo omologo a Mosca non pongano fine ad ogni speranza di pacificazione del mondo, perché, purtroppo, è a loro che queste speranze sono affidate, anche se non sono chiaramente all’altezza delle enormi responsabilità che su di loro gravano. A noi non rimane che attendere, coltivando la speranza — piuttosto debole — di una inaspettata resipiscenza e nell’alba di un nuovo giorno, in cui prevalgano pace e prosperità.

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