Sono stato forestiero …

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Le migrazioni fanno da sempre parte della storia dell’umanità. Secondo la Bibbia, il primo migrante di fama fu addirittura un uomo di grande lignaggio, Abramo, padre del popolo ebraico, al quale fu Dio in persona ad indicare la via della migrazione: “Esci dal tuo paese e dai tuoi parenti e dalla casa di tuo padre e va al paese che io ti mostrerò” (Genesi 12:1). Da allora il fenomeno non si è più arrestato. Le persone migrano da un luogo all’altro per diverse ragioni e la loro mobilità segue il suo corso e le norme, più o meno restrittive, applicate alle frontiere o all’interno degli spazi sovraregionali o nazionali. Norme che possono influenzare le migrazioni poco o per breve tempo in termini di partenze, che producono però un impatto profondo e di lunga durata sui diritti e sulla qualità della vita di chi migra – tra cui bambine, bambini e adolescenti – e delle comunità di origine o di nuova appartenenza. Questo vale, ovviamente, per chi riesce a sopravvivere a questi viaggi della speranza, che molto spesso perdono per strada, o per mare, molti dei loro profughi.

I principali fattori che spingono a migrare sono di varia natura. Le principali ragioni sono state negli anni e sono ancora oggi: i conflitti tra stati o i conflitti interni ad uno stato, i gravi squilibri economici tra differenti aree geografiche, la presenza di sistemi antidemocratici fonte di persecuzioni e spregio dei diritti umani, i cambiamenti del clima o del territorio, le catastrofi naturali. Ultima, ma non per importanza, la spinta dell’essere umano ad assicurare un’accettabile sopravvivenza a sé e ai propri cari.

Nell’epoca storica che stiamo vivendo, gli squilibri socioeconomici, politici e climatici risultano diffusi e, in alcune aree del mondo, sono in deciso incremento e con essi, inevitabilmente, gli spostamenti di popolazione. Spostamenti che portano con sé la sofferenza di chi deve viaggiare a lungo e pericolosamente, superando frontiere respingenti e affrontando il rischio di subire abusi, tentando di sopravvivere e gradualmente entrare a far parte delle società dei paesi riceventi nonostante gli ostacoli determinati da procedure legali inaffidabili, sistemi di accoglienza mal funzionanti, mancanza di politiche di coesione e la diffusione in molte aree di una cultura di separazione tra gruppi sociali e di ostilità verso le differenze.

Negli ultimi dieci anni vi è stato un incremento delle migrazioni in tutte le aree del mondo, soprattutto in Asia e in Europa. Nel 2020 una persona su 30 risultava vivere in un paese diverso da quello di nascita. Nello stesso anno il numero di persone in fuga da guerre, violenze, persecuzioni e violazioni dei diritti umani nel mondo ammontava, nonostante la pandemia, a circa 281 milioni, il 3,6% della popolazione mondiale; di questi, circa 36 milioni erano minori.

Tra le persone in fuga da guerre, crisi umanitarie, disastri naturali, povertà e regimi autoritari, una quota considerevole è costituita da bambini, bambine e adolescenti. Sono minori che si vedono privati del loro diritto al futuro, che lasciano i propri paesi d’origine con la famiglia o, spesso, da soli. Solo nel 2021, sul totale dei 24.147 minori arrivati in Europa, il 71% erano minori soli. Ma il numero potrebbe essere molto più alto, se si tiene conto dei tanti minori di cui si perdono le tracce.

I minori rappresentano circa un terzo di tutti i rifugiati e migranti che arrivano in Europa. In Italia, fino a metà giugno 2023, sono stati 6.000 i minori senza genitori e figure adulte di riferimento arrivati dopo aver attraversato il Mediterraneo, una delle rotte migratorie più pericolose al mondo, che con il rinnovo del Memorandum Italia-Libia non pone nessun limite alle violazioni dei diritti delle persone migranti.

Guardiamo allora avanti negli anni e attrezziamoci per comunicare il forte messaggio che, anche quando si parla di coesistenza e coesione tra persone di origine italiana e persone con background migratorio, il futuro è già qui. Crediamo sia importante non utilizzare una comunicazione centrata sull’emergenza, ma promuovere la voce dei diretti interessati, valorizzandone la presenza e il contributo che, come tutti, ciascuno per parte sua dà alla società. Inoltre, dovremmo continuare a rafforzare il nostro dialogo con le istituzioni europee, in quanto ormai è chiaro quanto le politiche di gestione dei confini e di inclusione vengano decise a un livello sovranazionale.

Non sarà sfuggito, a chi si interessa dell’argomento, che sempre più spesso da varie parti si fa continuo riferimento alle “radici cristiane” dell’Europa. Ma quanti si sono chiesti qual è in realtà il significato di quest’espressione? Radici comunemente vuol dire che le basi del sistema nazionale dei Paesi che fanno parte dell’Unione Europea sono profondamente radicate sull’etica e sulla morale cristiane; in poche parole sul testamento spirituale che ci avrebbe lasciato Gesù Cristo. In questo lascito vi è un preciso riferimento al problema di cui ci stiamo occupando, cioè le migrazioni. Fu infatti Lui che, nel chiarire che ciò che fa di un gruppo sociale una comunità che tiene conto delle sue “radici cristiane”, vi è l’accoglienza. E nessuna espressione può essere più chiara di quella che troviamo in Matteo 25:35: “Fui estraneo e mi accoglieste in modo ospitale”. Sarebbe interessante chiedere ai nostri governanti “cristiani” qual è per loro il significato di queste parole; se si tratta di roba di nessuna importanza pratica che in uno stato laico non trova applicazione e, in tal caso, bisognerebbe cancellare del tutto l’espressione “radici cristiane” quando si parla dell’Europa e anche dell’America che in quanto a religione è molto, ma molto più condizionata — a parole — dai precetti evangelici. Se potessimo interpellare Trump al riguardo, sarebbe veramente interessante apprendere come il Dio che lo ha protetto, perché lui potesse rendere nuovamente grande l’America, abbia inteso il suo programma di deportare via dagli Stati Uniti circa undici milioni di migranti che vivono in quel Paese. Migranti che, tra l’altro, costituiscono un asse portante della mano d’opera in agricoltura, rappresentando circa il 50% della forza lavoro impiegata in quel settore. Percentuale che, sebbene non così elevata, vale anche per il nostro paese, l’Italia, nel quale circa il 25% di coloro che sono impiegati in agricoltura, nell’industria manifatturiera e siderurgica sono irregolari e spesso lavorano in nero. Chi raccoglierà i pomodori, il cotone, le arachidi, chi si occuperà dei servizi, del settore della ristorazione, della cura della persona, dato che in grandissima percentuale sono “estranei” che non sono stati accolti in “modo ospitale”, ma costretti dalla ormai gravissima mancanza di mano d’opera locale, per così dire “indigena”, che non accetta più di svolgere attività che cede volentieri ai diseredati, che risultano molto comodi a chi li assume perché, dato il loro “status” di clandestini, di irregolari, ecc., non possono rivendicare alcun diritto perché temono di perdere quel lavoro che gli consente di far sopravvivere le loro famiglie, e di essere espulsi e rimandati nei paesi dai quali sono fuggiti. Ritornando al Dio che ha posto la sua ala protettrice sul neopresidente americano perché questi potesse così “rendere nuovamente grande l’America”, chissà cosa pensa delle foto pubblicate sul sito della Casa Bianca di migranti con i ceppi e incatenati alla vita, che costituiscono una sordida icona del cattivismo più conformista che, ricordando le folle disperate che venivano deportate nei campi di concentramento nazisti, ancor oggi creano un forte senso di scoramento in chi le osserva. La realtà è che il fenomeno migratorio rappresenta oggi il maggiore punto di forza delle destre di tutto il mondo. Il fenomeno delle migrazioni è enorme, ed enormemente complesso, e richiede risposte altrettanto complesse, provvedimenti razionali e strategie intelligenti, mentre i programmi delle destre sono palesemente semplici, ma si trascura il fatto che il già accennato piano di espulsione americano richiederebbe dieci anni e una spesa di mille miliardi. L’America se lo può permettere o è soltanto, come crediamo fermamente, propaganda politica senza seguito? Comunque il problema, abbiamo già visto, riguarda anche il nostro paese, l’Italia. Il cosiddetto “protocollo Albania” sembra ispirarsi a quel meccanismo psichico che le discipline della mente definiscono rimozione. Il processo, cioè, che trasferisce altrove, nell’inconscio, pulsioni, angosce e fobie; e che si realizza attraverso la sottrazione allo sguardo e, dunque, alla consapevolezza di ciò che è fattore di inquietudine e ansia. Ecco, il nascondimento dei migranti fuori dai confini nazionali e dentro galere etniche risponde a questa esigenza di occultare il “perturbante” (Freud). La funzione demagogico-propagandistica delle iniziative anti-migranti delle destre è sicuramente potente, efficace nel breve periodo e assai remunerativa sul piano elettorale, ma quando il piano di Trump si scontrerà con la realtà di cui abbiamo già detto, cosa accadrà? E, per chiudere con il riferimento alle parole di colui che è la base delle “radici cristiane”, forse sarebbe opportuno che ci si ricordasse anche ciò che lui disse parlando di coloro che violano la sua esortazione all’accoglienza: “Andatevene da me, voi che siete stati maledetti, nel fuoco eterno preparato per il Diavolo e i suoi angeli. Poiché fui estraneo ma non mi accoglieste in modo ospitale”. Radici cristiane, allora? Stiamo bene attenti a ciò che facciamo, perché in esse è anche prevista la sorte riguardante chi le viola!

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