Il piroscafo a vapore naviga veloce nella notte stellata, solo un refolo di scirocco spira, caldo e umido da sud est, increspando leggermente le onde sotto la chiglia di legno e ferro rivettata, facendo appena impennare l’imbarcazione. La nave “Ercole”, partita da Marsala il giorno prima, è il moderno vanto dell’ex flotta borbonica, e può tranquillamente sfidare i mari oceanici. Si avvicina alla costa tra l’isola di Capri e Punta Campanella, tra poche ore dovrebbe attraccare nel porto di Napoli. Il buio è quasi completo ed in coperta non c’è nessuno, o meglio, guardando bene qualcuno ci sta. Un uomo intabarrato scioglie l’ormeggio della scialuppa di salvataggio e manovra per farla discendere in acqua sulla paratia sinistra. Completata in poco l’operazione s’avvia in mare illuminando le onde con la poca luce di una lanterna cieca. A forza di remate punta alla vicina riva… All’ improvviso un boato fragoroso seguito da un bagliore accecante illumina la notte. L’uomo nella scialuppa guarda compiaciuto l’opera di sabotaggio eseguita: ha fatto saltare quella maledetta nave e fatto colare a picco i passeggeri con tutti i loro segreti.
Sembra l’incipit di un romanzo d’avventura o la prima puntata di un feuilleton ottocentesco; invece potrebbe essere la probabile ricostruzione di un misterioso incidente nautico realmente accaduto. Il 4 maggio 1861, a soli tredici giorni dalla proclamazione del Regno d’Italia, il piroscafo Ercole di circa 45 tonnellate di stazza lascia Palermo. Appartenente alla compagnia Calabro-Sicula, la nave è comandata dall’esperto capitano Michele Mancino, con un equipaggio di 18 uomini, napoletani e calabresi, e tra i 40 e i 60 passeggeri. Carico fino al limite con 232 tonnellate di merce, il vapore è diretto a Napoli con un viaggio previsto di 28 ore. Tra i passeggeri vi sono alcuni garibaldini reduci dalla “spedizione dei mille”, tra loro Ippolito Nievo, lo scrittore de “Le confessioni di un italiano“, volontario col grado di colonnello e nominato da Garibaldi in persona a capo della gestione finanziaria per la sua specchiata onestà. Nievo, richiamato in continente per essere ascoltato in Parlamento su presunte malversazioni, custodisce l’intera documentazione contabile dell’impresa garibaldina in Sicilia. Sorvegliate in dieci casse ricevute, fatture, lettere e persino denaro confiscato nelle banche, insomma tutte le evidenze della gestione finanziaria del dittatore pro-tempore Garibaldi. Tra questi documenti scottanti le prove di un finanziamento di diecimila piastre turche giunto alle camicie rosse dalla massoneria inglese, da usare per corrompere gli alti ufficiali borbonici di stanza in Sicilia e farli rinunciare allo scontro campale. Alle tangenti d’oltremanica si aggiungevano, inoltre, le ricevute delle transazioni dei cospicui contributi donati per acquistare armi e munizioni raccolti dai giornali, dai circoli liberali, dalle associazioni tricolore, da privati cittadini. Tutto il denaro passato per le mani di Nievo e pedissequamente registrato in un diario personale mai ritrovato. Tuttavia, il piroscafo non giunse mai a Napoli e il mistero s’infittì ulteriormente. Si parlò di un inabissamento causato dalle esplosioni delle caldaie vaporiere; non vennero mai trovati né cadaveri, né superstiti, né rottami della nave. Niente. Tutto sembrava essersi dissolto nel mare, inghiottito dai flutti al largo di Punta Campanella.
Ippolito Nievo era uno che ci credeva veramente nell’Unità del Paese, fervente mazziniano, sognava un mondo di eguali e amava ripetere: “Un popolo che tradisce i suoi ideali non è degno di chiamarsi nazione”, eppure si ritrovò ad essere l’uomo giusto nel momento e nel posto sbagliato. Come vedremo, grandi e spregiudicati interessi internazionali ruotavano attorno alla “conquista” del regno duosiciliano e l’onestà degli amministratori non era un requisito principe, anzi.
All’origine dell’ostilità tra la casata borbonica e l’Impero britannico c’erano vecchie ruggini. Innanzitutto la mancata partecipazione napoletana alla guerra di Crimea del 1853 al fianco degli inglesi, l’aiuto palese dato allo zar Nicola II che, grazie alla dichiarata neutralità dei porti meridionali, permise all’esercito russo di approvvigionarsi. Inoltre il contenzioso sullo sfruttamento dello zolfo e del salnitro siciliano, indispensabili per la produzione della polvere da sparo. Francesco II, salito al trono nel 1859, aveva tentato di mettere in discussione il monopolio delle grandi compagnie inglesi nell’estrazione dei preziosi minerali dalle miniere del regno. Da qui l’appoggio britannico alla causa Savoia, sottobanco con i finanziamenti occulti e palesemente con la presenza della flotta inglese a proteggere lo sbarco garibaldino di Marsala “per liberare il popolo meridionale dalla monarchia oscurantista” dei Borbone, come ebbe a dire il parlamentare inglese William Gladstone, “negazione di Dio eretta a sistema di governo”.
La “rivoluzione”, avrebbe detto in seguito Ippolito Nievo, “non esisteva”: furono i patrioti italiani a portarla. Il Regno delle Due Sicilie, come osservò Benedetto Croce, “non cadde per implosione, ma per urto esterno”. Una dinamica comune nella storia, ma su cui è stato costruito il mito dei Mille, un mito fondante, come ogni nazione possiede. Tuttavia, resta un mito, non storia. “Gli errori politici e militari borbonici e le straordinarie gesta dei garibaldini vanno egualmente ridimensionati: i primi sono meno gravi di quanto non si ritenga, le seconde meno fulgide”(Paolo Macry, Unità e Mezzogiorno, come l’Italia ha messo insieme i pezzi, Saggio edito da Il Mulino).
Nievo, grande patriota, si trovò di fronte a una realtà ben diversa da quella immaginata: nessuna insurrezione popolare, ma al contrario diffidenza e ostilità verso i “liberatori”. Le lettere all’amata Matilde Ferrari descrivono chiaramente il clima ostile che incontrarono a Marsala e Palermo. Lo scrittore, come altri idealisti, si accorse presto della presenza di opportunisti più interessati ai fondi che agli ideali. Responsabile della sussistenza dei volontari (paghe, divise, armamenti) gestì anche i servizi carcerari e ospedalieri cercando di razionalizzare le forti uscite. Disgustato, si accorse dei trucchi usati dai comandanti per gonfiare i contingenti e ottenere stipendi aggiuntivi non dovuti. Durante un appello nominativo, scoprì un centinaio di soldati mancanti e fece arrestare un maggiore dei garibaldini. Le sue denunce iniziarono a circolare, e qualcuno lo accusò falsamente di aver usato impropriamente i soldi. Nievo rispose, a mezzo stampa, con un rapporto dettagliato che metteva in evidenza irregolarità e responsabilità, preoccupando chi aveva qualcosa da nascondere. Deluso, decise di abbandonare tutto per dedicarsi ai suoi libri. Quando si imbarcò per Napoli portando con sé casse di documenti compromettenti da mostrare alla Camera, sappiamo come andò a finire. Fu il primo grande mistero dell’Italia unita. Come ricorda lo storico Giovanni Boccia, scomparvero tutti i documenti ufficiali riguardanti l’organizzazione dei Mille, i trasporti marittimi, i libri contabili delle spese sostenute e gli atti relativi all’incameramento dei beni pubblici del Regno di Napoli da parte di Garibaldi. E così il piroscafo Ercole scomparve tra le onde, portando con sé un carico di uomini, speranze e segreti. Nessuna traccia, nessuna verità certa: solo il mare, muto e complice, a custodire le risposte. Ippolito Nievo, che aveva sognato un’Italia unita e giusta, svanì nell’oblio insieme a quel che rimaneva della sua fiducia negli ideali che lo avevano mosso. Ma le domande rimangono, come onde che continuano a infrangersi contro la scogliera della Storia: chi aveva tanto da perdere da rendere necessaria la sua scomparsa? E soprattutto, a quale costo fu costruita la nostra Nazione? Il mito, radicato nella memoria collettiva, celebra l’eroismo e la gloria, ma forse, come Nievo stesso intuì, nasconde compromessi, inganni e tradimenti. E allora, guardando il mare al largo di Punta Campanella, dove forse giace ancora lo scheletro di quella nave, non resta che interrogarsi: è possibile costruire una nazione sulla menzogna? O la verità, come le acque profonde, è destinata prima o poi a riemergere, reclamando il suo spazio nella Storia?