Credere o non credere?

tempo di lettura: 5 minuti

Sono ben più di sei miliardi nel mondo le persone che dichiarano di aderire ad un gruppo religioso; il che, di conseguenza, vuol dire che questa enorme massa di uomini e donne dichiara apertamente di credere in un dio. I più sono i cristiani, sparpagliati in mille rivoli per il proliferare di religioni e sette che si rifanno a Cristo quale loro salvatore. Non trascuriamo il fatto, però, che molti di loro sono ufficialmente cristiani non per un percorso di conversione e quindi di adesione ad una fede frutto di maturazione e riflessione, ma lo sono dal momento del battesimo, compiuto in un’età nella quale nessun essere umano è in grado di scegliere alcunché, tanto meno una fede. Pertanto si è cristiani anagrafici perché su un foglio di carta è scritto: nazionalità italiana; fede religiosa cattolica; nato il …, residente in …

Dopo i cristiani, a stretto giro seguono, per numero, gli aderenti all’Islam e infine troviamo gli induisti e i buddisti. In coda, con percentuali molto inferiori, seguono una congerie di culti, dall’ebraismo ai culti locali percentualmente insignificanti, movimenti e sette. Queste cifre, frutto di accurate ricerche da parte di enti specializzati, lasciano spazio ad una percentuale non indifferente di persone che non pratica alcuna religione, né crede in alcun dio. Sono quelli che vengono etichettati come atei, o più diplomaticamente “non credenti”, che comunque rappresentano una bella fetta dell’umanità, circa il 16% su una popolazione di 8 miliardi.

Poiché, riferendoci per il momento soltanto all’Europa occidentale e agli stati nordamericani, le statistiche mostrano con certezza che in queste nazioni il cristianesimo è la religione in assoluto più numerosa, non si può fare a meno di porsi la domanda: com’è possibile che paesi “affratellati” dalla credenza in un unico dio supremo e in attesa del ritorno di Cristo da millenni si combattano fra di loro, facendo della storia del continente europeo, il più acculturato, il più ricco di menti e intelletti che ne hanno fatto il centro dello sviluppo umanistico, culturale, scientifico e anche mistico, un perenne campo di battaglia?

Questo non può non sollevare dubbi su ciò che effettivamente comporta il dichiararsi ed essere cristiano. In un’Europa diventata sempre più laica negli ultimi decenni, e nella quale la pratica religiosa va via via decrescendo, il dichiararsi appartenente ad una determinata fede, come abbiamo già detto, sembra più che altro un dato anagrafico. E questo non può revocarsi in dubbio perché è ampiamente dimostrato che l’appartenenza a un gruppo religioso è secondaria rispetto all’appartenenza ad un gruppo nazionale, pertanto il nazionalismo batte abbondantemente la religione. E questo nonostante la chiarezza con la quale, a suo tempo, un grande apostolo cristiano ci abbia ricordato: “siete tutti figli di Dio per mezzo della vostra fede in Dio. Poiché tutti voi che foste battezzati in Cristo avete rivestito Cristo. Non c’è né Giudeo né Greco, non c’è schiavo né libero, non c’è né maschio né femmina poiché siete tutti uno solo in Cristo” (Lettera ai Galati 3:28).

Alla luce di queste parole, che annullano ogni nazionalismo per chi aderisce alla fede cristiana, il partecipare a una guerra è una dissociazione pubblica dalla propria fede religiosa, che condanna senza mezzi termini la guerra, e quindi credere in Dio e ai suoi precetti è subordinato ampiamente all’ubbidienza all’autorità terrena che è al di sopra di qualunque Ente Supremo. Può sembrare banale porsi questa domanda, ma che differenza c’è sul campo di battaglia fra un credente e un non credente? Pare proprio che non ve ne sia nessuna. Forse il credente spara a salve e il non credente spara piombo? A chi dei due può applicarsi il motto “chi per la patria muor vissuto è assai”? Evidentemente a entrambi, che hanno anteposto la patria a Dio. In teoria un cristiano dovrebbe essere disposto a morire per non venir meno alla sua fedeltà ai precetti della sua religione, e non a quelli di altri uomini. Anche perché la morte da martire o per la fede è ricompensata nel cosiddetto aldilà, luogo che nessuno ha mai visto e non potrà mai vedere, e nel quale viene promessa una vita eterna nell’eterna felicità. Promessa che si basa sulla fiducia, o fede, in chi ce l’ha insegnato e che non può essere smentito perché la ricompensa avviene in un reame inaccessibile all’uomo e nessuno è mai ritornato da quel luogo per parlarcene. All’ateo, invece, tutto ciò non può spettare a motivo della sua miscredenza.

Prima di passare ad altro, va fatta una riflessione circa la natura “anagrafica” della fede. Infatti è ben noto che da tempo immemorabile spesso cristiani si nasce, non si diventa. Abbiamo già detto poco prima che quando un essere umano di pochi giorni di vita viene portato al fonte battesimale e lo si consacra cristiano, ciò accade senza che l’oggetto di questa affiliazione ne sappia niente, né gli sia data una facoltà di scelta che la sua età non gli consentirebbe. È legittimo perciò chiedere a un cattolico che tipo di credente può essere qualcuno la cui affiliazione religiosa gli è stata imposta insieme al nome e alla nazionalità, ma senza aver seguito uno straccio di percorso di conversione. Si nasce bianchi, neri, gialli o di qualsiasi altro colore, e non vi è possibilità di scelta, ed è così anche per la religione. Si nasce cattolici, o protestanti o altro, ma senza averci messo un briciolo di volontà personale.

Abbiamo intitolato questo articolo “credere o non credere?” in quanto siamo alla ricerca di chi possa spiegarci con chiarezza in che cosa consista all’atto pratico la differenza, se pure ve n’è una. Nell’attesa ci sembra opportuno fare riferimento ad un libretto di una trentina di pagine (La frode svelata), nel quale Cristòvão Ferreira, un ex gesuita portoghese, nel ‘600 affermava “che Dio non ha creato il mondo; che, del resto, il mondo non è mai stato creato; che l’anima è mortale; che non esistono né inferno, né paradiso, né predestinazione; che i bambini morti sono indenni dal peccato originale, il quale, in ogni modo, non esiste; che il cristianesimo è un’invenzione; che il Decalogo è una sciocchezza impraticabile; che il papa è un personaggio immorale e pericoloso; che il pagamento di messe, le indulgenze, la scomunica, le proibizioni alimentari, la verginità di Maria, i re magi sono tutte scemenze; che la resurrezione è un racconto irragionevole, ridicolo, scandaloso, un inganno; che i sacramenti, la confessione sono sciocchezze; che l’eucarestia è una metafora, il giudizio universale un delirio incredibile”.

Alla luce di queste nostre riflessioni è adesso meno difficile dare una risposta al se credere o meno. Come scrive Michel Onfray nel suo Trattato di ateologia (Fazi editore, 2005): “Se l’esistenza di Dio, indipendentemente dalla sua forma ebraica, cristiana o musulmana, premunisse appena dall’odio, dal saccheggio, dall’immoralità, dalla concussione, dallo spergiuro, dalla violenza, dal disprezzo, dalla cattiveria, dal crimine, dalla corruzione, dalla furbizia, dalla falsa testimonianza, dalla depravazione, dalla pedofilia, dall’infanticidio, dalla crapula, dalla perversione, avremmo visto non gli atei — che sono intrinsecamente viziosi —, ma i rabbini, i preti, i papi, i vescovi, i pastori, gli imam, e insieme i loro fedeli, tutti i loro fedeli — e sarebbe un bel po’ di gente — praticare il bene, eccellere nella virtù, dare il buon esempio e dimostrare ai perversi senza Dio che la moralità si trova dalla loro parte; che essi rispettano scrupolosamente il decalogo e obbediscono all’invito di sure scelte, che quindi non mentono, non saccheggiano, non rubano e non violentano, non fanno falsa testimonianza e non uccidono — che meno ancora fomentano attentati terroristici a Manhattan o spedizioni punitive nella striscia di Gaza, e non coprono i maneggi dei loro preti pedofili. Vedremo allora i fedeli convertirsi attorno a loro per mezzo dei loro comportamenti radiosi, esemplari!” Invece …

Smettiamola dunque di associare il male sul pianeta all’ateismo! L’esistenza di Dio, mi sembra, nella storia ha generato in suo nome ben più battaglie, massacri, conflitti e guerre che pace, serenità, amore del prossimo, perdono dei peccati o tolleranza. Che io sappia, i papi, i principi, i re, i califfi, gli emiri non hanno particolarmente brillato per virtù, così come già Mosè, Paolo e Maometto da parte loro eccellevano rispettivamente nell’omicidio, nel pestaggio o nella razzia. Tutte variazioni sul tema dell’amore per il prossimo. La storia dell’umanità insegna le prosperità del vizio e le disgrazie della virtù. Non esiste giustizia trascendente più di quanto esista giustizia immanente. Dio o no, nessun uomo ha mai dovuto pagare per averlo insultato, trascurato, disprezzato, dimenticato o contrariato! I teisti hanno un bel da fare contorsioni metafisiche per giustificare il male sul pianeta pur affermando l’esistenza di un Dio al quale nulla sfugge. I deisti sembrano meno ciechi, gli atei sembrano più lucidi”. Alla luce di quanto sopra esposto, lascio al lettore la scelta posta nella domanda del titolo.

Rispondi

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.

Torna in alto