Lo schiavismo esiste ancora?

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“Consideriamo verità evidenti per se stesse che tutti gli uomini sono creati uguali; che sono stati dotati dal loro Creatore di taluni diritti inalienabili; che, fra questi diritti, vi sono la vita, la libertà e il perseguimento del benessere”. Questi sono tre dei principi fondamentali contenuti nella Dichiarazione d’indipendenza degli Stati Uniti d’America (Filadelfia 4 luglio 1776).

“Tutti gli uomini sono creati uguali”, poiché è scritto nel primo libro della Bibbia, che per molti statunitensi è ancora un testo sacerrimo sul quale si devono basare le leggi emanate dal Congresso, è quindi evidente che non può che essere così perché Colui che li ha creati uguali spiegò che l’uomo che aveva appena formato “dalla polvere della terra” era stato fatto “a sua immagine, secondo la sua somiglianza”, e poiché Dio è l’essere supremamente libero, non diversamente doveva essere anche per il primo esemplare della razza umana.

Ma le cose, in effetti, non andarono proprio così. La natura umana, più lontana che mai dalle informazioni che traiamo dalla Bibbia, non perse molto tempo e rivelarsi per quella che era e che continua ad essere, anche se rivestita dalla patina della “civiltà”. Nel testo biblico non troviamo nessuna indicazione sul colore della pelle di Adamo ed Eva, ma si dà per scontato che fossero bianchi, anche perché l’essere di colore diverso non era considerato un fatto evolutivo e genetico, ma il risultato di una maledizione. Maledizione pronunciata da Noè in seguito ad una mancanza di rispetto di suo figlio Cam, «quando Noè si fu risvegliato dall’ebbrezza, seppe quanto gli aveva fatto il figlio minore; allora disse: “Sia maledetto Canaan! Schiavo degli schiavi sarà per i suoi fratelli!”. E aggiunse: “Benedetto il Signore, Dio di Sem, Canaan sia suo schiavo! Dio dilati Iafet ed egli dimori nelle tende di Sem, Canaan sia suo schiavo!”». (Genesi, 9:24-27). Lo schiavismo, quindi, nacque in seguito a un solenne pronunciamento avallato da Dio, che proprio per questo divenne una sorta di comandamento. Su queste basi scritturali, Padri e Dottori della Chiesa, oltre a papi e concili, giustificarono lo schiavismo e il razzismo nei confronti delle popolazioni africane e il loro conseguente sfruttamento, anche da parte della Chiesa Cattolica che ne trasse un notevole ritorno economico.

Anche Sant’Agostino (354-430), uno dei più importanti Padri e Dottori della Chiesa, richiamerà tale maledizione: “Ma a far sì che una persona divenisse schiava di un’altra persona è stato il peccato o l’avversità: il peccato, come è detto: Sia maledetto Canaan! Schiavo sarà dei suoi fratelli (Gn 9,25)” e “Si deve capire che a buon diritto la condizione servile è stata imposta all’uomo peccatore. Perciò in nessun testo della Bibbia leggiamo il termine “schiavo” prima che il giusto Noè tacciasse con questo titolo il peccato del figlio. Dunque prima causa della schiavitù è il peccato per cui l’uomo viene sottomesso all’uomo con un legame di soggezione, ma questo non avviene senza il giudizio di Dio, nel quale non v’è ingiustizia”.

Anche se oggi, nel XXI secolo, quasi nessuno crede più che il colore della pelle dei tre figli di Noè dipendesse da una decisione di Dio, ma da un semplice processo evolutivo, è innegabile che per molti secoli — e ancora oggi — la schiavitù quasi esclusivamente esercitata sulle popolazioni di colore per scopi principalmente economici, rappresenta una delle macchie indelebili della storia umana. Per poterla giustificare sono state elaborate molte teorie, fra le quali quella che le popolazioni di colore non godono dello stesso status di Homo Sapiens di pelle esclusivamente bianca e che, pertanto, trattandosi di una sottospecie umana, fosse del tutto legittimo considerarla solo un gradino in più rispetto alle specie animali, e che fosse quindi del tutto legittimo “utilizzarla” come uno strumento di produzione a basso costo. Strumento che non avrebbe avuto nessuno dei diritti spettanti a chi era di pelle bianca, diritti dei quali il più importante è la libertà. “Per libertà si intende la condizione per cui un individuo può decidere di pensare, esprimersi ed agire senza costrizioni, ricorrendo alla volontà di ideare e mettere in atto un’azione, mediante una libera scelta dei fini e degli strumenti che ritiene utili a realizzarla”. Riguardo all’ambito in cui si opera la libera scelta, si parla di libertà morale, giuridica, economica, politica, di pensiero, libertà metafisica, religiosa, ecc. Afferma Isaiah Berlin: «L’essenza della libertà è sempre consistita nella capacità di scegliere come si vuole scegliere e perché così si vuole, senza costrizioni o intimidazioni, senza che un sistema immenso ci prende e ci massacra; e nel diritto di resistere, di essere impopolare, di schierarti per le tue convinzioni per il solo fatto che sono tue. La vera libertà è questa, e senza di essa non c’è mai libertà, di nessun genere, e nemmeno l’illusione di averla.» — La libertà e i suoi traditori (Ed. Adelphi, 2005).

È palesemente ovvio che il cristianesimo, che avrebbe dovuto portare all’affrancamento degli schiavi, non modificò di uno iota la loro condizione, se perfino Paolo di Tarso, il primo dei grandi teologi della nascente religione, la considerava una condizione naturale, discendente, come abbiamo visto, da una decisione divina, e i cristiani, che avrebbero dovuto essere tutti fratelli, erano anch’essi  soggetti alla discriminazione in liberi e schiavi, (è difficile amalgamare la fratellanza con la schiavitù), mentre secondo le parole di Gesù la “verità”, cioè la sua dottrina, avrebbe dovuto renderli tutti liberi (Giov. 8:32). E se, in base a quanto dice la Costituzione americana, tutti gli uomini hanno il diritto di ambire alla felicità, ci si chiede come è possibile conciliare questa solenne affermazione con la condizione di schiavitù in cui in quello stesso periodo soggiacevano più di quattro milioni di cittadini che avevano l’unica colpa di non essere bianchi. Ma, dato che abbiamo parlato di Noè e di Paolo, si potrebbe pensare che, pur essendo un’aberrazione con basi religiose, essa sia ormai un ricordo del passato, un passato nel quale più di dodici milioni di esseri umani furono stipati nelle “navi negriere” alla stessa stregua di merci, e questo fino alla fine del XIX secolo, quando ufficialmente la schiavitù venne abolita negli Stati Uniti.

Abolita: che significa? che essa oggi non esiste più? No, decisamente no! La schiavitù non è qualcosa che riguarda solo il passato. È una pratica che ha radici profonde. Esiste ancora oggi in molte forme diverse: traffico di esseri umani, sfruttamento del lavoro per debiti, sfruttamento dei bambini, sfruttamento sessuale e lavori domestici forzati ne sono solo alcune. Una più grave e disumana dell’altra. La schiavitù moderna riguarda tutti i Paesi del mondo. Ce lo dicono i dati. Ce lo dicono i numeri sull’incidenza della schiavitù moderna nelle grandi macroregioni in cui è diviso il mondo: 7,6‰ in Africa; 6,1‰ in Asia Meridionale e Asia Pacifica; 3,9‰ in Europa, Medio Oriente e Russia; 3,3‰ negli Stati della penisola araba; 1,9‰ in America settentrionale, centrale e meridionale. E sebbene oggi essa non sia più considerata una legge divina, è comunque soggetta all’altra grande divinità che è il profitto. Infatti i profitti derivanti dalla schiavitù moderna sono molto, molto più alti nei Paesi industrializzati che in ogni altra parte del mondo: 51 miliardi e 800 milioni di dollari americani all’anno in Asia e nei Paesi del Pacifico e quasi 47 miliardi di dollari americani all’anno nei cosiddetti Paesi industrializzati. Una delle sue forme moderne più atroci è il lavoro. Secondo i dati dell’Organizzazione internazionale del lavoro, i bambini e i giovani che sono vittime del lavoro minorile sono 152 milioni. Circa la metà di loro è impegnata in lavori pericolosi, che mettono seriamente a repentaglio la loro salute.

Dopo quello che abbiamo appreso, parlare ancora di diritti umani sembra una presa in giro che, nell’antichità come anche oggi, non tiene nel minimo conto il diritto naturale. E, a proposito di diritto naturale, non possiamo non rifarci a Immanuel Kant, nel suo Metafisica dei costumi (Ed. Laterza, 2009), secondo il quale l’unico diritto innato, cioè tale che è trasmesso all’uomo dalla natura e non da un’autorità costituita, è la libertà, ovvero l’indipendenza da ogni costrizione imposta dalla volontà dell’altro, ancora una volta la libertà come autonomia. In realtà dobbiamo dolorosamente affermare che, da quando esiste l’Homo Sapiens, non vi è mai stato un periodo in cui egli non abbia prevaricato sui suoi simili, giustificando questo sopruso assimilando altri al rango di animali, che la moralità comune ha sempre considerato come oggetti o al massimo come soggetti passivi, senza diritti. Ancora una volta sentiamo l’obbligo di rivolgerci a Norberto Bobbio e al suo L’età dei diritti, nel quale l’argomento in questione viene sviscerato sotto ogni aspetto. E, infine, per farsi un’idea anche approssimativa dello stato delle cose nel quale ci troviamo a vivere, considerandoci evoluti e progrediti rispetto al passato, bastino queste cifre: il numero di persone in forme di schiavitù moderna è aumentato significativamente negli ultimi cinque anni. Nel 2021 le persone in schiavitù moderna erano 10 milioni in più rispetto a quanto registrato dalle stime globali del 2016. Donne e bambini sono maggiormente vulnerabili. La schiavitù moderna è presente in quasi tutti i paesi del mondo e non conosce frontiere etniche, culturali o religiose. Più della metà (52 per cento) del lavoro forzato e un quarto di tutti i matrimoni forzati si concentrano nei paesi a reddito medio-alto o alto, quindi in paesi “civili” dove il cittadino medio spesso ignora del tutto ciò che accade e quale sia la provenienza delle merci e dei cibi che costituiscono la sua vita quotidiana. Spesso si tratta di roba che è indelebilmente macchiata dal sudore e dal sangue di nostri “fratelli umani” e cioè le bestie da soma moderne. Una dolorosa constatazione, quindi, che emerge da quanto precede, è che siamo ancora lontani anni luce dal potere affermare che in questa società moderna l’uomo è considerato uomo e non oggetto, e temiamo che questo traguardo sia difficile da raggiungere.

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