Se fosse ancora vivo, vorrei poter affidare alla penna magistrale di Edward Gibbon, autore della monumentale Storia della decadenza e caduta dell’impero romano, l’impegnativa redazione di un’altra storia, quella del declino o decadenza dell’Unione Europea (UE) nel suo insieme e delle nazioni che ne fanno parte individualmente. Il XXI secolo si aprì nel segno (e nel sogno) di un’Europa unita e il 1° gennaio 2002 venne introdotta la moneta unica nei paesi dell’Unione. Questo sogno appena realizzato aveva avuto inizio con la fondata speranza di poter costituire un polo economico e politico in grado di contrastare l’ascesa di Cina e Russia e il crescente indebolimento dell’ex potenza mondiale degli Stati Uniti. Purtroppo, sembra che l’UE faccia sempre più fatica ad affermarsi e che piuttosto vi sia il fondato timore del suo infrangersi contro il ritorno dei nazionalismi e dei fenomeni populisti e sovranisti sempre più diffusi. Il primo colpo mortale a questa nuova creatura – nata sui sogni di Altiero Spinelli, Ernesto Rossi ed Eugenio Colorni – lo diede cinque anni fa la meno europea delle nazioni europee, ma ciò nonostante, un componente di grande importanza, cioè il Regno Unito con la Brexit, cioè l’uscita formale della Gran Bretagna dall’Unione, evento considerato una strepitosa vittoria dal “padre” della secessione, Boris Johnson, uno dei politici più controversi e meno brillanti della politica inglese. Quell’uscita, ritenuta da meno di metà degli inglesi come una strepitosa vittoria, oggi sta presentando un conto molto salato ai sudditi della perfida Albione. E lo attesta il quotidiano inglese The Independent, che lo certifica con una prima pagina memorabile: “Cinque anni dopo, ecco il vero costo della Brexit”, e giù una valanga di numeri a dimostrare i danni dell’addio di Londra a Bruxelles. Che, per i sondaggi, vede i britannici sempre più nostalgici della UE.
L’Europa unita, nel suo insieme, rappresenta più di ogni altra nazione o coacervo di nazioni, il cuore del mondo in cui viviamo. È in Europa che negli scorsi mille anni sono nati quegli uomini e quelle formule politiche che hanno dato al mondo una straordinaria fioritura umanista, scientifica, letteraria, così come secoli prima aveva fatto la Grecia con la sua filosofia e le grandi opere immortali dei suoi saggi. Se cominciassimo a comporre l’elenco degli uomini che l’hanno resa un crogiolo di civiltà e di progresso, avremmo bisogno di molte pagine, ma non è necessario perché chi ha anche un minimo interesse per la nostra storia li conosce già. Ma questo splendido fiore, nato dalla volontà ferrea di alcuni lungimiranti europeisti, sembra che stia appassendo. Ecco perché ci auguriamo di assistere, come accadde dopo l’anno Mille, a una rinascita dell’umanesimo, a un superamento delle crisi demografiche e a un rifiorire della civiltà, e avviarci a partire da questo nuovo anno a un periodo di pace e progresso.
Malauguratamente, però, sono molti quelli che remano contro questo progetto di rinascita, e al primo posto vi è l’uomo più ricco e pericoloso del mondo. Il suo nome è Elon Musk, al quale gli Stati Uniti debbono la rielezione di Donald Trump alla Casa Bianca e che opera entrando a gamba tesa nella politica delle nazioni europee, condizionandola con la sua potenza economica e tecnologica. Si pensi soltanto al sistema Starlink, grazie al quale il plutocrate americano ha costellato il cielo di 6.176 satelliti, che si avviano a diventare 35.000, grazie ai quali ha costituito una rete che mira a fornire l’accesso a Internet a livello globale, e adesso preme con forza sul nostro Governo, che tentenna, affinché, con la modica spesa di 1,5 miliardi di euro, possa entrare a far parte dei paesi che usufruiscono di Starlink, cosa che consentirebbe al miliardario Usa di controllare le trasmissioni sensibili e d’emergenza; insomma daremo l’accesso a un solo uomo quasi onnipotente agli affari più riservati e segreti delle nostre istituzioni.
Due capi di stato europei si sono resi conto di quale pericolo rappresenti la sempre maggiore ingerenza di questo personaggio nella politica dell’Unione, così Macron (Francia) e Starmer (Inghilterra) l’hanno spinta a stare in guardia contro l’utilizzo dei social a fini impropri, perché “elezioni libere ed eque sono cruciali per le nostre democrazie”. Perché questo timore? Perché il braccio destro di Trump e uomo più ricco del mondo è giunto ormai al delirio di onnipotenza sul suo social X: accuse, offese, umiliazioni quotidiane ai politici, anatemi contro i leader di cui chiede arbitrariamente la rimozione, benedizioni a criminali di estrema destra come l’inglese Tommy Robinson. Musk è ormai un incessante ventriloquo di fondamentalismi brutali e reazionari postati a ogni ora del giorno e della notte che, finalmente, hanno destato la reazione del vecchio continente. Come dice il presidente Macron, Musk “sostiene attivamente l’internazionale reazionaria e interferisce nel voto di altri paesi”, mentre il cancelliere tedesco Scholtz afferma che “Più degli insulti preoccupa che faccia campagna per un partito di destra come l’AfD”. Ma oltre a questi due uomini politici di non indifferente peso, anche l’Austria è sotto shock, perché il presidente austriaco della Repubblica, Alexander Van der Bellen è stato costretto a incontrare l’uomo al quale non avrebbe mai voluto conferire l’incarico di cancelliere e cioè il leader dell’estrema destra Herbert Kickl, il cui governo sposterà radicalmente l’Austria, cuore dell’Europa (e, non dimentichiamolo, patria di Hitler) verso l’asse filorusso Ungheria-Slovacchia tingendo di nero la Mitteleuropa. Anche la Norvegia si è mossa, e il suo presidente Jonas Gahr Store ha detto: “trovo preoccupante che un uomo con un enorme accesso ai social e grandi risorse finanziarie sia così direttamente coinvolto negli affari interni di altri paesi”. Ma la lite al calor bianco ha fatto uscire dai gangheri anche il premier inglese, Keith Starmer, che aveva tollerato per un certo tempo gli attacchi e insulti quotidiani di Musk che da mesi chiede la sua testa dopo il pugno di ferro del leader contro le rivolte razziste di quest’estate. Musk ha persino postato un delirante messaggio su X: “Gli americani devono liberare i britannici dal loro governo tirannico”. La goccia ha fatto traboccare il vaso e così Starmer ha reagito: “Basta con bugie e disinformazione. Coloro che le diffondono sono interessati solo a se stessi, alla disperata ricerca di attenzione”.
Il fatto, quindi, che la nostra Premier, all’improvviso, si sia recata a baciare l’anello di Trump, baciando il quale si bacia automaticamente quello di Musk, non ha potuto non impensierire i nostri uomini politici che non appartengono a quella che ormai si poterebbe definire “un’internazionale di destra” che, com’è ovvio, vede in prima fila il nostro “Cazzaro verde”, Matteo Salvini, che esulta: «Musk è un protagonista dell’innovazione a livello mondiale, un eventuale accordo con lui per garantire connessione e modernità in tutta Italia non sarebbe un pericolo ma una opportunità. Confido che il governo acceleri in questa direzione». Di parere contrario è Carlo Calenda secondo il quale: «Trovo estremamente pericoloso siglare contratti con Starlink mettendo pezzi della nostra sicurezza in mano ad un pazzo sempre più fuori controllo, che si intromette puntualmente e violentemente nelle questioni europee». Non meno critici altri esponenti dell’opposizione: «Giorgia Meloni e il suo governo vengano immediatamente a riferire in Parlamento — reclama la segretaria del Pd Elly Schlein —. Se 1,5 miliardi di soldi degli italiani per portare i satelliti di Musk nel nostro Paese è il prezzo che dobbiamo pagare per la sua amicizia noi non ci stiamo, l’Italia non si svende». E il leader M5S, Giuseppe Conte: «I “patrioti” al governo stanno mettendo la nostra sicurezza nazionale nelle mani di Musk alla modica cifra di 1,5 miliardi pubblici. Tutela delle aziende, protezione dei dati, della privacy, cybersicurezza: tutto questo può essere deciso sulla base di rapporti personali».
E, a proposito della richiesta di Schlein di “riferire in Parlamento”, dobbiamo con tristezza constatare come la nostra Repubblica, da parlamentare, sotto il dominio della nostra Premier si stia rapidamente trasformando in una “capocrazia”, come la definisce Sebastiano Messina. Più trascorre il tempo più le camere divengono marginali. Vi è un plateale abuso di “fiducie” e di decreti legge, il che impedisce al Parlamento di intervenire per emendare, correggere, ecc. Benché la Costituzione statuisca che si possa ricorrere allo strumento della fiducia “in casi straordinari di necessità e urgenza”, secondo il sito Openpolis, ogni 100 leggi approvate, la fiducia è stata posta 45 volte, con una media di tre al mese. Non solo. In 28 casi è stata addirittura doppia, sia alla Camera che al Senato: sono 28 leggi che nessuno dei due rami del Parlamento ha potuto emendare come avrebbe voluto. E Giorgia Meloni ne ha firmati più di qualsiasi altro premier nelle ultime quattro legislature, con una media di 3,6 decreti al mese, quasi uno a settimana. L’argomento è di vitale importanza, e per chi volesse approfondirlo vi è un eccellente articolo di Sebastiano Messina sull’ultimo Espresso che aiuta a comprenderlo a fondo.
La ghiottoneria di Trump e di Musk non si limita alla sola Europa. La fine del decennale governo di Trudeau in Canada gli ha fornito l’occasione per proporre al presidente uscente, che da mesi aveva preso di mira facendo apertamente il tifo per il leader conservatore Pierre Poilievre, l’idea di una «fusione» tra Canada e Stati Uniti: «Che grande nazione sarebbe! Molte persone in Canada adorano essere il 51° Stato Usa… Se il Canada si fondesse con gli Stati Uniti, non ci sarebbero dazi, le tasse scenderebbero notevolmente e sarebbero sicuri dalla minaccia delle navi russe e cinesi che li circondano costantemente», ha scritto sul social Truth. Alla sua egomania non esistono limiti! È, quindi, un periodo di bivio, questo, nel quale entrano in gioco giganteschi interessi politici ed economici, e la nostra vecchia, cara Europa, è l’oggetto del contendere tra avversari famelici che vorrebbero farla uscire di scena dal teatro mondiale, evento questo che anche il nostro attuale Governo fomenta malgrado le roboanti dichiarazioni del suo leader, che ha dimostrato di non essere in grado di mantenere nemmeno una delle promesse fatte in campagna elettorale. Speriamo che Europa, la mitica figlia di Agenore, ci protegga dall’alto del suo Olimpo e ci consenta di ritornare ad essere quello che meritiamo: la culla ineguagliabile della civiltà occidentale.