Scrivere i Vangeli

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Scrive Santiago Guijarro Oporto, professore di Nuovo Testamento nella Facoltà di Teologia dell’Università Pontificia di Salamanca con un Dottorato in Teologia biblica presso l’Università di Salamanca: “Non è facile trovare nella storia della letteratura universale opere che abbiano influito in modo così ampio e determinante come i quattro vangeli. Questi quattro racconti su Gesù non solo hanno influito in modo decisivo nella formulazione della fede cristiana, nella configurazione della liturgia delle diverse chiese, o nell’orientamento etico del cristianesimo durante i suoi venti secoli di esistenza, ma hanno lasciato anche la loro impronta in numerose tradizioni popolari e sono stati fonte di ispirazione per innumerevoli espressioni artistiche. La memoria di Gesù conservata nei vangeli ha caratterizzato in modo decisivo il cristianesimo e, attraverso quello, la cultura occidentale” (I quattro vangeli, Editrice Morcelliana, Brescia, 2019).

L’impatto che hanno esercitato i Vangeli nella nostra cultura sarebbe di per sé un motivo più che sufficiente per studiarli, ma esistono certamente molte altre ragioni per farlo. Una di queste è che ci troviamo di fronte ad importanti documenti storici che contengono preziose informazioni su Gesù di Nazareth, che, comunque la si voglia vedere, è stato senza dubbio un personaggio chiave nella storia dell’umanità.

Dal punto di vista letterario, uno studio critico che tenga in considerazione il complicato processo storico della loro composizione, il procedimento letterale contraddistinto da una enorme creatività, dove è possibile ritrovare un’originale confluenza tra tradizione orale e composizione letteraria che ha dato ai Vangeli la loro forma attuale, e il messaggio teologico che cercavano di trasmettere, rappresenta, sicuramente, la forma più rispettosa nell’accostarsi ad essi.

Recentemente è stato tradotto in italiano un prezioso strumento che può aiutarci in tal senso. Si tratta del volume Scrivere i vangeli. Composizione e memoria (Claudiana, 2023), scritto da Eric Eve, che insegna Nuovo Testamento presso l’Harris Manchester College di Oxford. “Attingendo alle più recenti ricerche sull’uso della memoria e agli studi sulle fonti dell’antichità, nonché esaminando i metodi e le tecniche di scrittura del I secolo, l’autore ci guida lungo un percorso che ci permette di comprendere più in profondità i meccanismi di redazione dei vangeli”.

“Una visione ingenua”, scrive Eve, “potrebbe raffigurare Matteo e Luca seduti alla scrivania nell’intimità del loro studio, con la penna in mano e copie di Marco e di altre fonti aperte di fronte a loro, nel tentativo di farsi spazio su una scrivania ingombra di appunti trascritti direttamente dalla tradizione orale. Ma una visione di questo genere è una proiezione dei moderni metodi autoriali nelle condizioni molto diverse dell’antichità”.

I primi passi da compiere, quindi, sarebbero quelli di “cercare di sbarazzarci di ipotesi anacronistiche che potrebbero portarci fuori strada”, riconoscere che “sappiamo poco della cultura e dei metodi di lavoro delle persone non privilegiate che hanno composto i vangeli, così come ignoriamo la loro precisa collocazione sociale e geografica” e, ciò nonostante, comprendere che tutto questo non significa rendere “le ricerche su come sono stati scritti i vangeli un’impresa senza speranza”.

Nell’avvicinarci seriamente alla lettura dei Vangeli dovremmo sempre avere ben presente il fatto importante che gli evangelisti (sconosciuti, tra l’altro) “non si curavano di fornire testimonianze storiche del passato fini a se stesse, bensì di impiegare il passato per creare racconti formativi e normativi che potessero servire a consolidare particolari configurazioni della memoria collettiva. Per tali scopi i racconti evangelici dovevano apparire ragionevolmente plausibili, ma non avevano bisogno di essere effettivamente accurati in ogni particolare”.

Il problema che ogni studioso del Gesù storico che si rispetti deve affrontare non risiede esclusivamente nel cercare di discernere quale particolare, o quale detto, possieda le caratteristiche necessarie per poter essere attribuito all’uomo Gesù di Nazareth (per quanto eventi particolarmente salienti possano risultare importanti ai fini dello studio), perché ciò che interessa veramente è il quadro generale che emerge dai racconti. Allo stesso tempo, Eric Eve chiarisce che “i vangeli non sono disordinate banche dati di potenziali fatti, ma ritratti in forma retorica che già configurano la tradizione per promuovere particolari visioni della reputazione di Gesù… e lo storico deve fare i conti con questi ritratti generali, così come con gli elementi che concorrono alla loro realizzazione, altrimenti il rischio è quello di essere stregati dalla retorica degli evangelisti”.

Elencare tutta una serie di contraddizioni che possiamo ritrovare nei vangeli al solo scopo di concludere che non si possa fare affidamento su di essi per ottenere resoconti effettivamente accurati su Gesù, oltre a non voler dire, al giorno d’oggi, niente di nuovo, potrebbe costituire una minaccia solo per la fede agli appartenenti di un qualche movimento fondamentalista, “né significa dire qualcosa di nuovo sottolineare che la preoccupazione degli evangelisti per la verità era probabilmente piuttosto diversa dalla moderna preoccupazione per l’accuratezza dei fatti”.

“Sebbene gli evangelisti fossero davvero interessati al passato reale”, scrive Eric Eve, “ciò che era di primaria importanza per loro era arrivare a un’interpretazione di quel passato adatta all’identità, alla fede e alla pratica cristiane”. A tal fine non importa affatto stabilire le parole precise che Gesù pronunciò dinanzi a Pilato, né le modalità del processo (nel caso si fosse realmente svolto), e neppure stabilire le modalità della morte di Giuda, o di quanto accaduto in prossimità del sepolcro dove (forse) fu posto il corpo di Gesù, o dello stato emotivo nel quale si sia trovato, sulla croce, a cospetto della sua morte.

“Ciò che importa per la fede e la teologia cristiana”, conclude l’autore di Scrivere i vangeli, “è che Gesù di Nazareth fosse sia una persona reale, sia pressappoco il tipo di persona che i vangeli lo fanno sembrare; poco importa se i vangeli non sono accurati in ogni dettaglio, e poco importa se gli evangelisti si sono presi delle libertà con i fatti per chiarire il significato di Gesù… Ciò che conta per la fede cristiana e la teologia cristiana… è il Gesù dei vangeli, che rimangono tra i più importanti documenti fondativi della chiesa. In realtà, naturalmente, la chiesa lo ha sempre saputo… il suo compito … ha a che fare con l’interpretazione di Gesù da parte degli evangelisti affinché possa rimanere autorevole nelle circostanze molto diverse del mondo moderno… Eppure oggi i vangeli continuano evidentemente a parlare in modo potente ed efficace a milioni di persone. Ciò che conta di più nella scrittura dei vangeli è se, interpretando Gesù di Nazareth come hanno fatto, gli evangelisti siano riusciti a gettare basi sicure per gli sviluppi futuri nella fede e nella pratica cristiane. E sembra che lo abbiano fatto nel modo più efficace, nonostante tutte le sfide che ci vengono poste nel mettere in pratica i loro testi oggi”.

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