Il patriottismo

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Abbiamo già commentato, sebbene in minima parte, il recente discorso del Presidente della Repubblica in occasione della festività dell’ultimo dell’anno, e abbiamo sottolineato come un passaggio molto significativo lui lo abbia dedicato alla grande importanza che riveste la partecipazione dei cittadini al voto che, di recente, evidenzia un pericoloso assenteismo che fa sì che solo una minoranza di cittadini prenda parte alle consultazioni elettorali, con il risultato che gli eletti non rappresentano nemmeno la metà degli elettori.

Ma vi è un altro passo di eguale, se non superiore importanza, stante il clima che si respira nel nostro Paese da un certo tempo a questa parte, e cioè da quando hanno cominciato a prevalere — e non solo in Italia — le formazioni di destra e di estrema destra. Ed è il tema del patriottismo che, guarda caso, è stato l’unico sul quale la nostra Premier ha espresso il suo plauso al Presidente, in quanto il “patriottismo” all’amatriciana e in salsa lombarda rappresenta uno dei punti di forza, ma usati con profondo travisamento del suo significato da tutti i signorotti della destra, da Orbàn a Salvini e Meloni in Europa, e da Trump e Musk negli Stati Uniti. Ecco le parole del Presidente sul patriottismo che dovremmo incidere profondamente nella mente e farle nostre: “Nella quotidiana esperienza di tanti nostri concittadini si manifesta un sentimento vivo, sempre attuale, dell’idea di Patria. Mi ha colpito, di recente, l’entusiasmo degli allievi della nostra Marina militare, su nave Trieste, all’avvio del loro servizio per l’Italia e per i suoi valori costituzionali. Come stanno facendo in questo momento tanti nostri militari in diversi teatri operativi. Ad essi rinnovo la riconoscenza della Repubblica. Patriottismo è quello dei medici dei pronto soccorso, che svolgono il loro servizio in condizioni difficili e talvolta rischiose. Quello dei nostri insegnanti che si dedicano con passione alla formazione dei giovani. Di chi fa impresa con responsabilità sociale e attenzione alla sicurezza. Di chi lavora con professionalità e coscienza. Di chi studia e si prepara alle responsabilità che avrà presto. Di chi si impegna nel volontariato. Degli anziani che assicurano sostegno alle loro famiglie. È patriottismo quello di chi, con origini in altri Paesi, ama l’Italia, ne fa propri i valori costituzionali e le leggi, ne vive appieno la quotidianità, e con il suo lavoro e con la sua sensibilità ne diventa parte e contribuisce ad arricchire la nostra comunità. È fondamentale creare percorsi di integrazione e di reciproca comprensione perché anche da questo dipende il futuro delle nostre società”.

Fra tutti i patriottismi elencati ve n’è uno che riveste una particolare importanza e che vogliamo ripetere sottolineandolo: «È patriottismo quello di chi, con origini in altri Paesi, ama l’Italia, ne fa propri i valori costituzionali e le leggi, ne vive appieno la quotidianità, e con il suo lavoro e con la sua sensibilità ne diventa parte e contribuisce ad arricchire la nostra comunità». Bisognerebbe fare una profonda e meditata riflessione su queste parole, in special modo quando il Presidente definisce “patrioti” anche le persone di altri Paesi che, migrate in Italia, ne adottano le leggi e, prima di tutte, la Costituzione facendone propri i valori. Quindi il patriottismo, secondo Mattarella, non è rappresentato, né spetta a chi sul suolo italico è nato, ma patriota è chi vive conforme ai principi costituzionali e si adopera per il progresso del paese che lo ha accolto e “adottato”, facendo di lui un cittadino a pieno titolo. Non è questa certamente l’idea di chi, nel nostro Paese e in alcuni altri con governi di destra considera lo “straniero”, qualunque sia il suo comportamento, un “nemico” un corpo estraneo. Al riguardo non può non far riflettere ciò che è appena accaduto a New Orleans con la strage terroristica che ha mietuto decine di vittime. Il futuro presidente, Donald Trump, non appena informato dell’accaduto, ha accusato gli immigrati illegali per la strage, mentre ancora non si conosceva l’identità del killer. Ma l’attentatore non era un clandestino; era un cittadino americano, nato e cresciuto in Texas e veterano dell’esercito a stelle e strisce. Pertanto, accoglierlo fra i ranghi militari, accettare che servisse il suo paese con gli altri soldati bianchi e americani non ne faceva un clandestino immigrato, ma non appena si è reso colpevole di un tremendo fatto di sangue, ha perso immediatamente il suo “americanismo”, diventando un immigrato illegale, e solo per questo candidato a crimini efferati, mentre non si fa una parola del fatto che ha combattuto in Afghanistan per difendere la sua “patria”, gli Stati Uniti, il che vuol dire che si è comportato da patriota.

Questo modo di pensare, nella nostra lingua, si chiama “pregiudizio”, male incurabile di cui sono affetti inguaribilmente anche alcuni esponenti politici europei di varia nazionalità e di vario rango. Tanto per fare un esempio possiamo citare il caso di un ministro di questo Governo che tempo fa dichiarò orgogliosamente: “se non si ferma l’invasione, gli italiani saranno costretti a farsi giustizia da sé”, oppure che “serve una pulizia di massa strada per strada, anche con le maniere forti”. Alle sue parole non possiamo non associare quelle di un suo collega di partito, Roberto Calderoli, il quale, parlando del Ministro per l’integrazione del governo Letta, Cècile Kyenge, così si espresse: “Smanettando con internet, apro il sito del Governo italiano e vedo venire fuori la Kyenge: io resto secco. Io sono anche un amante degli animali, per l’amor del cielo, ho avuto le tigri, gli orsi, le scimmie e tutto il resto, poi i lupi anche ho avuto. Però quando vedo uscire delle sembianze di orango, io resto ancora sconvolto. Non c’è niente da fare”. Sembra di essere ritornati agli anni bui dei primi decenni del XX secolo, quando si andava a cercare strada per strada chi non era “ariano”, per poi confinarlo in isolette sperdute, nelle carceri o peggio. Qualche tempo fa una giornalista di Huffpost, Monica Frassoni, scrisse questo quando Salvini, prima di dirigere i trasporti era nel ben più delicato incarico al Viminale: «I toni e le parole che giungono dal Viminale sono preoccupanti e inaccettabili. Parlare di censimento o ricognizione di un’etnia, sottolineare che i rom italiani “purtroppo ce li dobbiamo tenere” significa fomentare le divisioni all’interno di una società già fragile e incitare alla discriminazione. Che queste dichiarazioni provengano da un ministro che è anche vicepremier significa che Salvini sta sdoganando un vero e proprio razzismo di Stato. Non è la prima volta che il governo italiano cerca di schedare la popolazione rom. Risale solo al 2008 il tentativo annunciato da parte dell’allora Ministro dell’Interno Roberto Maroni (anche lui leghista) di imporre il rilevamento di impronte digitali ai residenti dei campi nomadi».

È veramente triste che anche in ambito europeo stia diffondendosi un movimento sovranazionale, chiamato “Patrioti per l’Europa”, sorto su iniziativa del Primo Ministro ungherese che, contrariamente a quanto il nome sembra dire, non esprime preoccupazione perché qualche stato aggressivo, come la Russia per esempio, possa attentare alla sovranità e alla libertà delle nazioni europee (cosa che fa senza curarsene punto o poco in Ucraina), ma il loro patriottismo consiste nel portare avanti le battaglie identitarie della destra sovranista contro una minaccia che per loro è più immediata e pericolosa, come hanno fatto capire nella conferenza stampa di presentazione del gruppo i suoi vice-presidenti: linea dura sull’immigrazione, critica ai provvedimenti del Green Deal e difesa dei poteri degli Stati membri, compreso il diritto di veto. “Il nostro nuovo gruppo lavorerà per preservare le radici giudaico-cristiane dell’Europa. Ci impegniamo per la massima protezione delle frontiere esterne dell’Europa. Diciamo no all’immigrazione irregolare e lavoreremo per un’Europa forte e competitiva”, ha detto l’ungherese Kinga Gál, designata come prima vice-presidente del gruppo. È del tutto ovvio che a questo movimento — che è già il terzo con 89 deputati nel Parlamento europeo — abbiano immediatamente aderito il Rassemblement national di Le Pen, con trenta eurodeputati. Seguono Fidesz di Orbán con dieci, la Lega di Matteo Salvini con otto e il partito Ano di Andrej Babiš, l’ex primo ministro ceco, con sette. Del gruppo fanno parte anche il Partito della Libertà austriaco (Fpö), lo spagnolo Vox e l’olandese Pvv, ciascuno con sei eurodeputati. Tre rappresentanti per Vlaams Belang, partito separatista fiammingo del Belgio, due per il portoghese Chega e uno a testa per Partito popolare danese, Voce della Ragione (Grecia) e Prima la Lettonia. A questo punto un nome più appropriato sarebbe stato “Destre d’Europa unite!”, perché di patriottismo nella “costituzione” del movimento non se ne vede nemmeno l’ombra.

Infine, devo esprimere una mia profonda preoccupazione: mi impensieriscono notevolmente le parole che fanno riferimento, nel programma di questo nuovo gruppo europeo, alle preservazione delle sue “radici giudaico-cristiane”, il che taglia fuori definitivamente ogni formazione etnica di cultura e orientamento confessionale diverso, programma che viene eccellentemente riassunto nel titolo di un libro, ormai meritatamente famoso, dal titolo Il razzismo spiegato a mia figlia, di Tahar Ben Jelloun (La nave di Teseo 2021). Quindi, nascondere dietro il roboante appellativo di “patriottismo” il vero nucleo verso il quale i “Patrioti” europei vorrebbero condurci è solo il tentativo di reintrodurre, legittimandolo, il razzismo, la più bieca delle aberrazioni di tutti i tempi. Come spiega Ben Jelloun: “Il razzismo non è una moda, una intemperie climatica, una febbre passeggera, ma fa parte dell’essere umano, ed è per questo che bisogna imparare da dove viene, come si esprime e in che modo lottare contro le sue deviazioni”. Là dove ci sono degli esseri umani, ci sono o ci saranno delle manifestazioni di razzismo, e quando questo sembra accadere all’interno della nostra casa comune, l’Unione Europea, ciò dovrebbe preoccuparci profondamente. Ed è per spaventare gli elettori con questa fantomatica invasione di “orde” provenienti dai paesi marginali e considerati “inferiori” che si fa ricorso alla leva della paura, ed è una leva che funziona piuttosto bene, anche se, lo sappiamo con certezza, è una paura instillata facendo ricorso a dati falsi o approssimativi, come quelli che vengono diffusi sull’Islam, che non è soltanto terrorismo o attentati, ma è composto in stragrande maggioranza da gente per bene che aspira soltanto a un futuro migliore per loro e per i loro figli. Sembra appropriato lasciar concludere questo intervento ad un padre che spiega a sua figlia ciò che è vero e giusto: “Un uomo equivale a un altro, qualunque sia la sua stazza, il colore della pelle, la lingua che parla, la fede che pratica, il dubbio che coltiva, il desiderio che insegue, il lavoro che fa, la follia che brandisce o la saggezza che antepone a qualsiasi cosa”.

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