Una volta, tanto e tanto tempo fa, come narra il mito biblico della Torre di Babele, su tutta la terra si parlava la stessa lingua e si usavano le medesime parole. A un certo punto Dio, stanco della disubbidienza umana, “scese” sulla Terra e punì quegli orgogliosi ribelli, confondendo la loro lingua, sicché nessuno più capiva cosa diceva l’altro e, di conseguenza, si sparsero su tutto il pianeta probabilmente (ma questo è un mio pensiero) in base ai nuovi gruppi linguistici che li accomunavano.
In tempi molto più recenti sembra che stia accadendo una cosa simile. Non dal punto linguistico, però, bensì da quello politico. Chi ha una certa età e anche chi si interessa di studio della politica, di quella italiana in particolare, non potrà non ricordare che nel secondo dopoguerra nel nostro Paese fiorirono alcuni partiti politici, ben distinti fra di loro per le diverse e ben definite ideologie che propugnavano. C’erano la Democrazia Cristiana, i Socialisti, i Repubblicani, i Liberali e i Comunisti e qualche piccola formazione di poco rilievo. Era facile, allora, farsi un’idea chiara sul da che parte schierarsi, anche perché i nomi di coloro che li guidavano erano di tutto rispetto. C’erano Alcide De Gasperi per la DC, Pietro Nenni per il PSI, Ugo La Malfa e Giovanni Spadolini per il PRI, Palmiro Togliatti per il PCI, Benedetto Croce e Luigi Einaudi per il PLI. Personaggi, tutti loro, che meritavano profondo rispetto per la loro profonda competenza politica, per la loro figura morale e intellettuale e per i loro curricula vitae.
Il trascorrere del tempo ha completamente stravolto quegli assetti politici che aiutarono l’Italia a uscire dalle macerie materiali e morali della guerra e a risalire faticosamente la china per affermarsi, poi, come uno dei Paesi fondatori dell’Unione Europa. Oggi, invece, assistiamo alla proliferazione di partiti e partitini che non rappresentano nemmeno il più lontano ricordo di quelle formazioni dei primi decenni dalla liberazione. Sorgono come i funghi, con a capo dei personaggi discutibili senza arte né parte, che non provengono molto spesso dal mondo della politica, ma dello spettacolo, dell’economia, dell’industria, del commercio o addirittura dal nulla, apparendo all’improvviso grazie alla grancassa mediatica che oggi incorona sul proscenio politico chi grida più forte e chi fa le promesse più mirabolanti, anche se palesemente irrealizzabili. Le percentuali dei loro elettori, se escludiamo un paio di formazioni che guidano la partita, sono in dosi omeopatiche, anche per il continuo transfugare dall’una all’altra formazione, in modo tale da creare solo confusione nella mente degli elettori. Non c’è un’ideologia che li guida, come accadeva al tempo dei personaggi storici menzionati in precedenza, c’è soltanto il desiderio di primeggiare facendo i propri interessi personali e quelli dei loro adepti al posto di quelli che dovrebbero promuovere il bene del Paese e non soltanto degli ultras di partito.
Questo, ovviamente, non è un fenomeno solo italiano. Possiamo ricordare, al riguardo, che per più di due secoli negli Stati Uniti sono stati in contrapposizione tra loro soltanto due partiti: il Democratico e il Repubblicano. Gli elettori del nuovo continente sapevano bene cosa sceglievano quando si recavano alle urne, anche perché pure da loro nella lunga schiera dei loro presidenti, dell’uno o dell’altro partito, figuravano personaggi di tutto rispetto, che al primo posto delle loro ambizioni politiche ponevano non il lucro o l’interesse personale, ma il progresso e il benessere della nazione.
Tutto questo è scomparso, o sta via via scomparendo, e va prendendo sempre più forma un modo di fare politica che non ha più niente a che vedere con la politica con la “P” maiuscola, come la si intendeva una volta. In America sta nascendo, e conquista sempre più consensi, una nuova formazione, la tech right — la tecnodestra — come l’ha recentemente definita il plurimiliardario Elon Musk, che l’ha battezzata così qualche giorno fa dicendo: “Questo riassume più o meno il tutto, e mi ha aperto gli occhi”. Possiamo quindi dire che questa tecnodestra ha già passato il Rubicone, si è costituita in soggetto pubblico, è entrata nel territorio della politica tradizionale, promettendo di rivoluzionarla. Questa nuova formazione, come ci spiega Ezio Mauro su la Repubblica, “è figlia dei due estremismi del capitalismo e del trumpismo, che può essere soltanto radicale, nei programmi che diventano progetti, nelle riforme che si trasformano in innovazione, nel governo visto come missione. Ci eravamo accorti, naturalmente, delle immense fortune accumulate dagli imprenditori plurimiliardari della Silicon Valley, grazie a un talento tecnologico che ha trasformato la nostra vita, ma non avevamo capito che il connubio favoloso tra iper-tecnologia e iper-profitti (che nel caso di Musk superano il Pil di paesi come il Portogallo) produceva una sorta di plusvalore carismatico e insieme la tentazione di spenderlo al banco di comando della nostra vita associata, quello del potere politico, giocando tutto sulla ruota della democrazia, supremo regolatore dell’intero sistema”. Ciò, in particolare le innovazioni tecnologiche che hanno totalmente stravolto la nostra esistenza quotidiana con la loro pervasività, ha cambiato tutto: il costume, il lavoro, l’informazione, l’economia, la cultura, la comunicazione e le relazioni personali. Basta ancora un solo passo e questa rivoluzione contagerà e invaderà il recinto protetto della politica, per la quale il vecchio interdetto, che pretendeva esperienza storica e competenza specifica per l’esercizio del potere pubblico, esprime ormai vecchi arnesi da soffitta polverosa.
Con l’avvento, per la seconda volta, di Trump al potere, le nostre peggiori paure stanno prendendo forma. È la sua particolare “irregolarità”, con la sua rottura degli schemi, del linguaggio e dei gesti tradizionali, che apre la strada ai campioni della tecnodestra, perché è uno sfondamento. Sono saltati gli argini della vecchia politica, mentre il vecchio e onorato partito repubblicano di Ronald Reagan si trasforma in uno strumento del populismo sovranista e nazionalista che costituisce una continua minaccia di eversione, come è accaduto di recente con l’assalto al Campidoglio, fatto inaudito e impensabile in tutta la tradizione politica americana, a cominciare da George Washington in poi.
Tutto questo non può che suscitare un motivato e fondato allarme perché questa nuova tecnodestra sta contagiando il mondo, per lo meno quello occidentale, che è quello che ci riguarda più da vicino. E l’allarme preoccupa anche personaggi di grande rilievo della nostra era attuale, come il filosofo, politologo e professore emerito di Princeton, Michael Walzer che, definendo un pericolo le spinte autoritarie di questa tecnodestra, ha aggiunto: “Si sta creando un soggetto ibrido il cui pensiero coincide solo in parte con quello destra tradizionale, anche estrema. Siamo semmai di fronte a un nuovo filone di libertarismo di destra. Che cela una gran fame di potere ed è principalmente interessato alla deregulation per meglio soddisfare i propri interessi, ma ancora non ha i caratteri di una filosofia politica perché è troppo pieno di contraddizioni al suo interno”. Walzer si spinge, poi, a etichettare questo nuovo soggetto politico, se così si può definirlo, “una sorta di Frankenstein ideologico”, ovvero un “mostro” che ci minaccia tutti, perché bisogna aver paura della sua forza economica e della sua caparbietà ideologica. Contro questa così evidente minaccia non sembra che da parte della sinistra, delle sinistre mondiali, si sia ancora stati in grado di intervenire per controbilanciarne gli effetti e, aggiunge Walzer, “forse l’unica soluzione è quella di costruire un’alternativa politica vera: la strategia contro Musk, oggi, è solo provare a dividerlo da Trump definendolo co-presidente: nella speranza di solleticare il narcisismo del tycoon”. Ma non vediamo all’orizzonte nessuna risposta ideologica mentre servirebbe una seria e profonda riflessione su come il mondo sta cambiando e perché. Non si può solo allargare le braccia dicendo “ha soldi e social, non possiamo far niente”. Invece di rassegnarci, dobbiamo studiare, capire, sviluppare una nuova filosofia ideologica adatta alle sfide del mondo contemporaneo, rigettando le divisive politiche identitarie. Non possiamo fare a meno di porci il problema perché, come scrive Massimo Ammaniti, “prevale l’odio perché la vita non è più sacra. Continuano a serpeggiare guerre e guerriglie in tutto il mondo. E poi il rischio crescente di estinzione per alcuni popoli che vivono al di fuori del mondo industrializzato. Per non parlare del nostro pianeta e della vita animale e vegetale sacrificata infrangendo l’antica alleanza uomo-natura, in favore del dio capitalistico. I rigurgiti di violenza che sgorgano da ogni parte, a livello familiare, sociale, nascono dall’odio, odio è il clima che si respira a livello politico e sociale e si propaga nella vita delle famiglie e nella crescita dei figli. Assistiamo a violenze una volta inimmaginabili, particolarmente fra adolescenti, ragazzi e ragazze che vengono uccisi dal gruppo con un cinismo che allarma. E il comune denominatore di tutta questa violenza è il venire meno della sacralità della vita umana, che non è più un tabù. Violenza che dal mondo della politica si trasferisce in ogni strato della società. Bisogna interrompere questa spirale di violenza e di disprezzo per gli altri per i “diversi” che non sono come noi, rigettare le politiche identitarie e accomunare in un partecipato afflato le classi lavoratrici che, non a caso, sono quelle che Musk maggiormente odia”. Non dimentichiamo mai che nessun uomo, nemmeno il più potente del mondo, può combattere contro l’intera umanità, e se noi facciamo parte di quell’umanità, non perdiamo la speranza e continuiamo a combattere per un mondo migliore dove i nostri riferimenti siano quei grandi uomini citati all’inizio e non delle macchiette tecnodestrorse come Trump e Musk!