1984: delirio o realtà?

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Gli incubi sono sgradevoli, ma hanno un aspetto positivo: al risveglio svaniscono. Ci sono, però, delle eccezioni e una di queste il mondo occidentale la sta vivendo sulla sua pelle. L’incubo nel quale le democrazie occidentali si stanno trovando a vivere è di quelli che non svaniscono al risveglio, per il semplice fatto che è un incubo a occhi aperti che ci accompagna durante lo stato di veglia; cessa di notte, durante il sonno, e ci afferra potentemente non appena apriamo gli occhi.

Ci sono eventi della storia che sembrano ripetersi ciclicamente, anche se con modalità diverse dovute al mutare dei tempi, ai mezzi di comunicazione e ai cambiamenti generazionali. Nel secolo scorso il continente europeo, ma anche il resto del mondo, fu scosso dalla comparsa sulla scena mondiale dell’«uomo del destino», Adolf Hitler, che, accompagnato da Benito Mussolini, desideroso di condividerne le glorie e l’ebrezza del potere, con lo strumento di una martellante propaganda e di un’opera di costante indottrinamento, sembrò che per un certo tempo fosse riuscito a cambiare i destini d’Europa, modellandola sulla sua megalomania e sui folli sogni di grandezza. Se non fossimo nel 2024 sembrerebbe d’essere alla metà del XX secolo, quando vide la luce il libro 1984, il capolavoro di George Orwell, nel quale egli disegna una società nella quale un astuto manipolatore, definito “Grande Fratello”, si era impadronito della mente e della volontà del popolo, alterando la realtà per modellarla secondo il suo pensiero e, a tale scopo, faceva uso di una tecnologia avanzata per riuscire a convincere tutti che egli fosse onnipresente, in grado di sapere in ogni istante della giornata ciò che ognuno faceva e persino pensava. Nemmeno lo stesso Orwell avrebbe pensato, quando lo scrisse, che la società dell’incubo potesse diventare realtà. In effetti ciò che egli paventava era la minaccia del dilagare dell’ideologia comunista a livello mondiale, che avrebbe ridotto tutto il mondo a servo di un regime assolutista e totalitario, cosa che, poi, fortunatamente non si è realizzata.

Ma, anche se con forme e strumenti diversi, come abbiamo già detto, quella triste utopia romanzesca sembra prendere consistenza sotto i nostri occhi, anche se il “Grande Fratello” non ha più questo nome anonimo, ma adesso si chiama Elon Musk, l’uomo in assoluto più ricco e più potente del pianeta, e l’ideologia comunista che terrorizzava Orwell oggi è la sua contraria, ovvero quella dell’estrema destra, al punto che, infischiandosene delle regole che presiedono ai rapporti e al rispetto dell’autonomia fra nazioni sovrane, egli sta influendo pesantemente nella politica degli stati europei, dopo aver conquistato quella degli Stati Uniti. Ecco perché, nell’imminenza delle elezioni tedesche per la formazione del nuovo Bundestag, egli si è esibito in un endorsement sfacciato e smaccato al partito neo-nazista, che ha suscitato, e giustamente, l’ira del presidente tedesco Steinmeier. Sia Steinmeier che il nostro Mattarella si sono uniti strettamente insieme, dopo il tentativo di Musk di intrusione anche nella politica interna italiana, per cercare di far capire al turbo-capitalista della sorveglianza ormai alla guida degli Stati Uniti cosa vuol dire sovranità che è l’autonomia e l’indipendenza con la quale i cittadini esercitano il diritto di voto, che dà senso compiuto a una democrazia rappresentativa nella sua forma parlamentare e repubblicana. Ci sono poche speranze, però, che Musk lo capisca, perché è ormai soggetto e oggetto di un esperimento politico-economico senza precedenti. Insieme a Trump, di cui pare il burattinaio, incarna un’inedita oligarchia onnipotente e autoreferenziale, dove tutto si mescola e si corrompe. I due, Musk e Trump, costituiscono una coppia mai vista in precedenza nella quale si uniscono l’immensa ricchezza del primo e l’infinita spregiudicatezza del secondo. Ormai alla Casa Bianca la recente vittoria del “protetto da Dio” è stata a tutti gli effetti una “presa del potere”. Il business si fa politica e viceversa: da una parte l’amministrazione, dall’altra i satelliti e i missili, le auto elettriche e le batterie, l’intelligenza artificiale e quella neurale, il tutto ibridato dal web, che diventa strumento di manipolazione e di mobilitazione globale. Un kombinat micidiale, dentro il quale è impossibile capire chi comanda e chi ubbidisce, chi detta le regole e chi le subisce.

Sta accadendo quello che, con motivato allarme, il presidente Mattarella a dicembre dello scorso anno aveva detto in un discorso davanti alle alte cariche dello Stato, ragionando sull’impatto della rete nelle nostre vite, parlando di una rivoluzione enormemente più profonda, più veloce e globale di quella industriale, spiegando che “Il modello culturale dell’Occidente è sotto sfida”, ed evocando “contropoteri che possono mettere a rischio le nostre libertà, pochi gruppi che possono condizionare le democrazie, e che manifestano la presunzione di divenire loro i protagonisti che dettano le regole, anziché essere destinatari della regolamentazione”. E, nello stesso intervento, anche il nostro Presidente aveva citato George Orwell, per dire “immaginiamo solo per un momento, applicando lo scenario descritto nel libro 1984, cosa avrebbe potuto significare una distorsione nell’uso di queste tecnologie al servizio di una dittatura del Novecento”. E aveva concluso “sono in gioco i presupposti della sovranità dei cittadini”.

L’immenso potere dei nuovi strumenti di informazione (e di manipolazione) di massa sta cambiando la vita delle persone, a cominciare dagli Stati Uniti, l’ex “più grande democrazia del pianeta”, nella quale ha ormai vinto quella che si può definire infocrazia, nella quale il potere del popolo è ormai apertamente sfidato e minacciato dall’infodemia, cioè la riproduzione virale delle informazioni, grazie alla quale i post e i tweet, i meme e le fake news si diffondono e si riproducono ovunque in tempo reale, assumendo una dignità propria a prescindere dai concetti di verità e menzogna. I media virali hanno già esercitato il loro effetto prima ancora che abbia inizio un processo di verifica. Per questo, scrive Byung-chul Han in Infocrazia (Einaudi), il tentativo di combattere l’infodemia con la verità è condannato al fallimento perché “l’infodemia è resistente alla verità”.

Tutti gli esseri viventi hanno bisogno di respirare per vivere, e quando l’atmosfera che essi respirano è inquinata — come purtroppo oggi accade — si corrono gravi rischi per la salute. Noi oggi viviamo in due condizioni che si sovrappongono l’una all’altra: l’atmosfera con il suo ossigeno vitale e l’infosfera nella quale ormai siamo tutti immersi. Questo termine, “infosfera” ha avuto molte definizioni sin da quando, nel 1971, il Time Magazine lo usò per la prima volta, ma è solo oggi, in questi ultimi anni, che esso ha assunto il carattere di regolatore delle nostre vite. Per esser chiari con esso vogliamo indicare l’ambiente in cui siamo immersi, costituito dalle informazioni, necessarie in una società sviluppata come la nostra. Nel 1980 il termine fu utilizzato da Alvin Toffler nel suo libro “La terza ondata” in cui egli scriveva: “Ciò che è ineluttabilmente chiaro, qualsiasi cosa noi decidiamo di credere, è il fatto che noi stiamo modificando la nostra infosfera a partire dai suoi fondamenti… stiamo aggiungendo strati di comunicazione al sistema sociale. Questa terza ondata emergente dell’infosfera fa sì che tutta l’era della Seconda Onda – dominata dai suoi mass-media, l’ufficio postale, il telefono – appaia ora per contrasto disperatamente primitiva”.

Se inquinando l’atmosfera in cui viviamo mettiamo in pericolo la nostra vita, altrettanto micidiale è l’inquinamento dell’infosfera che non colpisce il nostro fisico, ma il nostro cervello, la nostra mente e che, pertanto, ci spinge a pensare e ad agire secondo la volontà di chi possiede e presiede all’utilizzo di questi mezzi di comunicazione (inquinata) di massa. Lo abbiamo già visto all’opera durante la campagna elettorale americana, dove le balle spaziali di Trump, rilanciate da Musk su X, hanno fatto la differenza, indipendentemente dall’evidente illusorietà che contenevano. È la forza di quella che, come scrive Massino Giannini su Repubblica, “Il New York Times ha definito la truthiness, neologismo che riflette una verità totalmente scollegata dalla solidità dei fatti, cioè il tentativo (spesso riuscito) di de-fatticizzare la realtà per farci ingoiare quello che al “Grande Fratello” piace. E questo vale non solo per i migranti che mangiano i gatti e i cani degli americani, frottola che ha fatto vincere Trump nel Midwest, ma che vale anche per le gigantesche panzane della nostra premier che presenta ai suoi concittadini una realtà di progresso e di benessere che esiste soltanto nella sua mente (sempre che essa stessa ci creda!)”. Quando nel titolo parliamo di delirio è questo a cui ci riferiamo. Un delirio reso concreto da Elon Musk, un autocrate che può sfuggire a qualunque controllo perché è praticamente il controllore della rete e la fa parlare come piace a lui. Allora spetta a noi cittadini smarriti usare la rete senza esserne usati. Siamo noi, come scrive ancora Giannini “solitari interconnessi, che non dobbiamo far precipitare la democrazia nella «caverna digitale», di platoniana memoria dove i nuovi oligarchi ci vogliono prigionieri.

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