Qualunque siano le risposte e le giustificazioni che ci si sforza di elaborare, nessuna d’esse può essere accettata. La strage quotidiana che sta devastando ampie zone del nostro pianeta, con il suo seguito di orrori, di massacri, di sterminio di bambini innocenti, non ha, non può avere e non avrà mai una giustificazione accettabile. La si può definire come si vuole: genocidio, crimini di guerra, crimini contro l’umanità, il comune denominatore e definizione — l’unica possibile — è la vittoria del Male contro il Bene. Non può e non deve essere consentito ciò che sta accadendo in Palestina, in Ucraina e in tante altre parti del mondo, ammantandolo di motivazioni politiche, strategiche, di strategie commerciali, di difesa del territorio o altro. Stiamo assistendo, come ormai accade da millenni, all’apertura di un vaso di Pandora — in effetti mai definitivamente chiuso —, dal quale continuano a fuoriuscire i dèmoni e i mali che sono parte inscindibile della natura umana. Apprendere che dei neonati, innocenti per definizione, muoiono ogni giorno letteralmente di freddo, che sta crescendo un’intera generazione di bambini amputati (altri 17.000 sono già morti), che non avranno mai un futuro, dovrebbe farci rabbrividire e ci riporta alla mente la dichiarazione che qualche anno fa pronunciò il Procuratore Generale di Torino, Francesco Saluzzo, secondo il quale “Pietà l’è morta”.
Più volte in questa sede ci siamo occupati di questo argomento che, purtroppo, non smetterà mai di coinvolgerci perché riguarda tutti noi che, in un modo o nell’altro, nel corso della nostra vita siamo a contatto con il Male. Il Male, è bene premetterlo, non è qualcosa che esiste a prescindere dagli esseri umani, il male è esclusivamente opera di uomini e donne che compiono atti che causano sofferenza ad altri esseri umani. Possiamo riconoscere, per amor di precisione, che possono esserci circostanze in cui il male può non derivare da scelte intenzionali, compiuto con lo scopo precipuo di far male ad altri, questo si verifica quando è la natura ad operare in un certo modo in occasione di terremoti, tsunami, eruzioni, epidemie, tutti avvenimenti che fanno male ma non sono il Male, in quanto accadono per cause naturali che non si prefiggono lo scopo di decimare l’umanità, ma fanno soltanto parte della struttura e dell’evoluzione del pianeta. Esse accadrebbero comunque e se sulla terra non ci fossero esseri viventi, come accadeva milioni di anni fa, non potremmo definirli il Male, perché non ne arrecherebbero a chi non esiste, ma farebbero parte di processi naturali che si verificano da miliardi di anni. Pertanto, quando parliamo di male, stiamo parlando esclusivamente del male fatto dall’uomo, che lo compie con l’esclusivo scopo di danneggiare altri a proprio vantaggio. L’uomo è portato al male, ci si prepara sin dalla nascita, basti pensare al mito dell’Eden, nel quale – quando la razza umana consisteva soltanto di quattro persone fresche fresche di creazione: Adamo, Eva, Caino e Abele – i primi due lo compirono con un atto di deliberata disubbidienza, mentre degli altri due uno uccise l’altro (suo fratello) per invidia e gelosia. Questo a dimostrazione che già gli antichi, nei loro racconti ancestrali, ci mostrano come il male nasca con l’uomo stesso e che sta solo ed esclusivamente ad esso farlo o non farlo.
Un esempio banale forse può aiutarci a comprendere. Da quando esiste la cosiddetta “civiltà”, l’uomo ha sempre messo nel conto l’uccisione di altri uomini, non come evento singolo come un omicidio, ma come un evento attendibile, programmato e spesso inevitabile. Quale paese non ha un esercito? Quale paese non dedica molte delle sue risorse ad addestrare uomini perché uccidano altri uomini, quale paese non dedica una parte cospicua del suo PIL alla ideazione e realizzazione di armi sempre più micidiali con l’unico scopo di sopprimere i suoi avversari? Qualcuno potrebbe dire che gli eserciti esistono a scopo difensivo, ma se nessuno attaccasse, non sarebbe necessario che ci si preparasse a difenderci. E invece non è così; gli eserciti sono la dimostrazione evidente che il genere umano sa che la guerra, che è il Male in assoluto, è inevitabile perché è la natura umana che lo consente e lo pretende. Di solito si è abituati a pensare che il male lo fanno i cattivi e il bene lo fanno i buoni. Ma è veramente così? Certamente no, altrimenti dovremmo pensare che le schiere di giovani che, intruppati negli eserciti, agiscono con lo scopo preciso di uccidere quanti altri è possibile, siano tutti gente cattiva, mentre in realtà molti, la maggior parte di loro, è costituita da bravi ragazzi, spesso da studenti, figli di famiglia che amano e rispettano i loro genitori e che sperano di costruirsi un futuro felice. Come è possibile, allora, che tutte queste persone, che potremmo definire “buone”, facciano quel che fanno? La risposta, di cui abbiamo parlato in una precedente occasione, ce la fornisce Chiara Volpato ed essa si chiama “Deumanizzazione”. In parole semplici questo processo mentale consiste nel considerare l’«altro», il nemico, l’avversario, diverso da lui, un gradino più in basso come un animale, per esempio. Uccidere un animale, alla maggior parte delle persone, non crea nessun problema in quanto si ritiene che esso non abbia i nostri stessi diritti. Nella storia della nostra specie deumanizzare serve a pensare l’altro come minus habens, essere umano incompleto, animale, oggetto. Serve a compiere su di lui azioni inaccettabili in un contesto normale. La degradazione dell’altro è il percorso obbligato per varcare la soglia che porta al massacro e allo sterminio di massa, che legittima torture e omicidi, un’arma fondamentale per chiunque intenda compiere azioni di violenza estrema verso altre persone o gruppi.
Sterminare, uccidere, violare bambini, donne, uomini va contro i principi che ogni società insegna ai suoi membri per poter continuare a esistere e a pensarsi come tale. Quando interessi e ideologie portano un gruppo a intraprendere lo sterminio dell’altro, confinarlo allo stato animale aiuta a oltrepassare il confine. La deumanizzazione, quindi, precede l’attuazione dello sterminio, ne rende possibile l’idea, il progetto, la riuscita. Una volta, per giustificare le guerre, si ricorreva alla vieta retorica dell’amor di patria, della difesa dei sacri confini (il che ci fa venire in mente il nostro eroe nazionale, Matteo Salvini, che era pronto ad immolarsi per difendere i confini della patria da un manipolo di cenciosi disperati, spesso di colore diverso dal suo). Ma non è così o, per lo meno, non è più così. Altrimenti come spiegare la morte di circa 3.000 soldati nordcoreani mandati in guerra dal dittatore Kim Jong-un, non per difendere il suo paese, ma per acquistare credenziali presso lo zar Putin. E, a proposito di Putin, ma solo per fare un esempio in quanto non è affatto un caso isolato o una novità nel panorama storico del nostro continente, egli non è una belva assetata di sangue, né lo erano Hitler e Stalin. Essi erano e sono i prototipi, l’incarnazione del male radicale. Agiscono seguendo le loro massime e queste massime sono il male. Si tratta di persone carismatiche a capo di una schiera di seguaci mai vista prima. Folle immense li hanno acclamati come divinità e sono morti per loro. Le folle erano la loro immagine riflessa e questo è un fenomeno non circoscritto solo ai loro Stati in cui fondevano amore e paura. C’erano milioni di piccoli Hitler e piccoli Stalin e piccoli Putin, e questa specie non si è ancora estinta.
Vorremmo, con tutto il cuore, che tutto quello di cui abbiamo parlato e ciò che vediamo accadere quotidianamente intorno a noi intessuto di dolore, violenza, sofferenza, sopraffazione e assoluto spregio per la vita degli altri non esistesse o, almeno, esistesse la speranza che il crescere della consapevolezza del male, che si dispiega sotto i nostri occhi e che suscita in molti di noi disgusto e raccapriccio, possa in un futuro più o meno prossimo, cessare, attenuarsi fino a scomparire. Poi pensiamo alle persone che hanno compiuto il tremendo attentato alle torri gemelle nel 2001, o a quello del 7 ottobre 2023, tutti a opera di cosiddetti “terroristi”, ma nel farlo non possiamo non pensare a ciò che sta accadendo a Gaza, e non per opera di spietati fondamentalisti, ma per mano di una persona civile e civilizzata, di un capo di stato che professa una religione di pace, l’ebraismo, e ci chiediamo come possa conciliare la sua natura umana con la disumanità illimitata di ciò che il suo esercito sta compiendo a Gaza, con le conseguenze che abbiamo visto all’inizio di quest’articolo. Ma, e ciò è ancora più grave, è l’inerzia del resto del mondo di fronte alla disumanità di ciò che accade e per la quale ci limitiamo a parole di esecrazione, di condanna e poi, dimentichi, continuiamo la nostra vita di sempre. La notte in cui una bambina di nome Sila di appena tre settimane di vita moriva di freddo fra le braccia del suo papà, il resto del mondo si scaldava attorno al focolare delle cene, degli affetti famigliari, dei regali, delle speranze di pace, pace che per questa bambina inerme e indifesa, come tanti altri suoi “fratellini e sorelline”, non conoscerà mai perché uomini malvagi hanno deciso che la loro morte è inevitabile, è, purtroppo, una conseguenza dell’attacco subito al quale non si può rispondere in altro modo. Noi, invece, sappiamo cos’è la pace, e ce lo spiega Viola Ardone su Repubblica: «pace è una casa, pace è poter mangiare, pace sono le medicine per curarsi, pace è non morire di freddo, pace è sapere ogni mattina che arriverà la sera, per te e per i tuoi cari … Il mondo con Sila ha invece infranto ogni promessa, ha tradito se stesso. Noi che viviamo sicuri nelle nostre tiepide case, noi che troviamo tornando a sera il cibo caldo e volti amici, dovremmo smettere di festeggiare ogni Natale, ogni compleanno, ogni ricorrenza sacra o profana fino a che ci sarà ancora una bambina che muore di freddo in una tenda … La nostra povera prosa ha dimenticato che la parola bambino e la parola morte non dovrebbero mai stare nella stessa frase. Lo ha dimenticato il mondo, lo ha dimenticato anche il diritto internazionale … E invece tutto tace, e noi guardiamo lo scorrere delle immagini, lo sfilacciarsi delle parole, il consumarsi dei pensieri ormai assuefatti, colpevolmente assenti. Il poeta palestinese Mahmoud Darwish ha scritto: “Mentre pensi agli altri, quelli lontani, pensa a te stesso, e di’: magari fossi una candela in mezzo al buio”. E noi magari potessimo essere per te, piccola Sila, come tante candele in mezzo al buio». E ci sembra opportuno chiudere con una domanda coerente con l’oggi: ci sarà mai un vero Giubileo per tutti i diseredati della terra? Temiamo che la risposta sia NO, perché a parte le fastose cerimonie e i vuoti rituali, tutto continuerà come prima e, forse, peggio di prima.