Il disagio della civiltà

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Se dovessimo fare un paragone fra l’arco di tempo nel corso del quale si è sviluppata la nostra “civiltà” e quello che l’ha preceduta, dovremmo riconoscerne l’insignificanza, quasi un battito d’ala: 5.000 anni contro centinaia di migliaia. Con l’unica e grande differenza che in quelle centinaia di secoli il nostro pianeta è rimasto pressoché immutato, mentre quei cinquanta, e in particolare gli ultimi cinque secoli, se ne stanno modificando radicalmente — e in senso negativo — tutti gli assetti: ambientali, economici, biologici, sociali, sì da produrre cambiamenti che lo renderebbero irriconoscibile ad un essere umano di quelle lontane epoche. Se dovessimo misurare la “civiltà” dei popoli dai danni irreversibili che essi stanno arrecando alla loro “madre” terra e a chi ci vive sopra, ci meriteremmo l’ultimo posto in classifica. Nel tempo in cui l’AI sembra crescere esponenzialmente, l’altra “intelligenza”, quella naturale, va cadendo sempre più in basso, annoverando, a livello mondiale, la classe politica fra le più scadenti della storia, il proliferare di guerre e conflitti sempre più cruenti e sanguinosi che stanno sgretolando ogni forma di residua umanità e l’avanzare di movimenti guidati e finanziati da megalomani che da soli possiedono i patrimoni di un’intera nazione, cosa mai accaduta in passato, e che come scopo ultimo hanno la fine dell’attuale ordine mondiale per stabilire il proprio.

A metà del secolo scorso due soli uomini furono in grado di portare quasi alla fine della civiltà: si chiamavano Adolf Hitler e Benito Mussolini. Oggi si chiamano Vladimir Putin e Donald Trump, con il loro seguito di plutocrati, fermamente convinti che il valore di un uomo si misuri in dollari, euro o rubli, e non sulle sue qualità morali e umane.

Definire quella attuale una “civiltà” è una sorta di eufemismo, se ci si sofferma — anche brevemente — a riflettere sulle estreme conseguenze che sta comportando la sempre crescente ascesa del fondamentalismo islamico che prende sempre più piede dappertutto, con il risultato che oltre il 25% della popolazione mondiale è costituito da popoli la cui guida, i cui precetti, le cui norme, la cui politica, sono dettati da un testo sacro, il Corano, con tutti gli oscurantismi che esso comporta, e sulla mortificazione di esseri umani i quali, come tutto il resto dei loro simili, ambiscono soltanto alla libertà e che, invece, dalla reale teocrazia, sotto la quale sono costretti a vivere, sono confinati in un ghetto nel quale dettano le regole, i comportamenti, l’abbigliamento, la nutrizione, le relazioni intime, religiosi chiamati “imam”, che direttamente guidati da dio (Allah) fanno vivere i loro sudditi secondo criteri e costumi di cinque secoli fa. Sono certo che, se potesse farlo oggi, George Orwell riscriverebbe un 1984 in cui non sarebbe affatto difficile individuare il “Grande Fratello”. Rimanere allibiti e sconcertati nell’assistere a tutto ciò è veramente dir poco.

Quanto precede non può che portarci ad una sola conclusione, e cioè che la “civiltà” dovrebbe essere il cammino che l’uomo percorre per accrescere il suo personale benessere, il suo conseguimento della felicità, obiettivo che, purtroppo, ci rendiamo conto non potrà mai essere conseguito definitivamente, e questo anche a motivo del fatto che, come perspicuamente asserisce Sigmund Freud in un suo saggio, “nell’ambito della psiche la conservazione del primitivo accanto al trasformato derivatone è invece talmente frequente che è superfluo esemplificarla”. In poche parole, accanto all’uomo “civilizzato” coesiste ancora l’animale dal quale esso discende. Ed è sempre Freud che nella sua indagine sulla felicità propone una tesi che lui stesso definisce “sorprendente”. E cioè che gran parte della colpa della nostra miseria va addossata alla nostra cosiddetta “civiltà”; saremmo molto più felici se vi rinunciassimo e trovassimo la via del ritorno a condizioni primitive, e cioè che la civiltà, con il conseguente sviluppo delle nostre facoltà psichiche e intellettuali, non ha fatto altro che renderci consapevoli della nostra misera condizione umana, accrescendo così la nostra infelicità. Secondo questa tesi, quando il progredire della civiltà e delle sue conquiste portò gli europei in contatto con popoli e razze primitive, parve loro che quei popoli conducessero una vita semplice, con pochi bisogni, felice, una vita che a loro, visitatori di una civiltà superiore, non era dato attuare. Una cosa è certa: la specie umana è in continuo avanzamento nel suo progresso tecnologico, scientifico, ma sempre meno avanza in quello etico, morale, umano; in poche parole ci stiamo immiserendo e la quantità straordinaria di tecnologia che ci sommerge non ha altro effetto che allontanarci sempre più gli uni dagli altri, portandoci così a soffrire in senso crescente una sorta di emarginazione, di solitudine, anche in mezzo a una folla. Questo accade perché siamo fermamente convinti, e non da ora, che “civiltà” voglia dire andare in auto invece che a piedi, poter parlare con chi sta dall’altra parte del pianeta senza muoverci da casa, atterrare sulla Luna, viaggiare su Marte, far fare lavori pesanti alle macchine e non più (ma non sempre) agli schiavi. Ed è qui il fraintendimento: questo si chiama progresso tecnologico, mentre una civiltà si misura dal suo progresso morale, etico, dalla crescita del senso della coscienza dentro di noi che, molto spesso anche se non sempre, sa indicarci ciò che è bene e ciò che è male. Alcuni confondono spesso la coscienza con l’anima, che secondo gli insegnamenti religiosi sarebbe quella invisibile presenza insufflata da dio in ogni essere umano, destinata a sopravvivergli dopo la morte per godere dell’eterna felicità o dell’eterno tormento e che, pur essendo in noi, non dipende da noi. Alcuni hanno infatti dedotto (erroneamente) che quando il racconto genesiaco ci dice che dio insufflò nell’uomo lo spirito, l’uomo ricevette in quell’istante l’anima. Niente di più falso. Il racconto biblico non dice che l’uomo “ricevesse” un’anima, ma che l’uomo “divenne un’anima”, cioè un essere vivente come tutti gli animali che dio aveva in precedenza animati con lo stesso “soffio”. È la stessa Bibbia a farci sapere che “a tutte le bestie della terra e a tutti gli uccelli del cielo e a tutto ciò che si muove sulla terra e che ha in sé anima vivente, io do l’erba verde per cibo” (Genesi 1:30). L’anima, quindi, non esiste, ma la coscienza sì perché essa non è di origine soprannaturale ma umana, umanissima, o comunque va identificata con la vita e nulla più, essa risiede nella nostra psiche, e la nostra psiche siamo noi stessi a formarcela con le nostre esperienze di vita e con le nostre scelte individuali delle quali dobbiamo assumerci la responsabilità.

Avviandoci alla conclusione di questo periglioso argomento, ancora una volta ci accostiamo a Freud, secondo il quale “un paese ha toccato un alto grado di civiltà, quando vediamo che i suoi abitanti accudiscono e provvedono opportunamente a tutto ciò che si dimostra di aiuto per sfruttare la terra a beneficio dell’uomo e per difenderlo dalle forze della natura, in breve: a tutto ciò che gli è utile”.

Le parole chiave sono “a beneficio dell’uomo”, invece sembra che tutto ciò che oggi ci reca la nostra civiltà non lo sia affatto, anzi è tutto il contrario, se ancora si muore di fame, di guerra, di malattie, di sopraffazione. “Il problema fondamentale del destino della specie umana”, continua Freud, “a me sembra sia questo: se, e fino a che punto, l’evoluzione civile riuscirà a padroneggiare i turbamenti della vita collettiva provocati dalla pulsione aggressiva e autodistruttrice degli uomini. In questo aspetto proprio il tempo presente merita forse particolare interesse. Gli uomini adesso hanno esteso talmente il proprio potere sulle forze naturali, che giovandosi di esse sarebbe facile sterminarsi a vicenda, fino all’ultimo uomo. Lo sanno, donde buona parte della loro presente inquietudine, infelicità, apprensione”.

Se pensiamo che il grande scienziato e indagatore dell’animo umano scrisse queste parole quasi duecento anni fa a metà del XIX secolo, possiamo ben dire che fu anche un profeta credibile. Chissà cosa avrebbe scritto oggi, tempo in cui lo sterminio dell’uomo da parte dell’uomo e della natura da parte sempre dell’uomo è ormai diventata una possibilità concreta? A chi volesse leggere per intero il suo pensiero su questo e altri temi di particolare importanza, suggerisco di Sigmund Freud, Il disagio della civiltà, in Opere (Gruppo Editoriale l’Espresso, Volume I, 2006).

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