I conflitti in atto nel mondo si moltiplicano. Il 2024 ne ha registrati 56, «il più alto numero dal tempo della Seconda Guerra mondiale», per di più in un contesto di «generalizzato deterioramento delle condizioni di sicurezza». L’esasperazione delle tensioni tra Stati, però, «non può farci distogliere lo sguardo dalla nostra casa comune, la Terra, dal suo stato di salute». L’allarme lo lancia il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, incontrando al Quirinale il corpo diplomatico, per lo scambio degli auguri.
La violenza è nella natura, la guerra è nella storia. Poiché la prima non può essere estirpata, la seconda va lasciata nel passato e vanno ricercate forme di cooperazione per garantire un futuro migliore. Tra la pericolosa esaltazione di glorie passate o l’ingenuità di un pacifismo che la storia è decisa a smentire, la storia militare, più di ogni altra attività umana, deve essere conosciuta per evitare di commettere gli errori del passato. Perché l’homo sapiens è diventato homo bellicus così presto? Qual è il rapporto tra il fenomeno della guerra e lo sviluppo politico, economico, sociale, religioso e persino culturale delle civiltà? È un’attività innata o possiamo pensare all’utopia di sradicarla per sempre e lasciarla come una reliquia nei libri di storia? Homo bellicus. Historia de la humanidad a través de la guerra (Homo bellicus. La storia dell’uomo attraverso la guerra) è un libro che ripercorre il fenomeno bellico dalle sue origini remote fino ai giorni nostri, cercando di dedurre le analogie che rendono intelligibile la guerra, ma soprattutto cercando di capire la guerra, forse l’unico modo possibile per evitare nuovi conflitti in futuro. La domanda che si pone l’autore, Fernando Calvo González-Regueral ce la siamo posta anche noi, e più volte, su questo giornale.
La guerra, nessuno al mondo può contestarlo, è la manifestazione che più di ogni altra caratterizza antropologicamente gli esseri umani. Fra le migliaia, o forse milioni di specie animali che hanno popolato il nostro pianeta in ogni tempo, abbiamo assistito a manifestazioni di violenza o di sopraffazione fra le creature viventi, ma mai tali manifestazioni hanno avuto come denominatore comune il potere, la gloria, l’esaltazione di sé stessi o l’appropriazione di porzioni di territorio altrui. Se solo riflettiamo sul fatto che le risorse destinate a scopi bellici, nel mondo, superano di gran lunga quelle che sono utilizzate per fini umanitari, per il progresso delle popolazioni più disagiate, per un migliore sistema sanitario mondiale, per la ricerca scientifica, e così via, ci rendiamo facilmente conto che vi è qualcosa che non va nella radice stessa degli esseri umani, perché a chiunque lo si dovesse chiedere, e cioè se desiderano la pace o la guerra, la risposta è scontata, tranne quella di alcuni individui disorientati e non in tutto in regola con la sanità mentale. E allora, perché se tutto il mondo desidera più di ogni altra cosa la pace che è fonte di prosperità, di armonia, di sviluppo, sin dal primo giorno che i nostri antenati cominciarono a diffondersi sul pianeta, la guerra è l’attività umana che più di ogni altra ha contraddistinto pressoché tutti i periodi storici di cui abbiamo consapevolezza?
Cercando di trovare una delle tante risposte che affiorano nella nostra mente, potremmo certamente ricondurre questa situazione a una dicotomia, e cioè che la pace è il bene e che la guerra è il male; quindi siamo ancora una volta di fronte alla mai conclusa battaglia fra il bene e il male che costituisce la storia del genere umano. Una nota autrice, il cui bestseller è conosciuto in tutto il mondo, e cioè Hannah Arendt, già nel 1945, al termine del secondo conflitto mondiale, scrisse: “Il problema del male sarà la questione fondamentale della vita intellettuale europea nel dopoguerra”. (Hannah Arendt, Incubo e fuga, Feltrinelli 2001). Il male non esiste da solo, a parte il male causato alle società umane dalle catastrofi naturali come i terremoti, le pandemie, le eruzioni vulcaniche.
Il male è frutto della volontà umana, quindi siamo costretti ad affermare che l’uomo è cattivo per natura; ritroviamo questo pensiero anche in Orazio “Vitiis nemo sine nascitur” (Nessuno nasce senza difetti). Il XX e il XXI secolo hanno assistito — e assistono — a una rinnovata esplosione del male, un male radicale che è quello nel quale gli uomini si esibiscono anche quando non è necessario, ma per puro diletto. Stiamo parlando dell’olocausto, dei genocidi, delle brutalità che uomini infliggono ad altri uomini esclusivamente per il piacere di fare del male, senza necessità alcuna, e questo si chiama male assoluto o male radicale del quale abbiamo quotidianamente conferme. E, per essere ancora più chiari, possiamo affermare che il male consiste nel comportarsi intenzionalmente in modi che danneggiano, oltraggiano, umiliano, deumanizzano o distruggono altre persone innocenti — nell’usare la propria autorità e il proprio potere per spingere altri a farlo per noi. In breve, è sapere ciò che è meglio ma fare il peggio. Poiché il bene e il male non esistono a prescindere da chi li compie, possiamo affermare che, poiché le guerre sono fatte da singoli uomini e non per una necessità esistenziale o per un’obbligazione biologica o antropologica, possiamo ben dire che ogni uomo che partecipa a una guerra — qualunque ne sia il motivo — prende parte al male, esercita il male, sceglie di fare male. Uno studioso che ha dedicato la sua vita alle cause del male, al quale in passato abbiamo abbondantemente attinto, è il professor Philip Zimbardo, professore emerito di psicologia, che in un suo corposo, e imperdibile, saggio ha definito “L’effetto Lucifero” quello che spinge gli uomini, anche i più mansueti a fare il male, anzi, come lui precisa “a fare male”, cioè infliggere dolore. C’è un modo attraverso il quale poter sfuggire a questa condizione che trasforma gli esseri umani in “mostri”? Ecco la risposta secondo Zimbardo: “Saper dire di no, saper disobbedire, conservare «eroicamente» questa capacità, l’unica che ci consenta di decidere e scegliere: questo ci serve, per sfuggire all’effetto Lucifero”.
Poiché l’esistenza del male è in aperto conflitto con ciò che gli uomini considerano l’artefice di ogni cosa, un Essere sommamente buono e onnipotente, creatore di tutto ciò che è buono e dall’infinita potenza, una domanda che ha sempre tormentato gli uomini è: “Si Deus est, unde malum?” (“Se Dio esiste, da dove viene il male?”). Se lo chiese il celebre filosofo tedesco Goffredo Guglielmo Leibnitz (1646-1716); e, prima di lui, il drammatico interrogativo se l’erano posto, fra gli altri, sant’Agostino (356-430) e Severino Boezio (480-526). Poiché la risposta che salta agli occhi è che o Dio non esiste oppure non è onnipotente, ed è una risposta sconvolgente per i credenti di qualunque fede, e pertanto non può intervenire efficacemente nelle vicende umane, si è trovata una via di fuga con la creazione di un altro Essere molto potente che ha come scopo della sua esistenza quello di fare il male e di spingere gli altri a compierlo; e a questo Essere spirituale e maligno si è dato il nome di diavolo. Il termine “diavolo” deriva dal latino tardo diabŏlus, traduzione fin dalla prima versione della Vulgata (fine IV – inizio V secolo d.C.) del termine greco Διάβολος, diábolos, (“dividere”, “colui che divide”, “calunniatore”, “accusatore”). Il diavolo ha molti nomi, uno dei quali è quello che ha spinto il professor Zimbardo a intitolare il suo libro “L’effetto Lucifero”.
Al riguardo non possiamo esimerci dall’includere fra le tante cause del male anche la religione, spesso fonte di ignoranza e quindi di male. Nel tentativo di dare una risposta agli interrogativi di Leibnitz, di S. Agostino e altri, essa fu trovata in un testo che diventò la bibbia dell’Inquisizione, il Malleus Maleficarum, ovvero “Il Martello delle streghe”, in base alle cui indicazioni si diede avvio a una spietata caccia agli agenti del male, per l’appunto le streghe, con un sistema accuratamente progettato di terrore di massa e sterminio di migliaia e migliaia di persone. Fabbricando “streghe”, la disprezzata categoria offriva una facile soluzione al problema del male, limitandosi semplicemente ad annientare quanti più agenti del male si riusciva a identificare, torturare, gettare nell’olio bollente o bruciare sul rogo. E qui troviamo il tremendo paradosso dell’Inquisizione, il quale è che l’ardente e spesso sincero desiderio di combattere il male produsse il male su scala ben più vasta di quanto il mondo avesse mai visto prima.
Tornando all’Homo Bellicus, in questo caso a eserciti di centinaia di migliaia di uomini spinti a uccidere altri uomini, alla base di tutto questo vi è la “creazione del nemico” che consiste, da parte del Potere, nella creazione di un programma di odio cioè di trasformare gli altri nel Nemico che minaccia il benessere e la sicurezza nazionali, e che spinge senza remore morali a caricare i propri fucili e a uccidere senza pensare minimamente di compiere il male. I pacifici diventano guerrieri e la propaganda bellica, studiata ad arte, imprime nel cervello le potenti emozioni della paura e dell’odio e quindi le guerre. Chiudiamo con una efficace sintesi dell’argomento, questa volta in senso positivo, con le parole di Zimbardo: «Il viaggio dell’effetto Lucifero si conclude con una nota positiva, celebrando l’eroe comune che vive in ognuno di noi. In contrapposizione alla “banalità del male”, basata sull’assunto che di uno dei più spregevoli atti di crudeltà e degradazione possano essere responsabili persone comuni, io sostengo l’assunto della “banalità dell’eroismo”, che dispiega il vessillo dell’eroico uomo comune pronto a rispondere all’appello dell’umanità quando è il suo momento di agire. Quando suona quella campana, sa che suona per lui. È l’appello a difendere il lato migliore della natura umana che si erge al di sopra delle forti pressioni della Situazione e del Sistema come una vigorosa affermazione della dignità dell’essere umano contro il male».