Il Giubileo

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Porta Santa della Basilica di San Pietro in Vaticano, Roma (Fonte: Wikimedia Commons)

Per la nazione d’Israele e il popolo ebraico in ogni parte del mondo questo è un periodo veramente molto difficile. La nazione ebraica è ormai da troppo tempo impegnata in una guerra sanguinosa e spietata contro il terrorismo, nella quale ormai i torti e le ragioni si confondono a tal punto da non essere quasi più in grado di stabilire chi è dalla parte giusta e chi non lo è. Ma, a prescindere dalle ragioni del conflitto, possiamo asserire senza tema d’errore che nel corso delle guerre nessuno ha ragione, hanno tutti torto, perché la perdita, anche di una sola vita umana è una tragedia che niente e nessuno può giustificare. In quanto al popolo ebraico — da non confondere con la nazione d’Israele — anch’esso sta vivendo momenti drammatici, con la risorgenza di un fenomeno che sembrava ormai appartenere al passato e chiuso definitivamente con lo smantellamento dei lager e la sconfitta dal Nazismo a guerra mondiale finita. Stiamo parlando dell’antisemitismo che sembra attraversare un rinnovato periodo di vitalità, con episodi di intolleranza antiebraica che si manifestano in ogni parte del mondo, compreso il nostro Paese.

Questo è ciò che accade oggi, ed è dell’oggi che vogliamo parlare, anche in riferimento a quell’antico popolo, alle sue tradizioni e alla loro eredità che esso ci ha lasciato, della quale fa parte importante l’evento che dà il titolo a questo articolo: il Giubileo. Intanto cominciamo con il termine “Giubileo”. Esso deriva dall’ebraico jôbhel “corno di montone”, in quanto l’annunzio del Giubileo era dato dai sacerdoti israeliti al suono di un corno di montone. Alla fine dell’ultimo anno di ogni ciclo di 7 anni sabatici, il suono del corno annunciava l’inizio del cinquantesimo anno, cioè dell’anno giubilare. Era un anno molto particolare, un anno speciale, in quanto prevedeva enormi benefici per il popolo tutto; era, infatti, un anno di remissione o, se vogliamo, di perdono. Infatti al termine di sette settenni nel settimo mese dell’anno religioso, primo dell’anno civile, che cominciava nella seconda metà del settennio, nel giorno di espiazione, risuonava in tutto il paese lo squillo della tromba. Si iniziava così l’anno sabbatico, che basava la sua indizione sulle parole del libro biblico del Levitico, facente parte della Torah, la Legge, (25:11 sg.), secondo il quale: “Sarà un giubileo, il cinquantesimo anno, per voi; non seminerete e non raccoglierete quanto il terreno produce spontaneamente e non vendemmierete e la vite non sarà potata. Il giubileo sarà infatti sacro per voi … Nell’anno del giubileo ciascuno tornerà in possesso dei suoi beni”.

Il Giubileo era dunque l’anno del ripristino della piena normalità sociale, con la remissione dei debiti e la liberazione degli schiavi: “Se un tuo fratello ebreo o una ebrea si vende a te, ti servirà per sei anni; ma al settimo anno lo manderai via da te libero, non rimandarlo a mani vuote, ma caricalo di doni del tuo gregge, della tua aia e del tuo torchio; nella misura in cui il Signore tuo Dio ha benedetto te, tu darai a lui” (Deuteronomio 15:12-15). Non v’è dubbio alcuno che il giubileo ebraico fosse effettivamente un avvenimento memorabile, che non consisteva soltanto di belle parole, di esortazioni, di preghiere, ma aveva un riscontro concreto con il benessere del popolo che ne riceveva i benefici effetti che abbiamo sopra menzionato. Era non soltanto un riposo per la terra, una sorta di “maggese”, ma anche un riposo da condizioni dolorose come quella dell’essere debitore e non riuscire ad estinguere il debito, o dell’essere schiavo e non riuscire a riscattarsi. Il suono del corno, quindi, rappresentava veramente un suono di speranza per le orecchie di quell’antico popolo.

Trascorsero i secoli, e di quell’antico rito si appropriò la più grande — e unica — chiesa che ha sempre insistito con fermezza di essere la sola, l’unica erede di Cristo e sua rappresentante in terra, tanto è vero che al suo capo viene attribuito il titolo di “Vicario di Cristo”. Così la Chiesa si intestò il Giubileo. Ma lo trasformò profondamente, in quanto esso, secondo il concetto teologico divenne un’indulgenza plenaria concessa dal romano pontefice con annesse facoltà speciali per i confessori a favore dei fedeli che traevano vantaggio dal Giubileo. In poche parole, mentre agli ebrei venivano concessi degli evidenti benefici materiali di grande portata, ai cristiani veniva semplicemente concessa un’indulgenza plenaria, cioè il perdono dei peccati, concesso dai confessori. Nel primo giubileo i benefici erano concreti e visibili, nel secondo si trattava solo di parole, perché nessuno poteva sapere se Dio accoglieva la richiesta del confessore e sollevava il penitente dai suoi peccati. Entrato nel confessionale carico, ne usciva liberato fidandosi esclusivamente delle parole del sacerdote di turno: “Ego te absolvo a peccatis tuis in nomine Patris et Filii et Spiritus Sancti”.

Dovettero trascorrere quasi dodici secoli prima che la Chiesa si appropriasse di quest’antica usanza. Infatti, come dice l’Enciclopedia Cattolica, «Un evento che anticipò e predisse il Giubileo fu la cosiddetta “Indulgenza dei Cent’anni”. Non esistono documenti del XII o XIII secolo al riguardo, ma fonti del 24 dicembre 1299 riportano come masse di pellegrini, a conoscenza di una leggendaria “Indulgenza Plenaria” che si sarebbe ottenuta al capodanno del secolo nuovo, cioè nel passaggio da un secolo all’altro, muovessero verso Roma fin dentro l’antica basilica di San Pietro per ottenere la remissione completa di tutte le colpe. Né il papa dell’epoca, Bonifacio VIII, né i prelati sapevano nulla di questa usanza, ma memorie del cardinale Jacopo Caetani degli Stefaneschi, nel documento De centesimo sive Jubileo anno liber (libro sull’anno centenario o giubilare), parlano di un vecchio di 107 anni che, interrogato da Bonifacio, asserì che 100 anni prima, il 1º gennaio 1200, all’età di soli 7 anni, assieme al padre si sarebbe recato innanzi a Innocenzo III per ricevere l'”Indulgenza dei Cent’Anni”. Nonostante la testimonianza di questo centenario esista, non abbiamo fonti coeve a Innocenzo o più antiche che testimonino di quest’usanza, per la quale Innocenzo è l’unico papa menzionato, né di altre indulgenze simili». Con il trascorrere del tempo, comunque, la cadenza del Giubileo venne portata a 50 anni e, con Papa Paolo II (XVI secolo), fu ulteriormente ridotta a 25 anni, ed è ancora così.

Collegato con l’inizio del Giubileo cattolico vi è un altro grande evento che coinvolge tutta la chiesa romana: si tratta dell’apertura della “Porta Santa” che sancisce l’inizio del Giubileo. Dal punto di vista simbolico, la Porta Santa assume un significato particolare: è il segno più caratteristico, perché la meta è poterla varcare. La sua apertura da parte del Papa costituisce l’inizio ufficiale dell’Anno Santo. Originariamente, vi era un’unica porta, presso la Basilica di S. Giovanni in Laterano, che è la cattedrale del vescovo di Roma. Per permettere ai numerosi pellegrini di compiere il gesto, anche le altre Basiliche romane hanno offerto questa possibilità. Quest’anno l’apertura della porta santa avverrà il 24 dicembre, mentre il 1° gennaio 2025 verrà aperta la Porta Santa della Basilica papale di Santa Maria Maggiore. Infine, domenica 5 gennaio sarà aperta la Porta Santa della Basilica papale di San Paolo fuori le Mura.

Mentre per il giubileo troviamo almeno un riscontro biblico nelle Scritture Ebraiche, per quanto riguarda ciò che ad esso vien fatto seguire è qualcosa che non trova alcuna base scritturale, né nel Vecchio, né nel Nuovo Testamento. Gesù e nemmeno i suoi più stretti seguaci aprirono mai porte a martellate, né sfiorò la loro mente una cosa del genere. D’altra parte questo è il costume plurimillenario della Chiesa nella quale la stragrande maggioranza dei riti dei “sacramenti”, delle funzioni sono pura invenzione umana che si cerca (vanamente) di giustificare con qualche frammento di brano evangelico tolto dal suo contesto. Nel caso della porta santa il brano prescelto a sua giustificazione è il testo del capitolo 10 del Vangelo secondo Giovanni: “Io sono la porta: se uno entra attraverso di me, sarà salvato; entrerà e uscirà e troverà pascolo”. Come si esprime una fonte cattolica, “Il gesto esprime la decisione di seguire e di lasciarsi guidare da Gesù, che è il Buon Pastore. Del resto, la porta è anche passaggio che introduce all’interno di una chiesa. Per la comunità cristiana, non è solo lo spazio del sacro, al quale accostarsi con rispetto, con comportamenti e con vestiti adeguati, ma è segno della comunione che lega ogni credente a Cristo: è il luogo dell’incontro e del dialogo, della riconciliazione e della pace che attende la visita di ogni pellegrino, lo spazio della Chiesa come comunità dei fedeli. A Roma questa esperienza diventa carica di uno speciale significato, per il rimando alla memoria di S. Pietro e di S. Paolo, apostoli che hanno fondato e formato la comunità cristiana di Roma e che con i loro insegnamenti e il loro esempio sono riferimento per la Chiesa universale. Il loro sepolcro si trova qui, dove sono stati martirizzati; insieme alle catacombe, è luogo di continua ispirazione”.

Paragonare il definirsi di Gesù a una “porta” con la realtà celebrata da secoli nella Chiesa è una vera e propria forzatura. Gesù non fu mai una porta letterale, mentre la cerimonia di apertura della “Porta Santa” della basilica vaticana che il pontefice apre nella vigilia di Natale, che precede immediatamente l’anno santo, è arricchita da cerimonie speciali e caratteristiche, durante le quali il “Sommo Pontefice” con un martello d’oro batte tre colpi nel centro della porta, intonando i versetti. “Aperite mihi portas iustitiae. Introibo in domum tuam, Domine. Aperite mihi portas, quoniam vobiscum Deus” (Apritemi le porte della giustizia. Entrerò nella tua casa, Signore. Apritemi le porte, perché Dio è con voi). Come spiega l’Enciclopedia Cattolica, “Tali porte vengono dette sante, non solo perché con la loro apertura e chiusura ha inizio l’anno del Giubileo, detto comunemente Anno Santo, ma principalmente perché … sono benedette le pietre, la calce e i cementi con i quali si serrano, invocando il Nome del Nostro S.mo Redentore”. E qui si sfiora il ridicolo, volendoci far credere che anche il materiale con cui sono realizzate le porte è benedetto! Benedetta la calce, benedetto il cemento, benedetto il legno, benedetto tutto! Ancora una volta siamo costretti dalla realtà dei fatti a trarne, come già fatto più volte, la conclusione che il Cristianesimo di Cristo e la Chiesa Cattolica Apostolica Romana sono due strutture o due ideologie lontanissime l’una dall’altra. Il Cristianesimo, nelle illusioni del Nazareno, avrebbe dovuto portare pace e fratellanza fra gli uomini, il Cattolicesimo, invece, ha portato solo guerre, lutti e ricche prebende ai “successori” di Pietro e alla loro corte.

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