Giustizia latitante

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Riceviamo da Riccardo Vizzino e Adriano J. Spagnuolo Vigorita e volentieri pubblichiamo

Una Giustizia latitante danneggia i cittadini onesti e i contribuenti. Solo un recupero di etica dei comportamenti e di efficienza la potrà salvare. La presente riflessione contiene un invito ad aprire gli occhi su una problematica che pare sfuggire sistematicamente vuoi ai politici di turno, vuoi ai vertici di Magistratura ed Avvocatura; al fine di entrare in medias res, si procederà a riferire di vari casi seguiti dallo Studio legale Vizzino, che cura controversie attinenti perlopiù al settore dei sinistri stradali.

Nell’esercitare il proprio ministero (che è tale sotto ogni profilo, dacché costituisce il frutto anche di un’autentica vocazione, oltreché di notti sudate sui libri), l’avvocato deve attendere a precisi doveri deontologici: si pensi all’obbligo di esercitare l’attività professionale con indipendenza, lealtà, correttezza, probità, dignità, decoro, diligenza e competenza, tenendo conto del rilievo costituzionale e sociale della difesa nonché rispettando i principi della corretta e leale concorrenza. Ma questi doveri sono ancora sistematicamente sentiti e applicati? Purtroppo, talvolta no!

A chi scrive è capitato di avvedersi che il difensore attoreo non possedeva il titolo d’avvocato (o, per meglio dire, era un avvocato ormai decaduto), quindi, non ha esitato ad eccepire il tutto, ma il Giudice di Pace, anziché trasmettere – come previsto dalla Legge – gli atti alla competente Procura della Repubblica, ha rinviato la causa in prosieguo di prima udienza ai sensi dell’art. 320 del Codice di rito civile.

Per giunta, in sede d’udienza, sembra sfuggire tanto al giudice quanto al cancelliere che le prove testimoniali vengono sovente articolate non in aula, bensì negli atrii e nei corridoi, con l’ausilio delle Note di Diritto Pratico che si redigono tranquillamente tramite smartphone: una circostanza siffatta accresce il rischio di testimonianze inattendibili, se non addirittura false, ovvero rese da soggetti-fantasmi. Più che ai singoli operatori degli Uffici giudiziari, la responsabilità dello svolgimento “anomalo” delle udienze va ascritta al sistema Giustizia, dal momento che parecchi edifici (come quelli che ospitano i Giudici di Pace di Barra, Marano di Napoli, Marigliano, Nola, Napoli Nord) sono privi di ogni presidio: ne consegue, ça va sans dire, che alle aule può accedere chiunque, magari camuffandosi da avvocato pur essendo ancora praticante (perché di rado i giudici controllano il tesserino in udienza) o, peggio ancora, con l’obiettivo di malmenare gli operatori del diritto che ivi prestano la propria opera, come avvenuto qualche mese fa a danno di una Giudice che, nell’assolvere ai propri compiti, è stata brutalmente aggredita, riportando la frattura di un dito.

Altra anomalia che si riscontra nei corridoi di non pochi Uffici giudiziari riguarda i sanitari a caccia d’incarichi come consulente tecnico d’ufficio (CTU); peccato, però, che parecchi di loro non possiedono i requisiti per rendere siffatte consulenze, né tantomeno per quantificare concretamente i danni patiti dalle parti: a titolo esemplificativo, si pensi ai medici ospedalieri o strutturati – che, senza l’autorizzazione dell’ASL d’appartenenza, non possono prestare giuramento come CTU – oppure agli esperti camerali, che – in ossequio ad una legge varata nel 2012 – non sono in alcun modo legittimati ad assumere la qualifica suddetta, né ad eseguire la quantificazione dei pregiudizi menzionati.

Nell’ambito dei procedimenti di diritto sia civile sia penale, il CTU è un consulente del Tribunale, un ausiliario del giudice; è quindi un soggetto della cui competenza ed esperienza il giudice si avvale nell’esercizio della funzione giurisdizionale per incarichi specifici. Il giudice dovrebbe nominare il consulente scegliendolo tra coloro che sono iscritti nell’apposito Albo dei consulenti del Tribunale. Ciascun Ordine o Collegio professionale determina i requisiti in presenza dei quali è possibile procedere all’iscrizione negli Albi dei consulenti a cui possono anche iscriversi soggetti in possesso di specifiche competenze tecnico/scientifiche e non appartenenti a nessun albo professionale. Ciononostante, purtroppo, i CTU sono spesso privi delle conoscenze necessarie ad orientare il convincimento del giudice nella fase delicata di composizione delle singole liti, vuoi perché queste ultime ineriscono ad un campo del tutto estraneo alle conoscenze e all’esperienza da loro maturate, vuoi – soprattutto – perché ai piani alti della Giustizia locale non ci si premura minimamente di effettuare le verifiche caso per caso, specie per ciò che inerisce al possesso di determinate qualifiche necessarie all’espletamento di tale compito (come quella di medico-legale). Se le risposte ai quesiti di un giudice trovano puntualmente risposta affermativa basandosi sulla sola superficialità del dato generico, della generica compatibilità, nei termini della possibilità, anche se quel nesso è certamente poco probabile, il CTU è relegato non tanto a fare il proprio lavoro, ma a prendersi una responsabilità, paventando l’aspetto tecnico, di avallare richieste di una parte in causa senza porre in essere quei ragionamenti dovuti alla metodologia medico-legale. Fu, peraltro, l’intervento del legislatore a mitigare alcune evidenti incongruenze nell’operato dei Consulenti introducendo la legge 27/12 ed il noto triplice accertamento medico legale clinico-obiettivo-strumentale ovvero visivo, che poi, stante le inesattezze riportate nel testo ed alcuni casi limiti che avrebbero portato a delle evidenti ingiustizie, ha trovato anche diverse pronunce avverse di cassazione. Andando però a scovare nell’intento di quella normativa cogliamo ancora i punti più critici della nostra discussione odierna.

Che lo si voglia chiamare accertamento medico legale, triplice accertamento o accertamento del nesso di causa, tutto converge ancora una volta nella costante necessità di approfondita valutazione. È doveroso validare ogni singolo criterio di accertamento del nesso causale sotto il triplice profilo clinico, obiettivo e strumentale con la conseguenza che la carenza di solo uno di questi porta all’impossibilità di esprimersi in maniera positiva.

Dunque, sotto il profilo clinico, dovrà essere rispettata la compatibilità (sempre in termini probabilistici e non possibilistici) che uno specifico quadro di accesso in Pronto Soccorso sia adeguato alle lesioni riportate, finanche scoperte successivamente, e alla tipologia di trauma od evento dannoso subito. Ad esempio, la caduta da motociclo d’estate dovrà produrre escoriazioni per il corpo e contusioni multiple pluridistrettuali. L’obiettività, in caso di lesioni intrarticolari acute, anche se non immediatamente diagnosticabili, dovrà condure alla scelta di eseguire una radiografia per verificare la presenza di fratture, la cui sintomatologia è completamente sovrapponibile e richiede un consulto specialistico ortopedico, infine bisognerà medicare le ferite e immobilizzare i distretti, prescrivere la terapia medica o chirurgica e infine dimettere o ricoverare. Dovrà poi essere rispettato un adeguato iter clinico con controlli seriati e terapie fino alla guarigione. Sotto il profilo obiettivo, al momento della visita in sede di accesso peritale, una specifica lesione riportata a seguito dell’evento dannoso dovrà necessariamente avere il suo adeguato corrispettivo osservabile e obiettivabile. La semplice limitazione ai gradi estremi per dolore riferito o il dolore alla digitopressione non può rappresentare una lesione che solitamente si accompagna ai suoi segni cardine. Ed invece spesso basta che il soggetto riferisca dolore, per ritenere soddisfatto il criterio obiettivo. Con ciò, peraltro, si dimentica, o meglio si ignora, che l’oggetto della quantificazione del danno in medicina legale sono le menomazioni e non le lesioni.

L’errore più marchiano che viene sistematicamente commesso è quello di ritenere validato il nesso di causa tra un evento traumatico e delle lesioni refertate strumentalmente, senza considerare il rapporto sotto il profilo cronologico. Si finisce, dunque, con il risarcire lesioni che sotto il profilo documentale sembrano preesistenti al trauma, mancando nelle immagini e nei referti quei segni di acuzie che sempre accompagnano la produzione di lesioni (classica è la lesione di crociato anteriore dimostrata con RMN eseguita a distanza di 20 giorni dal trauma, in assenza di versamenti articolari, edema osseo e con aspetto assottigliato del legamento, quando è noto in letteratura che nei primi 30-40 giorni c’è un versamento importante, i fenomeni infiammatori conferiscono al legamento leso un aspetto ispessito e l’edema osseo scompare non prima dei 2-3 mesi, ma mai si riesce a far esprimere il CTU sull’incompatibilità causale cronologica).

Un capitolo a parte, riguardo alle CTU per la valutazione del danno alla persona, è rappresentato dalla scelta, da parte di taluni Magistrati, ricadente su laureati in odontoiatria e protesi dentaria per la stima del danno, ad esempio, da incidente stradale. I laureati in odontoiatria svolgono attività inerenti alla prevenzione, alla diagnosi e alla terapia delle malattie ed anomalie congenite e/o acquisite dei denti, della bocca, delle ossa mascellari, delle articolazioni temporo-mandibolari e dei relativi tessuti. Si occupano della riabilitazione odontoiatrica, prescrivendo tutti i medicamenti ed i presidi necessari all’esercizio della professione. Questi professionisti, alla lettera, non sono medici (per come comunemente s’intende tale Ruolo) ma odontoiatri. La valutazione “medico-legale” del danno alla persona è invece appannaggio del “medico-legale” ossia del laureato in Medicina e Chirurgia, Specialista in Medicina Legale e delle Assicurazioni. È chiaro, dunque, che il ruolo del CTU, in veste di arbitro imparziale, con giusta fede prioritaria in ciò che dice rispetto ai consulenti di parte, deve essere interpretato da professionisti con conclamata esperienza professionale clinica, poiché tale esperienza diventa di dubbia utilità laddove non venga resa compiutamente, mediante la dominante conoscenza, alle necessità di giustizia.

A queste anomalie organizzativo-gestionali fanno da contraltare atteggiamenti discutibili sul piano decisionale. Illustriamo con qualche caso concreto.

In una vicenda sottoposta al vaglio di un Giudice di Pace, che vedeva convenuto il Fondo di Garanzia per le Vittime della Strada (FGVS), chi riteneva di aver riportato lesioni a causa di un sinistro asseritamente occorso con veicolo privo di copertura assicurativa s’era recato al Pronto Soccorso a distanza di ben tre giorni dall’incidente de quo, peraltro senza sporgere alcuna denunzia-querela alle Autorità competenti; ma nonostante la difesa del FGVS – finanziato, si badi, coi soldi della collettività! – abbia, tramite apposita eccezione, invitato il Giudicante ad approfondire tale dettaglio, questi ha ritenuto opportuno procedere, finendo addirittura con l’ammettere l’articolazione della prova, non tenendo conto del disposto ex art. 590-bis c.p.c. e dell’eccezione a tal uopo formulata dal legale del FGVS.

Un altro caso, non dissimile, s’è verificato innanzi a un altro Giudice di Pace: la madre del giovane attore (minorenne), che si doleva d’essere rimasto ferito dopo l’impatto con un veicolo, ha dichiarato di trovarsi sola col figlio al momento del sinistro; ma, tutto a un tratto, è spuntato fuori un testimone, che ha riferito d’aver veduto un veicolo (anch’esso non assicurato) che, percorrendo la carreggiata ben oltre il limite di velocità ivi previsto, colpiva violentemente parte attrice sul lato sinistro, facendola rovinare al suolo, per poi fuggire. Però, stranamente, il minore non ha riportato danni a sinistra! Il difensore incaricato dal FGVS ha eccepito l’inattendibilità della testimonianza, ma anche qui al Giudice non è importato alcunché, quindi la causa ha fatto il suo corso e s’è conclusa con la vittoria dell’attore!

Qualche giorno fa un Giudice di Pace ha inspiegabilmente rigettato la domanda proposta da una sventurata donna anziana che, nel camminare per le strade di Napoli, è finita clamorosamente in una buca non adeguatamente segnalata, riportando lesioni: orbene, il Magistrato onorario ha giustificato la reiezione argomentando che la difesa dell’attrice non aveva prodotto gli atti interruttivi della prescrizione, segnatamente le numerose missive di costituzione in mora inviate medio tempore al Comune partenopeo; peccato, però, che esse – come attestato dal Giudicante medesimo nel verbale d’udienza – risultavano acquisite agli atti, ragion per cui si sarebbe dovuto procedere a rimettere la causa sul ruolo al fine di chiedere chiarimenti e, se necessario, ricostruire il fascicolo. Com’è che, ad un tratto, le cennate missive erano sparite? La questione avrebbe meritato un approfondimento, invece no!

Tutti questi spiacevoli eventi tendono a contribuire notevolmente non solo all’impoverimento della difesa ma anche ad un rallentamento della giustizia. Anche la riforma cosiddetta “Cartabia” ha contribuito notevolmente all’evoluzione del processo ma non certo in meglio. Infatti, l’intento politico di riduzione dei tempi processuali “garantito” dalla riforma si rivela essere un vero e proprio buco nell’acqua, se si tiene conto del fatto che, purtroppo, la riforma non semplifica, bensì complica e formalizza i problemi legati all’esercizio del diritto di difesa. Infatti, con l’avvento del processo telematico, i giudici paiono meno inclini a leggere con attenzione atti e documenti. Inoltre, complici i plurimi guasti che interessano il sistema, i tempi di definizione delle singole cause diventano ancor più biblici: certa Magistratura di Pace, infatti, se ne lava le mani, limitandosi a rinviare la causa ad un’udienza che, se tutto va bene, si celebrerà a distanza di un anno.

Di non minore importanza sono le questioni relative alle truffe in ambito assicurativo, che hanno un peso nella lievitazione esponenziale che interessa, anno dopo anno, i premi assicurativi. Al riguardo gli scriventi reputano opportuno appellarsi ai Lettori affinché segnalino, scrivendo all’indirizzo e-mail denunciolatruffa1@gmail.com, i soprusi asseritamente subìti da una Giustizia mal esercitata e, al contempo, si propongono di far istituire un Osservatorio sulle Truffe all’interno degli Uffici Giudiziari, proprio per evitare che si continui a giocare sporco e a nuocere, quindi, al buon nome di una Giustizia giusta, non strumentalizzata a proprio piacimento da taluni. Se lo Stato non provvede ad istituire un’Autorità garante contro truffe e soprusi, è d’uopo – anche dal punto di vista morale – schierarsi in prima linea per tutelare l’interesse della collettività.

Adriano J. Spagnuolo Vigorita (giurista, saggista, abilitato all’avvocatura)

Avv. Riccardo Vizzino – Responsabile nazionale di Civicrazia contro le truffe assicurative

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