È a Marco Tullio Cicerone, il grande rètore e uomo politico dell’antica Roma, che dobbiamo l’aver coniato il termine latino moralis, derivazione di mos moris «costume», per calco del greco ἠϑικός, derivato di ἦϑος: cioè ethos, etico, etica. Questo termine era relativo ai costumi, cioè al vivere pratico, in quanto comporta una scelta consapevole tra azioni ugualmente possibili, ma alle quali compete o si attribuisce valore diverso o opposto (bene e male, giusto e ingiusto). Appartengono alla categoria della morale anche la libertà morale, cioè la capacità di scegliere e operare, assumendosene in coscienza la responsabilità (responsabilità morale), in accordo con principî ritenuti di valore universale o contro di essi; il senso morale, ovvero la capacità di distinguere ciò che è bene da ciò che è male, ritenuta presente in misura maggiore o minore in ogni uomo, innata oppure acquisita con l’educazione e l’esperienza; la coscienza morale, cioè la consapevolezza del valore morale del proprio agire, anche come principio dell’operare; e, di conseguenza, è persona morale l’uomo in quanto capace di discernere e di operare bene o male; seguono, infine, le qualità morali: perfezione morale, indifferenza morale, mancanza di senso morale.
Mentre la ferocia, l’aggressività, la cura dei propri piccoli e alcune altre caratteristiche sono condivise dalla specie umana anche con molte altre specie del mondo animale, la morale è una sua esclusiva caratteristica, che costituisce un profondo discrimine nell’ambito della natura e della vita sulla Terra. E poiché è sulla morale, sull’etica, sulla capacità di discernere il bene dal male che si fonda la natura umana, fu proprio per questo che il grande filosofo scozzese David Hume vi dedicò un’imponente opera letteraria, ovvero il Trattato sulla natura umana in quattro ponderosi volumi, uno dei quale aveva come titolo proprio Ricerca sui principi della morale, al quale rimando per chi volesse approfondire ulteriormente la delicata questione.
Ci sono argomenti riguardanti la natura umana che rimangono inalterati anche con il trascorrere dei secoli, perché essa si è formata milioni di anni fa ed ogni suo cambiamento, se pure possibile, richiede altrettanto tempo per manifestarsi. Ciò nondimeno, dopo aver fatta questa premessa, nel leggere l’opera di Hume e nel rifletterci, non possiamo non tener presente che egli fu un uomo della metà del XVIII secolo e che era, quindi, condizionato dal mondo che lo circondava e dalla società nella quale crebbe, sebbene i principi da lui esposti e commentati siano intramontabili e imperituri. E questo perché, come scrive Hanno Sauer (L’invenzione del bene e del male, Laterza, 2023), giovane professore svedese di filosofia, “La morale esiste da molto prima che si parlasse di Dio, di religione o di filosofia. La sua storia è, anzitutto, il frutto di un processo di selezione naturale che risale agli albori dell’umanità … Tra gli ominidi che scendono dagli alberi ci sono anche i nostri antenati, che si adattano agli spazi aperti organizzandosi in gruppi estesi. È sotto la pressione di fattori ambientali che la moralità emerge come fondamento di una cooperazione tanto precaria quanto essenziale per la sopravvivenza della specie”. Quindi Sauer offre a noi lettori una sorta di ‘genealogia’ della morale che si muove tra paleontologia e genetica, psicologia e scienze cognitive, filosofia ed evoluzionismo. Le tappe di questo percorso marcano le principali trasformazioni morali della storia dell’umanità, arrivando fino ai giorni nostri, e la crisi morale del presente è il risultato di secoli e, come abbiamo già detto, di millenni, di milioni di anni.
Se abbiamo scelto di trattare un argomento di tale pregnanza è perché di recente ci siamo occupati — o per meglio dire preoccupati — delle condizioni attuali del mondo in cui viviamo, nel quale tutti sembrano anelare alla pace, ma nel quale l’unico risultato è la guerra. E, se dovessimo definire questa attività umana alla luce di quanto sopra, possiamo dire, con la certezza di non essere smentiti, che la guerra è certamente immorale, perché non rispetta nessuno dei canoni che hanno contribuito a formare la società in cui viviamo.
Come afferma Sauer nel suo libro, “La nostra morale è un palinsesto: una pergamena scritta e riscritta più volte, difficile da decifrare, spesso illeggibile. Ma che cos’è la morale? Come definirla? Meglio sarebbe non definirla affatto, visto che «definibile è soltanto ciò che non ha storia» (Nietzsche). Ma la nostra morale una storia ce l’ha, ed è una storia complessa e stratificata, per nulla adatta alle sterili formule che possiamo escogitare seduti alla nostra scrivania. Se fornirne una definizione è compito arduo, non significa però che sia impossibile dire con chiarezza che cos’è. Impossibile è definirla in poche parole”. Qui Sauer ha ragione perché un altro grande che si occupò dell’argomento fu proprio Friedrich Nietzsche nel suo Genealogia della morale (Adelphi, 1984) testo problematico del quale è difficile condividere tutte le tesi, ma che vale assolutamente la pena di leggere. Continua Sauer: “La nostra morale è un meccanismo psico-sociale finalizzato a rendere possibile la cooperazione. Siamo ora in possesso di alcuni degli strumenti scientifici necessari a comprenderlo. In questa prospettiva teorica, il problema della nascita della morale può essere formulato con più precisione: se la nostra morale non è un catalogo di norme note a priori o ispirate da Dio, bensì dotate di una storia, allora (ecco la straordinaria intuizione di Nietzsche) la filosofia morale è di natura genealogica. Perché sia fondata, la storia della morale deve basarsi sulle ultime scoperte della teoria evoluzionistica, della psicologia morale e dell’antropologia … La nostra morale è nata in seno a precise condizioni, nell’ambiente in cui si è dato il nostro adattamento evolutivo … La nostra è una morale specificamente umana. Dal confronto con i primati emergono ex negativo le facoltà che, di per sé, non sono sufficienti a dare spiegazione della nostra morale. Se le scimmie condividono con noi determinate caratteristiche, allora è automaticamente escluso che quelle caratteristiche possono spiegare la cooperazione umana … Il fatto che la teoria evoluzionistica non sia in grado di spiegare la nostra morale altruistica è stato a lungo uno degli argomenti più discussi e sfruttati dai sostenitori del teismo e degli scettici dell’evoluzione, che si sono aggrappati alla morale umana come ultimo possibile appiglio per continuare a sostenere che la natura umana doveva avere un’origine divina. La teoria evoluzionistica, soprattutto se banalmente ridotta al solo principio della sopravvivenza del più adatto, sembrava predire che tutti debbano perseguire sempre e solo il proprio vantaggio personale. Eppure i vicini di casa si prestano aiuto reciproco, ed è esperienza comune quella di sacrificarsi per il bene dei propri figli. Dunque l’amicizia, la comunità, la solidarietà non esistono? E amare il nostro prossimo è impossibile? Da una prospettiva atea, la nostra morale sembra a dir poco un grande errore, se non addirittura un mistero inspiegabile, un’anomalia scientifica che i non credenti sono costretti ad accettare con un’alzata di spalle, come un dato di fatto. La tesi sostenuta, oggi come un tempo, dagli apologeti della religione, e cioè che altruismo e generosità non possano avere un’origine evoluzionistica, oggi deve essere riconosciuta per quello che è: un mito definitivamente confutato. In verità, ciò che mette definitivamente fuori uso la prospettiva teistica non è tanto l’avere in mano una spiegazione finale ed esaustiva della nascita e della diffusione della morale, quanto il fatto che, nel tempo, la spiegazione naturalistica è andata incontro a un progresso costante: alla fine del XIX secolo, cooperazione e morale apparivano ancora, dal punto di vista evoluzionistico, degli enigmi assoluti. Da allora molti aspetti della nostra morale sono stati spiegati in modo soddisfacente e da ciò nasce la fondata speranza che anche i problemi restanti possano essere chiariti col tempo: «la luce sorge pian piano sul tutto»”.
Quello della morale è un argomento infinitamente più vasto di quanto abbiamo potuto trattare in questo breve scritto. Ma che dovrebbe indurci ad una riflessione. Riflessione che riguarda principalmente i teisti, e cioè se è da un dio che emanano i principi della morale, come è possibile che in tutta la storia documentata egli abbia completamente fallito, tanto da “pentirsi” di aver creato l’uomo: “Si pentì di aver fatto l’uomo sulla terra, se ne addolorò in cuor suo e disse «Sterminerò dalla faccia della terra l’uomo da me formato, uomini e animali domestici, rettili e uccelli dell’aria tutto sterminerò perché mi pento di averli fatti» (Genesi 6:6, 7). Caratteristiche universalmente attribuite a dio sono l’onniscienza, la preveggenza, l’onnipotenza e tante altre. Eppure qui egli si “pente” come un qualsiasi essere umano, e di solito a chi si pente viene inflitta un’ammonizione, ma non in questo caso. Il dio di cui parliamo aveva creato un uomo senza quella morale che avrebbe dovuto distinguerlo dagli animali, altrimenti la storia umana non sarebbe stata un susseguirsi di atrocità, di malvagità a livello individuale e nazionale, ed oggi, se dio fosse veramente esistito, non dovremmo preoccuparci che sia l’arma nucleare a minacciare di far scomparire la razza umana, e non un diluvio universale come nella leggenda di Noè. Morale, quindi. Concetto evanescente che muta ad ogni mutar di stagione e di condizioni internazionali. E al figlio di quel dio di cui prima, rivolgiamo ancora una volta la domanda: è possibile che l’unica pace che tu sia venuto a portare sia quella dei cimiteri, e non quella di persone che sotto il tuo regno avrebbero dovuto mostrare la tua veridicità e non il tuo fallimento? Abbiamo molto materiale su cui meditare e continueremo ancora a farlo.