Pericolo!

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Non è piacevole parlare sempre, o quasi, di argomenti sgradevoli. Purtroppo, se vogliamo rimanere con i piedi ben saldi per terra, non possiamo volgere lo sguardo da un’altra parte e far finta di niente. Il mondo, da un’estremità all’altra, sta attraversando un periodo molto difficile. C’è stato un tempo, qualche decennio fa, negli anni Settanta, in cui sembrava che ci fossimo lasciati alle spalle tutte le anticaglie del passato e che si prospettasse un’era di rinnovamento. Ma non è stato così. D’improvviso ci siamo accorti di avere abusato della nostra condizione di ospiti del pianeta Terra, di averne abusato ad un punto tale da aver messo in pericolo la nostra stessa esistenza. Il progresso, una delle divinità moderne, non sempre, anzi quasi mai, è stato apportatore di una migliore qualità della vita, anche se ci sembra di vivere in uno dei periodi più ricchi di scoperte, invenzioni, conquiste. Ma a tutto questo ha corrisposto un depauperamento pressoché irreversibile delle risorse a nostra disposizione; abbiamo inquinato le acque, il suolo, l’aria che respiriamo, ed il processo sembra, almeno per adesso, irreversibile. Ma ciò che è più inquietante è che non possiamo neanche confidare nella speranza di una resipiscenza che ci faccia rendere conto di ciò che, come specie umana, abbiamo fatto e stiamo facendo a noi stessi e all’unico luogo dell’universo conosciuto dove possiamo vivere. A meno che non diamo retta all’uomo più ricco e incredibile del mondo, che prevede di trasferire l’umanità su Marte e colonizzarlo.

Quando, milioni di anni fa, la terra non era ancora stata contaminata dalla specie umana, la si poteva considerare quello che oggi, con reminiscenze bibliche, potremmo definire un “giardino dell’Eden”, che fu affidato all’uomo con il compito di coltivare e custodire; ma a causa della nostra scriteriata gestione di questo “giardino”, si applica a noi a pieno diritto la conseguenza della nostra trascuratezza, ovvero la nostra “cacciata” da esso, ma non una cacciata da parte di una divinità irata, bensì una cacciata che noi stessi, esseri umani, ci stiamo infliggendo con il nostro sconsiderato modo di vivere e di sfruttare ciò che doveva essere custodito.

Il quadro politico del mondo in cui stiamo vivendo, poi, non serve certamente a confortarci, perché possiamo motivatamente affermare di essere governati, da sud a nord e da est a ovest, dalla peggiore classe politica che mai si ricordi. Quando noi parliamo di politica e di “classe politica”, forse riteniamo che si tratti di persone diverse dal comune cittadino dei paesi da essa amministrati. Ma non è così. I politici non appartengono a una classe diversa dagli altri abitanti dei loro paesi; sono soltanto persone che hanno avuto l’abilità e la spregiudicatezza, che li hanno portati ad assumere posizioni di guida e di comando, ma sono esattamente rimasti gli stessi che erano prima, con i loro pregi (pochissimi) e i loro difetti (tantissimi). Qualcuno può pensare che per il semplice fatto che una sorta di “unto del Signore” qual è Trump abbia nominato Matt Gaetz ministro della giustizia, questo ne cambierà il carattere o le pulsioni che lo hanno portato in tribunale per presunte relazioni improprie con minorenni? O che Lee Zeldin, accanito negazionista climatico, adesso preposto alla direzione dell’agenzia per l’ambiente, possa modificare il proprio pensiero che lo ha guidato da sempre, per assumere la difesa del medesimo ambiente?

E questo vale per tutti, perché le differenze di nazionalità, di razza, di lingua, di religione, non potranno cambiare il tratto che ci accomuna tutti, ovvero che siamo il prodotto finale di un processo evolutivo che, come dice Yuval Noah Harari nel suo splendido libro Da animali a dèi (Bompiani, 2019), noi non siamo altro che i discendenti di creature che, per un interminabile passato, dovevano lottare con le unghie e con i denti per poter sopravvivere in un mondo ostile e selvaggio. Come si spiegherebbe, altrimenti, che secoli di progresso scientifico, umanistico, culturale e sociale, alla fin fine trovano sempre e solo un rimedio, il più antico, per la risoluzione delle nostre contese, e cioè la guerra! La spiegazione sta nel fatto che la nostra natura profonda è quella che è stata plasmata nei milioni di anni trascorsi, che ci hanno fatto scendere dagli alberi, poi camminare su due gambe e trasformarci da primati gibbosi in uomini e donne moderni, ma con dentro di noi pulsioni ancestrali che non svaniranno perché sono alla radice della nostra esistenza e, come scrive Harari, “siamo diventati la specie più micidiale del pianeta Terra … La testimonianza storica fa comparire Homo Sapiens come un serial killer ecologico”.

Le guerre sono la prova inconfutabile di quanto abbiamo detto. Attualmente la nostra vecchia, cara Europa è dilaniata proprio nel suo cuore da un conflitto tremendo che temiamo possa estendersi e coinvolgere altre nazioni. E invece di sedersi ad un tavolo e discutere su quale potrebbe essere la migliore soluzione incruenta (perché ne esiste sempre una) per dirimere i contrasti, si imbraccia il mitra invece della clava, ma il risultato è lo stesso: morte e distruzione! In una delle nazioni più antiche del mondo, la Palestina, patria di Gesù Cristo, dei patriarchi, delle Sacre Scritture, è in atto una guerra decennale fra persone che, invece, dovrebbero convivere pacificamente sulla loro terra perché in essa c’è spazio per tutti, ma ciò non accade: perché? Ancora una volta per la natura ferina del nostro essere uomini, ovvero animali evoluti, ma sempre animali, che ricorrono agli strumenti di sempre per la risoluzione delle loro contese.

Negli scorsi millenni gli esseri umani hanno sperimentato molteplici forme di governo, molte delle quali ancora vigenti in alcuni paesi del globo, ma, com’è opinione comune, la miglior forma di coesistenza pacifica fra gli umani è quella definita “democrazia”, ovvero il governo del popolo. E, in quanto a democrazia, è comune sentire che la più grande democrazia del mondo sia quella degli Stati Uniti d’America che, nel 1776, promulgarono la storica Dichiarazione d’indipendenza, secondo la quale “Noi consideriamo le seguenti verità evidenti di per sé: che tutti gli uomini sono creati uguali; che essi sono stati dotati di alcuni diritti inalienabili dal loro Creatore; che tra questi diritti ci sono la vita, la libertà e il perseguimento della felicità”. I Padri Fondatori americani, quindi, immaginarono una realtà governata da principi di giustizia universali e immutabili, quali l’uguaglianza e la gerarchia. Ma come scrive ancora Harari: “L’unico posto dove esistono simili principi è quello della fertile immaginazione dei Sapiens, quello dei miti che inventano e raccontano a se stessi. Questi principi non hanno alcuna validità obiettiva”. Infatti, benché proclamasse l’uguaglianza fra tutti gli uomini, anche l’ordine costituito fissato dagli americani nel 1776 stabiliva una gerarchia. La stabilì fra gli uomini, che ne beneficiarono, e le donne, che restarono prive di qualsiasi potere. Tra i bianchi, che godevano della libertà, e i neri e i nativi americani, che erano considerati umani di tipo inferiore e quindi non condividevano gli stessi diritti degli uomini. Molti di coloro che firmarono la Dichiarazione d’indipendenza erano proprietari di schiavi. Alla firma della Dichiarazione non misero in libertà i loro schiavi, perché secondo loro, i diritti degli uomini avevano poco a che fare con i negri. Per giustificare tale divisione i pii e religiosi Padri, tutti devoti seguaci della Bibbia, trovarono una risposta alla loro segregazione, e la trovarono proprio nel loro libro sacro. I teologi sostenevano che gli africani discendevano da Cam, figlio di Noè, il quale aveva posto sul suo capo la maledizione per cui egli sarebbe stato progenitore di una stirpe di schiavi. Si sosteneva che i neri erano meno intelligenti dei bianchi e che il loro senso morale era meno sviluppato, vivevano nel sudiciume e diffondevano le malattie. In questa aberrazione i “democratici” americani non sentivano nessun disagio perché, in fondo, era stato proprio Dio a maledire i neri, e quindi … Sebbene oggi le cose siano profondamente cambiate dal 1776, chiunque conosca anche solo un po’ la storia degli Stati Uniti, sa bene che la questione razziale incide ancora profondamente fra gli abitanti del Nuovo Mondo, a conferma che certe tradizioni sono dure a morire.

Pericolo, allora. Ma di che? Del fatto che il nostro mondo sia in mano a incompetenti, megalomani, ambiziosi e privi di scrupoli al potere, i quali non si rendano conto che siamo sull’orlo del disastro e, spinti dal loro egocentrismo, giochino a scacchi, in un gioco dove le pedine sono esseri umani. La nostra Italia è in mano a quella che il giornalista Andrea Scanzi, in un suo gustoso libretto, definisce Sciagura (… Continuavano a chiamarla Sciagura, Paper First, 2024). Gli Stati Uniti sono in mano al forse peggior presidente della storia. La Russia, con lo zar Putin alla sua guida, non può che incuterci timore per la sua ancestrale avversione verso l’Occidente democratico. Gli attuali politici a capo delle nazioni europee occidentali sono persone di scarso spessore, possiamo dimenticare i Churchill e le Merkel o i De Gaulle, mentre nel mondo intero masse di milioni di uomini e donne affamati e diseredati premono alle frontiere dei paesi “ricchi”, e prima o poi le dighe cederanno. Cosa ci resta da fare, allora? Per chi è religioso, forse pregare, ma molti sono convinti che alle preghiere non risponderà nessuno, perché come era solito affermare Voltaire: “Non esiste nessun Dio, ma non ditelo al mio domestico, se no di notte viene a uccidermi”. Se vogliamo essere schietti e sinceri, dobbiamo affermare che non sappiamo qual è la risposta o la soluzione, perché cambiare la natura umana è un compito che la nostra specie non è in grado di portare a compimento, a meno che non si discuta in termini di millenni. Quindi possiamo solo sforzarci di cercare di fare le scelte giuste quando appoggiamo qualcuno che ci governerà e non farci imbonire come bambini dalla marea di propaganda che questa gente ci riversa addosso ogni giorno!

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