Trump è presidente. L’indesiderato si è avverato. Avevamo sperato fino all’ultimo che le cose andassero diversamente, ma senza crederci troppo, e adesso il mondo intero dovrà subire l’operato di un presidente che — unico nella storia del suo paese — è fermamente convinto che la mano di Dio si sia posata su di lui per proteggerlo e consentirgli altri quattro anni di governo. Dio ha voluto fortemente che egli potesse realizzare il programma MAGA: Make America Great Again, un acronimo che domina la sua vita e che condiziona tutte le sue scelte politiche. Gli statunitensi non potevano fare scelta peggiore ma, come abbiamo già scritto, è evidente che gli elettori di Trump si sentono molto di più in sintonia con un gradasso del genere che con una moderata come Kamala Harris che, in più, ha il pesante handicap del colore della sua pelle e dell’essere donna, cioè di quella parte del genere umano che il dio di Trump ha creato esclusivamente per il trastullo degli uomini.
La rielezione di Trump è un vero e proprio salto nel buio, perché non sappiamo quanto il desiderio di rivalsa potrà incidere sulle sue scelte politiche, ma potrebbe essere determinante. Inoltre, per farci un’idea di ciò che possiamo attenderci dai prossimi quattro anni della sua presidenza, esso è, per così dire, già scritto nei primi quattro. E a descrivere accuratamente ciò che accadde sono due giornalisti di grande prestigio; uno è Michael Wolff, editorialista e scrittore di successo su importanti testate, che ha dedicato un intero volume alla sua prima presidenza: Fuoco e Furia (Rizzoli, 2018). L’altro è Luke Harding, corrispondente estero di The Guardian e autore di diversi libri-inchiesta, che alla vicenda politica di “The Donald” ha dedicato Collusion (Mondadori, 2017). Questo volume è una straordinaria inchiesta sul potere, capace di mettere in luce tutti i legami oscuri tra il Cremlino e la Casa Bianca, e spiega come, al tempo del primo mandato, il nostro Trump si sia avvalso dell’appoggio determinante del Cremlino; inoltre, si menziona Christopher Steele, ex agente dei servizi di intelligence britannici che nel 2017 diede alla luce un esplosivo dossier, nel quale sosteneva che il Cremlino “ha coltivato e sostenuto Trump per anni, ed è in possesso di informazioni compromettenti sul suo conto”.
Collusion, ha per sottotitolo “Come la Russia ha aiutato Trump a conquistare la Casa Bianca”. In esso Harding svela la reale natura del trentennale rapporto di Trump con la Russia. Secondo Harding la vicenda “Trump-Russia” è di tale portata da coinvolgere spionaggio mondiale, banche offshore, loschi contratti immobiliari, la criminalità organizzata, la pirateria informatica e le elezioni più sconvolgenti di tutta la storia americana. Ciò che emerge dalla lettura del saggio di Harding può essere definito il più grande scandalo politico dell’era moderna, in quanto la Russia sta sovvertendo a proprio vantaggio l’ordine mondiale e la democrazia americana, e questa è una questione che ci riguarda tutti.
Altrettanto sconvolgente è il libro di Michael Wolff che, come egli stesso afferma, “Si infila nella Casa Bianca come una mosca sul muro” e osserva da una prospettiva unica il caos nello “studio ovale”. Tanto devastante fu il suo report, che Trump tentò invano di bloccarlo, fortunatamente non riuscendoci.
Gli USA non sono nuovi a questi colpi di scena che hanno contribuito a farne il paese che è stato, ma che ora non sono più. Fin dai tempi della famosa espressione di Humphrey Bogart nel film L’ultima minaccia (1941), che si conclude con le parole “É la stampa bellezza! La stampa, e tu non ci puoi far niente”, rivolte a chi voleva far chiudere un giornale “scomodo” a chi gestiva gli affari sporchi di New York, la stampa libera ha sempre rappresentato l’ultimo baluardo nei confronti di una politica corrotta e di parte. Credo che nessuno dei lettori di una certa età abbia mai potuto dimenticare quel capolavoro che è Tutti gli uomini del presidente, di Carl Bernstein e Bob Woodward, trasportato sullo schermo da Alan J. Pakula con Dustin Hoffman e Robert Redford come interpreti; libro (1976) che portò alla luce lo scandalo detto del Watergate, a causa del quale un presidente dello spessore di Richard Nixon, un gigante politico se paragonato a Trump, fu costretto a dimettersi. Ed è sempre uno dei due giornalisti di quel celebre team, Bob Woodard, che nel 2018, in piena prima presidenza Trump, scrisse un libro dal titolo Paura, Trump alla casa Bianca. Come scriveva Woodward nelle pagine iniziali del suo libro: “In realtà, nel 2017 gli Stati Uniti dipendevano dalle parole e dalle azioni di un leader estremamente suscettibile, lunatico e imprevedibile. Alcuni membri del suo staff avevano fatto fronte comune nel tentativo di arginare quelli che ritenevano i suoi impulsi potenzialmente più rischiosi. Cospirando addirittura per far sparire dalla scrivania del presidente ordini esecutivi non ancora firmati, salvaguardando così il buon esito di delicate operazioni di intelligence”. E aggiunge Woodward: “Si è verificato niente di meno di un colpo di Stato amministrativo. I vertici esecutivi della nazione più potente del mondo erano sull’orlo di un collasso nervoso. Quanto segue è la storia di quel collasso”. Naturalmente, chi volesse saperne di più non ha che da leggere il libro di Woodward che è una vera e propria miniera di informazioni, che dipinge il ritratto di un uomo — che in quel tempo era anche parecchio più giovane e meno paranoico — e che oggi è potentemente sospinto da un desiderio di rivincita, la direzione del quale nessuno è al momento in grado di intravedere dove porterà l’America trumpiana.
Quei giornalisti, Woodward e Bernstein erano entrambi in servizio presso il Washington Post, giornale che li difese e sostenne strenuamente, ma adesso questo stesso giornale, nelle mani del multimiliardario Jeff Bezos, alter ego di Trump e suo finanziatore, avendone acquisito la proprietà, ha vietato ai suoi giornalisti di scrivere una sola parola sull’argomento elezioni, in un implicito endorsement di Trump. Tutto diverso dai tempi del Watergate, nei quali il reporter Bob Woodward insieme a Bernstein, svelò quello scandalo, costringendo Nixon alle dimissioni. Nel suo libro su Trump, invece, Woodward dipinge una Casa Bianca caotica e disfunzionale, in preda a una perenne crisi di nervi, guidata da un presidente infantile e irascibile che non risparmia insulti ai collaboratori, i quali a loro volta lo ritengono (per usare un eufemismo) non all’altezza del compito. Collaboratori che, per esempio, per non eseguire gli ordini fanno semplicemente sparire i documenti. O definiscono gli uffici presidenziali «uno zoo senza gabbie» o «Crazytown». E in cui il presidente è «un idiota» e ha «l’intelligenza di un bambino di quinta elementare». È il quadro che emerge dall’inchiesta di Woodward, un veterano del giornalismo investigativo.
Alle prime anticipazioni sul libro, Trump e alcuni dei suoi più stretti funzionari hanno dovuto immediatamente smentirne il contenuto: il presidente ha «cinguettato» più volte dando a Woodward del bugiardo. Il contenuto del libro è difeso dall’autore con la solita asciutta fermezza: le sue fonti, tutte anonime, sarebbero i protagonisti stessi della vicenda, persone con cui il giornalista ha parlato «per centinaia di ore». E il presidente si è rifiutato di ricevere Woodward, prima della stampa del libro, diversamente da Bush o Obama, per fornire la propria versione dei fatti. «Trump può dire quello che vuole» replica Woodward «ne ha diritto secondo il primo emendamento, ma il geniale direttore del “Washington Post” ai tempi del Watergate, Ben Bradlee, usava dire che nel faccia a faccia la verità alla fine viene a galla. E la verità verrà a galla, anche questa volta».
Verità che, purtroppo, non ha impedito a quest’uomo “con l’intelligenza di un bambino di quinta elementare” di prendere le redini di un paese guerrafondaio che più non si può. Basta ricordare che a pochi anni dalla fine della Seconda Guerra Mondiale, l’America si imbarcò nella guerra di Corea, e dopo d’essa in quella del Vietnam, e poi nelle guerre del golfo. Se c’è una cosa che al momento nemmeno i commentatori politici più esperienti possono prevedere è quale sarà il suo comportamento in questi quattro nuovi anni di presidenza, nel corso dei quali si toglierà tutti i sassolini dalle scarpe che dal 2020 in poi, quando perse il potere, non gli è stato possibile soddisfare. Mi rendo conto che è un’impresa ardua quella di leggere i tre libri di cui ho parlato, trattandosi di volumi piuttosto cospicui; ma è soltanto dalla loro attenta lettura che noi, che non viviamo negli Stati Uniti, possiamo farci un’idea, anche se molto incerta, dei quattro anni che aspettano gli Stati Uniti e il resto del mondo, libri ai quali ci sentiamo in dovere di aggiungere un imperdibile saggio di Naomi Klein Shock Politics. L’incubo Trump e il futuro della democrazia (Feltrinelli, 2017). Se ci sarà consentito, ovviamente, vi terremo al corrente di ciò che accadrà, sperando che la pericolosissima situazione del mondo attuale ci consenta di continuare a operare in piena libertà. Il nostro futuro, con Trump alla presidenza degli Stati Uniti, è un po’ meno roseo di prima, e speriamo che una volta per tutte la vecchia Europa rinserri i suoi ranghi e la smetta di essere una sua fedele ancella, rispolverando il suo orgoglio smarrito. Anche se, da parte italiana, con un Salvini e altri della sua specie, sarà un compito arduo. Staremo a vedere.