Mondo in fiamme

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Una domanda continua a frullarci nella mente, ovvero: siamo nel XXI secolo, l’umanità ha ormai visto tutto ciò che c’era da vedere, nel bene e nel male (più nel male che nel bene). Sono state sperimentate tutte le varie forme di governo possibile e adesso, in gran parte del mondo occidentale, si è insediata la forma democratica, cioè quella nella quale a contare più di tutto dovrebbe essere la volontà popolare, o almeno così ci vien detto. Sarebbe anche ragionevole pensare che il genere umano, nei suoi millenni di esperienza, abbia ormai conseguito una certa maturità e sia in grado di operare delle scelte sagge, utili e vantaggiose per la convivenza civile, il progresso e il benessere. La scena del mondo che si svolge quotidianamente sotto i nostri occhi, però, ci dice tutto il contrario, e non si riesce a capirne il perché. Il pianeta, tutto intero, è ormai diventato un ring, nel quale avversari si battono senza esclusione di colpi, una sorta di corrida nella quale, al termine, nell’arena dovrà giacere uno degli sconfitti. Si era pensato, evidentemente sbagliandosi, che due guerre mondiali in un solo secolo, con i loro milioni di morti e di atrocità, avrebbero dovuto rappresentare un antidoto, un monito, un efficace rammemoratore perché tragedie del genere non si ripetessero più. Chi lo ha pensato evidentemente si sbagliava, e i fatti che quotidianamente scorrono sotto i nostri occhi ne sono l’evidente conferma. Nel 2024 il cuore dell’Europa, la vecchia, esperiente Europa, è nuovamente sconvolto da sanguinosi conflitti che nulla da invidiare hanno rispetto ai precedenti. Il Medio Oriente è una pentola a pressione che di tanto in tanto esplode e che in questo momento è fonte di seria preoccupazione per tutto il mondo. E nonostante le lezioni del passato, ancora si permette che un uomo solo decida la sorte di milioni di altri. Cina e Russia insieme ricoprono una superficie territoriale di 31 milioni di chilometri quadrati; si pensi, solo per farsi un’idea approssimativa, che la superficie del nostro paese, l’Italia, è di circa 300.000 kmq. Ebbene, in quei due paesi, quasi un paio di miliardi di cittadini sono sottoposti alla volontà di un solo uomo o di una ristretta oligarchia che non tollera alcuna forma di dissenso. Anche se abusato, il richiamo al romanzo 1984 di George Orwell non cade nel vuoto.

Mentre scriviamo, in un’altra parte del mondo, al di là dell’Atlantico, nel continente nordamericano, sta per concludersi una battaglia epocale, asperrima, i cui esiti, inevitabilmente, si riverbereranno su tutto il pianeta. Stiamo parlando delle elezioni americane nelle quali due personaggi a dir poco discutibili si contendono accanitamente la presidenza del Paese. Lasciamo i giudizi politici agli esperti di queste cose, e mettiamoci nei panni dell’uomo della strada, del cittadino comune che, quasi sempre, ha una sola richiesta: quella di un governo che si prenda cura dei più disagiati, che intervenga nei settori sociali dove maggiore è il bisogno, che si sforzi di mantenere l’assoluta imparzialità nelle sue decisioni, che presti la dovuta attenzione all’economia e allo sviluppo sostenibile e alla cura del pianeta. Se, adesso, diamo uno sguardo più ravvicinato ad uno dei due contendenti, Donald Trump, sorge inevitabile la domanda su come sia possibile che decine di milioni di americani gli consegnino il loro voto — e la loro fiducia — chiedendogli di guidare nuovamente il paese dopo i quattro anni, disastrosi, della sua prima presidenza, per altri quattro, tenendo anche conto del fatto che nessun presidente, o ex presidente o candidato alla presidenza dai tempi di George Washington, aveva mai tentato una sorta di colpo di stato con l’assedio del Campidoglio (Capitol Hill) nel tentativo di rovesciare il risultato dell’elezione di Joe Biden. Si trattò di una vera e propria insurrezione in stile sudamericano, indegna di una democrazia compiuta come quella degli Stati Uniti.

La domanda che noi, spettatori, ci facciamo è: qual è il fascino che esercita quest’uomo che, alla prova dei fatti, dopo quattro anni di presidenza, non può vantare nessun risultato eclatante. Trump è stato il primo presidente eletto senza aver mai ricoperto cariche politiche o militari, primo presidente a superare due procedure di impeachment, ma anche primo presidente a non riconoscere, nel 2020, la vittoria del suo avversario alle urne e primo ex capo dello Stato, nel marzo 2023, a essere incriminato per reati penali. Trump è stato uomo divisivo fin dalla sua discesa in campo. Tappa più intensa di una carriera che lo ha sempre visto giocare al centro della scena. L’America che noi ricordiamo dai film di una volta, tipo Via col vento, è l’America dei gentiluomini, l’America puritana, attenta alle buone maniere e al linguaggio corretto. Or non vi è dubbio che in Trump nulla di tutto questo è presente. Si tratta di un uomo rozzo e volgare, uno “sciupafemmine” da strapazzo, un uomo che considera gli immigrati spazzatura e il possesso di armi — e il loro uso — un sacrosanto diritto di ogni cittadino. Con la sua fedina penale gli sarebbe interdetto l’accesso a qualsiasi incarico pubblico, ma ciò nonostante egli aspira alla carica più importante del suo paese, e forse del mondo: la presidenza degli Stati Uniti. Trump, non dimentichiamolo, non è amico dell’Europa, e per questo fu un acceso sostenitore della Brexit che indeboliva la tenuta dell’Unione. A memoria d’uomo non vi è mai stato un candidato alla presidenza che abbia denunciato brogli ancor prima delle elezioni, mettendo, per così dire le mani avanti.

Secondo il New York Times, Trump “rimane una minaccia per la democrazia”. Come scrive Paolo Garimberti su la Repubblica: “La campagna elettorale che si è appena conclusa ha superato ogni limite, e in essa Trump ha dato il peggio di sé con pesanti attacchi personali, una retorica violenta, un linguaggio offensivo, spesso intriso di scurrilità e volgari allusioni sessuali. Superando di gran lunga le bassezze esibite nelle campagne del 2016 contro Hillary Clinton e del 2020 contro Joe Biden. E finendo così per accentuare la polarizzazione del fronte politico americano con due fazioni ferocemente contrapposte con toni da guerra civile … Maureen Dowd, rispettata veterana fra le columnist politiche, si è chiesta come sia possibile che «l’America di George Washington, la nostra America sia diventato un posto dove un uomo con questa personalità ha ancora delle possibilità di essere rieletto presidente»”. Purtroppo, l’elezione di un figuro simile non si riverbera soltanto sugli americani, ma riguarda il resto del mondo, dato che gli Stati Uniti sono ancora, insieme alla Russia di Putin, una grande potenza termonucleare che, in mano ad un tipo come Trump, rischia in ogni momento di esplodere.

Non si trascuri il fatto che l’America svolge un ruolo di primo piano in alcune questioni scottanti di stretta attualità. Intanto il conflitto Ucraina-Russia, a proposito del quale Trump non è certamente dalla parte di Zelensky, come lo è stato Biden, per continuare a mantenere un buon rapporto con Putin, ed è disposto pertanto a sacrificare l’Ucraina. Poi vi è la crisi mediorientale, nella quale il fascista Netanyahu è amico personale dell’aspirante presidente e un prezioso alleato, e nella quale l’appoggio di Trump è decisivo per consentire al capo ebreo di uscirne vincitore, con tutte le conseguenze del caso. E, infine, in politica estera è veramente un grande punto interrogativo il comportamento che Trump seguirà nella crisi di Taiwan, nella quale si scontra direttamente con un’altra grande potenza termonucleare che è la Cina. Stiamo, quindi, vivendo un momento di grande attesa nel quale un’elezione presidenziale non riguarda soltanto il paese in cui si vota, ma anche tutto il resto del mondo. Già in passato abbiamo menzionato le sfide epocali che la nostra generazione sta vivendo, crisi che non hanno riscontro nel recente passato, perché riguardano la stessa sopravvivenza del genere umano: dall’inquinamento alla perdita della diversità biologica, al depauperamento delle risorse del pianeta in uno sviluppo sempre più selvaggio e incontrollato. Alla luce di tutto questo avremmo veramente bisogno che alla guida di un grande paese come gli Stati Uniti ci fosse un pompiere e non un incendiario. Stiamo a vedere quale sarà la risposta degli americani!

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