Il grido soffocato dei giovani

tempo di lettura: 3 minuti
Disegno di Antonio Nacarlo (riproduzione riservata)

“Posso scrivere i versi più tristi stanotte…” Poche parole, come quelle di Neruda, bastano a descrivere il dolore sordo che provo di fronte a tante giovani vite spezzate.

Pochi giorni fa, un ragazzo appena quattordicenne si è tolto la vita lanciandosi nel vuoto da un edificio scolastico, forse perché vittima di bullismo. E un paio di notti fa, un altro giovane è morto, ucciso da una pistola impugnata da un coetaneo, anch’egli minorenne. Due ragazzi che dovrebbero inseguire sogni e speranze, invece crollati in un incubo d’indifferenza e violenza.

Nel centro di Napoli, lungo Corso Umberto, alle due di notte, un inseguimento tra scooter, spari all’impazzata, almeno venti colpi di pistola esplosi. Uno dei proiettili ha colpito un ragazzo alle spalle, spegnendo in un attimo la sua vita appena sbocciata. Tragedie che lasciano sgomenti e sollevano domande angoscianti su come siamo arrivati a questo punto. Che cosa stiamo insegnando ai nostri figli? Perché sembra che la loro vita valga così poco?

La gioventù, ricordava il grande pedagogo Janusz Korczak, “è come una fiammella che, per ardere luminosa, necessita di cura, protezione e nutrimento; spegnere quella fiammella significa perdere il nostro futuro”. A quattordici anni, tutti i giovani dovrebbero avere sogni, speranze e la voglia di scoprire il mondo. E, invece, si trovano a lottare contro un senso di vuoto e disillusione che li spinge verso gesti estremi e senza ritorno. A premere il grilletto, a Napoli, è stato un coetaneo, un giovane carnefice; eppure, forse, i veri colpevoli siamo noi, cittadini di questi inferni, popolati da diavoli, che sono diventate le nostre città. Noi adulti siamo i mandanti morali di un sistema che educa al disinteresse, all’individualismo, a una superficialità che uccide ogni valore.

Non possiamo tollerare che questa assenza di controllo continui a danneggiare i nostri figli. Non possiamo più delegare alla sola Scuola l’educazione, perché i valori, il rispetto e la forza di affrontare il mondo devono essere radicati in famiglia. Demandare la formazione morale e affettiva dei ragazzi esclusivamente all’esterno significa abbandonarli a un contesto già sovraccarico, dove nessuno può davvero rispondere alle loro esigenze. Lo Stato tutela i minori, sì, ma il vuoto affettivo e i valori non possono riempirsi con norme e regolamenti. Servono famiglie presenti, capaci di dire “no,” di trasmettere il senso del limite e il valore del rispetto.

Eppure, nella nostra quotidianità, è diventato sempre più facile distogliere lo sguardo e lasciare che questi giovani crescano senza esempi positivi. Siamo troppo occupati a guardare i nostri telefonini, a inseguire vite digitali, e lasciamo che i nostri figli trovino rifugio in realtà parallele, lontani dalla guida degli adulti. I ragazzi che oggi si perdono in questa spirale di violenza, che premono il grilletto o si spengono nel silenzio della depressione, sono anche il prodotto di un’educazione che ha smarrito le basi. Abbiamo dimenticato come insegnare loro l’empatia, l’appartenenza a una comunità che dovrebbe proteggerli e crescere insieme. Abbiamo rinunciato a trasmettere loro la pazienza, la resistenza, la capacità di affrontare il mondo con dignità e rispetto.

Non è solo un problema di sicurezza, di pattugliamenti o di forze dell’ordine che presidiano strade e quartieri. La violenza che si consuma nelle strade di città come Napoli, le pistole e le lame che scintillano nella notte e le vite che si spezzano con tanta maledetta semplicità ci mettono di fronte a un fallimento collettivo. Le istituzioni hanno le loro responsabilità, e di certo, nei momenti più critici, sarebbe auspicabile che i dirigenti si facessero da parte per lasciare spazio a un rinnovamento. Ma il vero cambiamento deve partire da noi, dal consorzio umano, dalla riscoperta di un’etica condivisa. Perché i ragazzi possano tornare a sognare, a immaginare un futuro degno, dobbiamo rieducare noi stessi e loro al valore della vita. Dobbiamo insegnare loro che ogni esistenza è preziosa e merita di essere vissuta pienamente. E forse solo allora potremo sperare di riconquistare la fiducia e l’entusiasmo di una generazione che sembra aver perso la propria strada per colpa della nostra indifferenza.

8 commenti su “Il grido soffocato dei giovani”

  1. Ancora una volta Napoli dimostra di essere una città fuori controllo. Non passa settimana senza che ci sia una nuova storia di violenza, soprattutto tra giovanissimi. E’ chiaro che qui non c’è nessuna reale volontà di cambiare, e chi paga il prezzo di questa anarchia sono proprio i ragazzi. Guardate come i turisti vengono visti come prede, gli sprovveduti truffati appena possono, e così via. Napoli sembra avere ormai una cultura della delinquenza, radicata da troppo tempo. La bellezza dei paesaggi e dei monumenti non è certo un merito di chi vive la città come un campo di battaglia. Finché c’è questa tolleranza, questa accettazione quasi rassegnata del degrado, Napoli continuerà a bruciare il futuro dei suoi giovani. È un circolo vizioso che sembra impossibile spezzare.

    1. Antonio Nacarlo

      Salve e grazie per aver letto e commentato l’articolo. Detto questo capisco il suo punto di vista, anche se mi permetto di sorridere leggendo certe semplificazioni su Napoli. La cultura della delinquenza, dice? Sarebbe davvero interessante sentire cosa pensano di questa definizione tutti quei napoletani che ogni giorno lavorano sodo, studiano, e si impegnano per una città più umana. Personalmente, cresciuto in un quartiere del centro storico, ho scelto da ragazzo di fare volontariato nei quartieri più difficili. Nel mio piccolo, ho insegnato a tanti bambini e ragazzi la bellezza dell’arte, la gioia di un sorriso, il valore di una carezza, la possibilità di poter vivere in un mondo altro che non rispecchi necessariamente la durezza del loro vissuto quotidiano. Se è vero che ci sono problemi, come in qualsiasi altra città, direi che la bellezza del luogo – e non parlo solo dei paesaggi – sia un merito di chi Napoli la ama e la vive con onestà e senso civico nonostante le difficoltà. Forse bisognerebbe guardare anche oltre i luoghi comuni: c’è molto di più, per chi ha voglia di cercarlo.
      Inoltre, se mi permette di puntualizzare, questo fenomeno da me descritto è osservabile in tutte le città del globo, non solo nel nostro Paese e nella mia città.

    1. Antonio Nacarlo

      Grazie per il sostegno dottor Pollina, evidentemente la sfiducia regna sovrana in questo momento storico.

  2. Io, che a Napoli ci vivo da una vita, vedo ben altro se permette: se ogni giorno ci sono episodi di violenza, prepotenza e degrado, significa che la cultura della delinquenza qui c’è, eccome. E non bastano quattro buoni esempi a cambiare la realtà dei fatti. Cosa dovrei vederci se non “luoghi comuni” in quello che dice? La barbarie è la nostra quotidianità.

    1. Antonio Nacarlo

      Capisco il suo disincanto. La sua è una visione severa, forse non del tutto ingiustificata per certi aspetti, tuttavia, sono convinto che la realtà abbia tante sfumature. Grazie per il suo pensiero comunque, le voci critiche sono importanti, purché siano di stimolo, nel nostro piccolo, ad incentivare una speranza di cambiamento.

    1. Antonio Nacarlo

      Grazie a lei per i complimenti, che giro a tutta la redazione, continui a seguirci.
      Buona serata

Rispondi

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.

Torna in alto