Trump, Salvini e il populismo

tempo di lettura: 5 minuti

Cos’hanno in comune questi due personaggi, a parte l’essere i più illustri rappresentanti, nelle due sponde dell’Atlantico, del populismo più becero e sfrenato? Un aspetto che li caratterizza entrambi è che non hanno paura. Proprio così: non hanno paura del ridicolo che affrontano sprezzantemente e a viso aperto, senza temere ripercussioni negative perché hanno la certezza che i loro seguaci li difenderanno sempre a spada tratta anche se dovessero sostenere che la terra è piatta o quadrata. Il che ci fa capire di cosa stiamo parlando. Ma prima di affrontare l’argomento “populismo”, per aiutarci a capire meglio chi sono veramente questi due personaggi che ne sono l’incarnazione plastica, affidiamoci alle loro stesse parole e dichiarazioni che, pertanto, non provengono dai loro avversari e sono quindi credibili.

Cominciamo con Trump. Fra le sue ultime esternazioni più incredibili vi è quella secondo la quale «Biden ha pilotato gli uragani Milton e Helene verso la Florida per impedire il voto». E i complottisti USA, di conseguenza, ora minacciano di morte i meteorologi. Una delle sue più accese sostenitrici, Marjorie Taylor Greene, deputata della Florida ha rincarato la dose affermando che «Sì, i democratici possono controllare le condizioni meteorologiche», aggiungendo che «È ridicolo che qualcuno menta e dica che non si può fare». E questo perché la Florida è uno stato repubblicano e i democratici vorrebbero inficiarne il voto servendosi delle forze della natura.

Sull’altra sponda, il vice premier e Ministro delle Infrastrutture e dei trasporti, in un’intervista mandata in onda su Rai1, commentando la querelle sorta circa il trasferimento di immigrati in Albania, ha posto la domanda: «Se qualcuno di questi dodici domani commettesse un reato, rapinasse, stuprasse, uccidesse qualcuno, chi ne paga le conseguenze? Il magistrato che li ha riportati in Italia?» Il nostro ineffabile leghista, senza timore dell’enormità delle sue affermazioni, lascia in tal modo intendere che, sebbene egli non conosca personalmente nessuno di quei poveri dodici disgraziati, ritiene probabile che fra di loro possa esservi un assassino, uno stupratore, un rapinatore, semplicemente perché sono immigrati in fuga da paesi nei quali la loro vita è in pericolo. Ed è sempre lui a non dire una sola parola sull’omicidio di un rapinatore italiano per mano di due cinesi che hanno ritenuto che il furto di alcuni gratta e vinci dalla loro tabaccheria valesse la vita di uomo a cui l’hanno tolta con 36 forbiciate. Forse che tra il miliardo e mezzo di cinesi quelli che vengono a lavorare in Italia sono tutti bravi e virtuosi, mentre gli egiziani e quelli del Bangladesh hanno nel loro DNA i geni della criminalità? Qualcuno riesce a cogliere qualche sfumatura di razzismo nelle parole del Ministro?

Ciò che, senza ombra di dubbio, si coglie nelle parole di entrambi questi personaggi al limite dell’incredibile, è che sono i più puri rappresentanti di quella piaga politica che sta diffondendosi in tutto il mondo e che prende il nome di populismo, e il populismo è il nemico giurato della democrazia, e ce ne stiamo accorgendo in questi giorni proprio sotto i nostri occhi. Non era mai accaduto da che c’è la democrazia repubblicana in Italia, con la sua Costituzione e il bilanciamento dei poteri, che uno dei pilastri del nostro sistema, la magistratura, fosse attaccato così virulentemente dall’altro, quello esecutivo. Il premier Meloni e tutto il suo governo si stanno scagliando senza pudore contro i magistrati, ripescando le vecchie invettive del berlusconismo più retrivo, di «toghe rosse», «magistrati comunisti». Salvini si presenta in tribunale a Palermo con il suo codazzo di sostenitori (pochissimi in realtà) esibendo fieramente la sua difesa, e cioè che «difendere i confini del mio paese non è un reato». A ben riflettere, il “nostro” ha ragione: cosa può esserci di più pericoloso per la nostra repubblica democratica che un manipolo di cenciosi, affamati, avviliti e perseguitati poveri cristi che cercano soltanto rifugio e ospitalità. Gente pericolosissima, mentre non lo è certamente quella con la quale lui va d’amore e d’accordo, ovvero Putin e i suoi che un giorno sì e l’altro pure minacciano di sommergere le capitali europee con un diluvio di atomiche. Lo abbiamo scritto più volte in queste pagine, e non ci stancheremo mai di ripeterlo: la democrazia è in pericolo; gli attacchi scriteriati contro il potere giudiziario, contro la legittimità delle leggi, sia italiane che europee, che non piacciono al potere esecutivo, sono la prova lampante che uno scricchiolio sinistro sta minando le basi della nostra convivenza democratica, che pian piano si sta trasformando in una “democratura” (democrazia + dittatura). Forse le orecchie degli italiani e degli americani sono ormai così assordate dalle panzane stratosferiche proclamate urbi et orbi dai due paladini populisti, che non sono più in grado di apprezzare il grande valore della democrazia liberale, alla quale — teniamolo bene in mente — non vi è alternativa credibile, salvo quella di cadere provvisoriamente nell’anarchia (vedi l’assalto a Capitol Hill) per poi finire nelle braccia di un regime autoritario o dittatoriale. Ed è proprio perché ormai il «popolo» è assordato e confuso, in America dai tweet farneticanti di Trump e in Italia dalla destra al potere che non perde occasione di erodere un po’ per volta le nostre radici repubblicane, che resiste il successo dei movimenti populisti, in parte grazie all’adozione di un sistema semplice ed elementare, fondato più sulle emozioni che sul ragionamento complesso. La politica ridotta a slogan si segue con più facilità delle complicazioni di un pensiero sofisticato.

Il sociologo e politologo francese Raymond Aron riassunse la propria analisi del fenomeno in una formula tanto concisa quanto efficace: «l’uomo obbedisce ai capi che l’abitudine consacra, che la ragione designa, che l’entusiasmo eleva al di sopra degli altri». Come potremmo definire altrimenti il famoso «contratto» che Silvio Berlusconi, il «padre» dei populisti, stipulò con «il popolo», gli italiani? Lui poté ben firmare un «contratto con gli italiani» in televisione, ma non c’era alcuna controparte firmataria, e il «popolo» era solo un soggetto passivo dietro lo schermo dell’illusione politica. Questo populismo ha trovato negli ultimi anni un alleato formidabile di propagazione: i social. Le emozioni contro la ragione, le convinzioni contro la scienza, le superstizioni contro la verità empirica crescono come una valanga ed è ben difficile arginare o contrastare un tale fenomeno, che si nutre dell’apparenza della verità e della forza del numero. Le tradizionali istituzioni di mediazione politica (partiti, sindacati, chiese, corpi intermedi, esperti) non sono più ascoltate e non sono più credibili. Come non ha mai cessato di proclamare l’ormai periclitante Movimento 5 stelle, tutte le opinioni valgono allo stesso modo, dato che «uno vale uno». Così l’opinione sostenuta da illustri giuristi, politologi, uomini di scienza, filosofi e di tutta l’élite del genere umano vale quanto quella del più disinformato elettore analfabeta funzionale!

Una soluzione, che di recente anche noi abbiamo adombrato, ma che è purtroppo assolutamente utopistica, è quella presentata da Jason Brennan, filosofo e politologo statunitense, nel suo libro Contro la democrazia, (Luiss editore, 2016) nel quale si sostiene, con argomentate riflessioni, la scelta dell’epistocrazia come forma di governo migliore e, sebbene ci si renda facilmente conto che essa non è oggi praticabile, la lettura del suo saggio è certamente utile per comprendere il perché del declino delle democrazie.

Come possiamo quindi definire questo movimento che sta esplodendo ovunque? Il populismo, in origine, è innanzitutto e soprattutto una protesta. Una protesta contro l’inefficienza delle strutture governative, della loro elefantiasi che ne rallenta insopportabilmente i risultati attesi con impazienza dal «popolo». I partiti populisti non esitano, invece, nel tentativo di tenere fede alle loro promesse, a violare regole e tabù, sia sul piano retorico sia su quello delle decisioni politiche. Ad esempio come si può non essere turbati dalla decisione del governo danese di sequestrare i gioielli dei rifugiati al loro arrivo alla frontiera? O della decisione di Salvini (per la quale è adesso alla sbarra) di impedire l’accesso ai porti italiani ai barconi di rifugiati o di chiudere i centri di accoglienza? Lungi dal temperare e controllare gli impulsi aggressivi e vendicativi, i movimenti populisti li incoraggiano, li manipolano, li sfruttano e li amplificano.

Pierluigi Battista ha osservato, in un articolo intitolato “L’età del rancore” (Corriere della Sera, 18 gennaio 2017) che «l’immediatezza psicologica del grido, della scazzottata, dell’aggressione fisica e verbale possono dilagare senza un contenimento sociale. Si è più soli e feroci». E di tutto questo non poteva che approfittarne l’estrema destra. Come scrive Yves Mény in Popolo ma non troppo. Il malinteso democratico (Il Mulino, 2019): «L’equazione “populismo = estrema destra” ha il fascino della semplicità, l’apparenza della verità … Oggi nessuno più dubita che le idee e i valori di destra e di estrema destra si siano infiltrati nella maggior parte dei movimenti populisti e, peggio ancora, che essi siano penetrati in profondità nel dibattito politico europeo … Per molto tempo i populisti non sono riusciti a prendere il potere e a esercitarlo da soli, con una sola eccezione: l’elezione di Trump negli Stati Uniti … L’Italia ha ceduto al fascino perversamente seducente di due forme di populismo antagonista, ma alleate nell’esercizio del potere». Con il populismo, afferma Michaël Minkenberg (professore di scienze politiche comparative, in Germania): «Non è in discussione il governo del popolo, dal popolo e per il popolo, bensì il concetto stesso di popolo». A dimostrazione di ciò scopriamo che, quando un populista parla di «popolo», esclude le élite e gli stranieri; quando menziona la «nazione», esclude l’europeizzazione o la mondializzazione; quando si appella all’«uguaglianza» e alla «libertà», le intende solo per i propri cittadini; quando pensa alla «nazionalità», la ritiene troppo preziosa per essere concessa agli allogeni, così come la «solidarietà». Non cediamo, quindi, alle sirene del populismo e teniamoci stretta la nostra democrazia che, per quanto imperfetta, è la migliore forma di governo, e l’unica di cui disponiamo.

Rispondi

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.

Torna in alto