Gioca Bacchetti? 1 Fisso!

tempo di lettura: 4 minuti
Toni Bacchetti, disegno a china di Antonio Nacarlo

Stadio San Paolo di Napoli, 16 maggio 1998

Era la stagione calcista 1997/98 e il Napoli stava vivendo una delle sue annate più cupe. Ben quattro allenatori si erano alternati alla guida della compagine azzurra: Mutti, Galeone, Mazzone e Montefusco avevano racimolato, in 33 partite, la miseria di 13 punti. Sotto un sole impietoso di maggio, la squadra, ormai condannata alla retrocessione, stava perdendo anche l’ultima gara del torneo. Gli spalti, un tempo traboccanti di passione, erano semivuoti e stranamente muti. Su una panca un ragazzo dai capelli scuri, gli occhi velati di lacrime sotto gli occhiali da sole, fingeva di fissare il rettangolo di gioco. Indossava una maglia azzurra sbiadita, i capelli lunghi e scuri gli cadevano sulla guancia barbuta ma non faceva nulla per scostarli dal viso sudato e chino, quasi a voler nascondere le lacrime che scivolavano silenziose. Le spalle curve e i pugni chiusi a stringere una sciarpetta con il volto sorridente di Diego. Il ragazzo sentiva il peso di quella retrocessione imminente, presagiva che quel Napoli, che aveva dominato in Italia ed in Europa, non sarebbe più tornato. Intanto intorno a lui lo stadio cominciava a svuotarsi, era appena il 41° del primo tempo, mai aveva visto tanta rassegnazione nella curva. Lui restava lì, immobile, come se andarsene significasse abbandonare una parte di sé. In silenzio alzava lo sguardo su quei “brocchi” incapaci di onorare quella maglia che era stata del D10s nemmeno un lustro prima…

Poco distante dal ragazzo un arzillo vecchietto, bardato da capo a piedi di azzurro, aveva continuato ad incitare la squadra, con un fischietto ed una bandiera, senza fermarsi per un attimo a riprendere fiato.

“’O zì scusate, ma che tenite d’alluccà cchiù? Sparagnateve ‘a salute… Questi giocatori so’ mezze cazette!” – Sbottò il ragazzo, asciugandosi in fretta le lacrime-

L’anziano tifoso ripose accuratamente il fischietto nella tasca senza ammainare la bandiera: “Invece tu che te chiagne, guagliò?” – Non aspettò risposte. – “Io non esalto chi indossa la maglia,” disse con un sorriso, “io tifo per la maglia stessa. La maglia è Napoli, e nessuno me la deve toccare”.

Il giovane lo fissò stranito, pensando che quell’uomo fosse ormai fuori dalla realtà. Fece per alzarsi ma la voce del vecchio lo fermò: “Aspetta, guagliò… Io, in tanti anni, ho tifato davvero per due giocatori del Napoli. Non solo perché campioni, ma perché veri uomini. Uno era Maradona, l’altro forse nemmeno lo conosci”.

All’improvviso frastuono dallo stadio, “GOL! GOL! GOL!” Il numero 18 del Napoli, Damir Stojak, aveva pareggiato allo scadere del primo tempo.

Il ragazzo e il vecchio si ritrovarono abbracciati ad esultare. Sospesi tra la curiosità e la voglia impellente di dimenticare quella tristezza, si sedettero di nuovo. Il vecchio inizio a raccontare: “Era la stagione 1950/51, il Napoli si presentava ai blocchi di partenza dopo la promozione in massima serie dell’anno precedente. Il giovane presidente Egidio Musollino, vero competente di pallone, aveva allestito con pochi soldi una vera squadra. Un mix di vecchie glorie e giovani promesse”.

Il vecchio ricordava e gli brillavano gli occhi: “L’allenatore era il già due volte campione del mondo Eraldo Monzeglio, dal mercato arrivarono il leggendario bomber Amedeo Amadei detto il “fornaretto” dalla Roma, il “muro” Leandro Remondini dalla Lazio e il gigante Corsari in porta. Il giocatore che piaceva a me non era tra questi. Il mio preferito era friulano, veniva dal Brescia e si chiamava Antonio Bacchetti”.

Mentre i calciatori rientravano in campo per il secondo tempo, il vecchio tifoso sembrava trasecolato nel ricordo e al giovane non dispiaceva più ascoltarlo, anzi: “Era una mezz’ala tecnica e giocava col numero 7, secco come un chiodo Toni Bacchetti lo chiamavano ‘o cammello, per via di quella corsa sbilenca che però spaccava le difese. Ma non è per i suoi gol che lo ricordo, anche se ne segnò dieci e ne fece segnare molti altri. No, io lo ammiravo perché era stato un partigiano della Brigata Garibaldi. Prima di galoppare su quella fascia dello stadio Collana, aveva corso tra i boschi delle Venezie, con il vento e le pallottole che gli mordevano la pelle e l’ombra dei fascisti di Salò dietro ogni angolo”.

Il ragazzo fece una faccia perplessa: “Non conoscevo questo calciatore, ma era davvero famoso?”

Il vecchio, dopo un attimo di pausa, accennò un sorriso furbo e disse: “Guagliò, tu conosci Napoli Milionaria, no? Eduardo De Filippo, il grande Eduardo, aveva messo in scena la vita vera del dopoguerra. Era il 1951 quando uscì il film, e c’era una scena che non scorderò mai. Eduardo interpretava Gennaro, un povero tranviere che tornava dalla prigionia in Germania. Insieme a Totò, che faceva Pasqualino ‘o scupatore, compilavano una schedina del Totocalcio per tentare la fortuna. E sai che si dissero?”

Il ragazzo, ancora scettico, scrollò le spalle: “Non lo so…”.

“Ah, ti racconto io!” – Esclamò il vecchio con entusiasmo. – “Gennaro chiede a Pasqualino: Napoli-Inter. Cosa mettiamo? E Pasqualino, sicuro, risponde: Bacchetti gioca? Sì, fa Gennaro. E Pasqualino chiude la questione: Allora metti uno fisso!”

“Capito? Bacchetti era una garanzia, guagliò, una sicurezza per noi napoletani. Cosa può chiedere di più un calciatore ai suoi tifosi? Bacchetti non si inchinava davanti ai potenti. Amava la sua libertà e la sua squadra, proprio come amava la città. Giocava per Napoli, per la sua gente, e non per chi deteneva il potere!”

Al ragazzo sorse spontanea la domanda: “Se il “cammello” era così forte, perché non lo vincemmo nel 1951 il primo scudetto, perché il calciatore non arrivò in nazionale?”

“Perché il mondo è sporco e alcuni uomini sono peggiori…” – Il volto del vecchio si fece triste – “Ti ricordi che ti ho accennato che Bacchetti fu partigiano e comunista militante? Ebbene l’allenatore del Napoli, Monzeglio, era un fascista della prima ora, amico personale del Duce e suo maestro di tennis, aveva fatto giocare ‘o cammello per imposizione personale del presidente della squadra, ma tra loro non correva buon sangue. Quando il buon Musollino morì e l’armatore monarchico Achille Lauro prese le redini della società, le cose peggiorarono per il ragazzo. Allenatore e proprietà non volevano più saperne di un calciatore che si portava dietro il marchio di partigiano e comunista. Trovarono una scusa per toglierselo dai piedi. Bacchetti subì un processo per un omicidio avvenuto durante la Resistenza. Era una sporca faccenda, guagliò, e il caso fece scalpore. Ma lui, come aveva fatto nelle montagne, tenne duro. Fu assolto grazie all’amnistia politica voluta da Togliatti, ma il calcio gli aveva voltato le spalle per sempre. Nonostante l’amore della gente, che riempiva gli spalti gridando il suo nome, fu costretto a lasciare. Eppure, io non lo dimenticai mai. Perché lui non giocava per la gloria. Lui giocava per Napoli e per la libertà”.

Il vecchio si fermò, i suoi occhi brillavano di ricordi. Il ragazzo lo guardò in silenzio, sorpreso da quella storia che non aveva mai sentito. Improvvisamente, capì. Il Napoli era molto più di una squadra. Era resistenza, era lotta, era identità.

In memoria di mio padre

6 commenti su “Gioca Bacchetti? 1 Fisso!”

  1. Raffaele Catania

    Antonio Nacarlo non è solo un autore, è un vero e proprio archeologo delle storie napoletane.
    Con la sua penna, scava nel ricco terreno della storia partenopea, portando alla luce gemme che brillano di autenticità e passione.

    1. Antonio Nacarlo

      Grazie dottor Catania, i tuoi complimenti mi lusingano, ma resto un semplice appassionato di storia patria.

    1. Antonio Nacarlo

      Grazie a te Gianni! Sicuramente le storie, come tu mi insegni, non mancheranno mai (basta trovare il tempo per raccontarle). Forza Napoli sempre

Rispondi

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.

Torna in alto