Vox populi, vox dei?

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Motto antichissimo, ma non per questo rispondente a verità, anzi molto spesso impiegato per distorcerla. Secondo Giovanni Sartori, il popolo non ha sempre ragione nel senso che non sbaglia mai, ma nel senso che ha diritto di sbagliare, e che il diritto di sbagliare compete a chi sbaglia per sé, a danno proprio. Se c’è un esempio storico di come il popolo e la sua volontà possano clamorosamente sbagliarsi, lo ritroviamo nelle narrazioni evangeliche riguardanti la morte di Gesù e il “crucifige eum” gridato dal popolo (Marco 15:13-15). Dice Gustavo Zagrebelsky nel suo Il “crucifige” e la democrazia!: “Nel momento dell’appello al popolo, che deve decidere fra Cristo e Barabba, sembra delinearsi un primordiale procedimento democratico. Ma non lasciamoci ingannare: in quell’episodio sono a confronto due poteri che ricorrono alla democrazia soltanto per servirsene. Da una parte Caifa e il Sinedrio, rappresentanti di una «democrazia» dogmatica che si ritiene in possesso di una verità indiscutibile; dall’altra Pilato, campione di una «democrazia» scettica, a cui tutto è indifferente tranne la conservazione del potere. Il popolo sobillato che si sgola nel Crucifige! non è altro che il «paradigma della massa manovrabile», che non agisce, ma reagisce, che non delibera, diremmo oggi, ma è sondata. In poche parole un populismo ante litteram già vivo e vegeto duemila anni fa! Una delle prime immagini che suscita in me il populismo è quella delle folle vocianti che chiedono la testa di qualcuno e di altre che tributano entusiastici Osanna ai loro “idoli”. La “voce del popolo” è in realtà quella dei suoi arringatori che se ne fanno schermo, come avvenne proprio nel caso di Gesù, dove la voce del popolo in realtà era quella delle autorità religiose, da sempre leste e abili nel manovrare i sentimenti della folla secondo i loro interessi (“I capi dei sacerdoti e gli anziani persuasero la folla a chiedere Barabba e a far morire Gesù” – Matt. 27:20).

Dico un’ovvietà se affermo che il populismo è l’esatto opposto dell’individualismo, e aggiungo che il populismo è una strana patologia, perché rende le persone capaci di fare ciò che non si sarebbero mai sognati di fare, e di pensare in modo del tutto difforme dalle loro precedenti abitudini. Un grande analista del populismo, e delle folle che lo compongono, è certamente stato Gustave le Bon (1841-1931), uno dei maggiori studiosi di Psicologia delle folle (da cui il titolo del suo saggio più famoso). In esso leggiamo: “L’uomo isolato – il singolo individuo – sa bene che non gli è permesso incendiare un edificio o saccheggiare un negozio; e l’idea di farlo neppure lo sfiora. Ma quando è parte di una folla egli, acquisita consapevolezza della forza conferitagli dal numero, cederà immediatamente alla prima suggestione che vorrà spingerlo verso ogni sorta di nefandezza” … La massa di persone vocianti, in virtù del solo numero di cui è composta, attribuisce agli individui un senso di potenza invincibile, che consente loro di cedere a istinti che individui isolati avrebbero saputo frenare. L’individuo si abbandonerà a quelli volentieri perché nella folla, essendo essa anonima e dunque irresponsabile, il senso di responsabilità che trattiene il singolo è assente”. Ne abbiamo avuto, di recente, conferma nel più volte ricordato assalto di un gruppo di facinorosi al Campidoglio degli Stati Uniti il 6 gennaio 2021, il Tea Party Patriots, una formazione di populisti di estrema destra, che compì un atto di una gravità tale che nemmeno nei suoi sogni più sfrenati il singolo individuo si sarebbe mai sognato di compiere, e che comportò morti e feriti.

Il populismo, quindi, non è una forza politica, con idee, programmi, statuti, ordinamento gerarchico; esso è semplicemente paragonabile a una mandria di bufali inferociti e senza controllo, che sotto la spinta di potenti emozioni è convinto che otterrà tutto quello che il capo o i capi gli hanno promesso come ricompensa della sua fedeltà. E questo avviene perché “quando un certo numero di esseri viventi si riunisce, che si tratti di animali o uomini, si pone istintivamente sotto l’autorità di un leader che riconosce quale guida” (Le Bon). Ecco perché il populismo, e il suo popolo, rappresentano una minaccia mortale per la democrazia. Se da un lato per un sistema democratico il popolo è certamente l’unica fonte legittima di potere, dall’altro il popolo non è mai un’entità compatta e, quindi, non può possedere un’unica volontà. Ogni popolo è composto da molti gruppi diversi, con pluralità di opinioni, volontà e rappresentanti. Nessun gruppo, compreso quello di maggioranza, ha il diritto di escludere altri gruppi dall’appartenenza al popolo. Questo è ciò che rende la democrazia un luogo di dibattito. Un dibattito presuppone l’esistenza di più voci legittime. Se, invece, il popolo ha una sola voce legittima – come quella di un Duce o di un Führer, o di un capopopolo invasato come Trump – non ci può essere dibattito. Piuttosto una sola voce impone il proprio discorso. Il populismo può quindi rivendicare l’adesione al principio democratico del “potere del popolo”, ma di fatto svuota la democrazia di significato e cerca di instaurare una dittatura. Il populismo mina la democrazia anche in un altro modo, più sottile, ma altrettanto pericoloso. Forti della rivendicazione di essere gli unici a rappresentare il popolo, i populisti sostengono che il popolo non è solo l’unica fonte legittima di autorità politica, ma l’unica fonte di ogni autorità; ed ecco il significato del lemma “vox dei” nel binomio con “vox populi”.

Nello Stato democratico il Governo non è la sola autorità, ma nel sistema del bilanciamento dei poteri vi sono altre autorità, libere e indipendenti, il Parlamento e la Magistratura, che non sono soggetti all’autorità governativa e che sono ciascuno liberi e indipendenti nella loro sovrana giurisdizione conferitagli democraticamente. Non ci si stupisce, allora, quando nel nostro Paese e al giorno d’oggi assistiamo, sgomenti, ad una progressiva delegittimazione di entrambi i poteri, quello legislativo e quello giudiziario, che sono sempre più sottoposti al ferreo tallone di un governo di destra che non tollera nessun controllo e che, giorno dopo giorno, periclita verso l’estremismo. Forse non ci si sofferma spesso su un altro argomento, fiore all’occhiello dei populisti più accaniti, che è quello del rifiuto della scienza ufficiale, per imporre la loro veduta dei fenomeni oggetto di studio degli scienziati. Si va dai “No Vax” ai negazionisti dell’ambiente, ai terrapiattisti, agli antievoluzionisti e così via, a dimostrazione del fatto che al “popolo” si può fare ingoiare qualunque balla, pur di trascinarlo dalla parte del “capo”. Il quale ha necessità di tenere sotto controllo le sue masse e, dato che la maggior parte degli individui, specialmente nelle masse popolari, non avendo nessuna idea chiara e ragionata che trascenda dal loro livello e sono incapaci di guidarsi, si avvale di parziali sostituti, che possono essere rappresentati dai giornali di partito e altre pubblicazioni che fabbricano le opinioni per i loro lettori fornendo frasi fatte che li dispensano da ogni riflessione, e tramite i quali “demonizzano” tutti i loro avversari politici con ogni sorta di fake news, di calunnie, di pettegolezzi, di accuse infamanti.

Il populismo, per amor di verità, non ha mai goduto di buona fama presso i grandi della filosofia e della letteratura, e con buone e motivate ragioni non dovrebbe goderne nemmeno presso di noi in questo tempo. Francesco Guicciardini, pur essendo un amico di Machiavelli, non ne condivideva l’opinione sul popolo: “chi disse uno populo disse veramente uno animale pazzo, pieno di mille errori, di mille confusioni, sanza gusto, sanza diletto, sanza stabilità … El popolo per la ignoranza sua non è capace di deliberare le cose importanti … è instabile e desideroso sempre di cose nuove, e però facile a essere mosso ed ingannato dagli uomini ambiziosi e sediziosi”. La Boétie constatava che “la plebaglia, che nelle città è sempre più numerosa, è naturalmente portata a diffidare di chi l’ama e a fidarsi di chi l’inganna”. Altrettanto sprezzante verso il popolo come moltitudine era Thomas Hobbes, che non gli riconosceva la capacità di governare per il bene dello Stato: “Io per mio conto – scriveva nel 1646 – sono già da molto tempo di opinione che non vi è mai stato un concetto elevato che sia piaciuto al popolo, e che una saggezza superiore alla media non può essere approvata dal volgo, perché, o non la capiscono, o, se la capiscono, l’abbassano al loro livello”. Anche Montesquieu diffidava sia della democrazia che del popolo. Difatti al riguardo scrisse: “Si presuppone (ciò che non avviene mai) che gli elettori cerchino il pubblico bene, mentre cercano solo il loro bene particolare”. Ad essi si associa anche Voltaire, che aveva sommo disprezzo “per la vile plebaglia”, mentre il suo contemporaneo Rousseau definiva il popolo della gente comune “una plebe abbrutita e stupida”. Prima di questi illustri personaggi, vi era stato anche il precursore dell’Illuminismo, Baruch Spinoza, ad essere critico nei confronti del populismo. Secondo il grande filosofo: “Il maggior ostacolo alla realizzazione della repubblica della ragione e della libertà è rappresentato dalla natura dell’uomo e del volgo che costituisce la grande maggioranza del genere umano. In ciò era affine idealmente a Machiavelli, secondo il quale il popolo si lascia facilmente ingannare da chi promette mari e monti a prezzo della libertà. Vox populi, dunque, uguale a vox dei? Il nostro excursus ci consente di rispondere con piena consapevolezza con un sonoro “NO”! a questa equivalenza. E ci spinge a prestare la massima attenzione a tutti quei movimenti che abusano troppo spesso della parola “popolo” nei loro interventi, dai quale traspare chiaramente la volontà di accattivarsi il favore di coloro che essi poi priveranno della libertà, grazie all’autorità loro conferita da quel medesimo “popolo”. Richiamando alla memoria una notissima espressione di Renzo Arbore, “meditate, gente, meditate”, siamo esortati a pensare e a riflettere per portare avanti le nostre idee e rigettare quelle dei populisti d’ogni sorta, perché, come diceva Ezra Pound: “Se un uomo non è disposto a rischiare qualcosa per le sue idee, o le sue idee non valgono nulla o non vale nulla lui”.

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