Oggi vi invidio la vita

tempo di lettura: 4 minuti
Disegno di A. Nacarlo

È accaduto il 19 settembre scorso, festa di San Gennaro, patrono di Napoli. Nonostante la tradizione religiosa si sia affievolita, molti napoletani continuano a dirigersi in chiesa, contribuendo al traffico intenso su via Marina. La pioggia battente rendeva la situazione ancora più caotica. Per evitare di rimanere bloccato, decido di imboccare una stradina laterale, pur non sapendo esattamente dove mi avrebbe condotto. Sembra una scorciatoia, un modo per sfuggire al caos. Guido lentamente sull’asfalto dissestato, cercando di evitare le buche piene d’acqua, quando improvvisamente mi trovo di fronte a un tir che mi costringe a una manovra brusca. Mi rendo conto di aver sbagliato direzione e devo tornare indietro, con la pioggia che continua a battere incessante sui vetri rendendo tutto indistinguibile.

Foto di A. Nacarlo

Arrivo a un anonimo bivio sotto i ponti dell’autostrada e noto una piccola aiuola curata che circonda una lapide che spicca in mezzo al grigiore e al degrado. Un’immagine inaspettata, che mi colpisce come un pugno nello stomaco. Una bellezza ordinata nel nulla. Rallento e cerco di guardare meglio, ma i clacson degli automobilisti dietro di me mi fanno riprendere la marcia. Tuttavia, quella lapide continuava a tormentarmi, come un tarlo che scavava lentamente nella mia testa, impedendomi di concentrarmi su altro.

Tornato a casa, decido di scoprire di più. Mi siedo al pc e ripercorro virtualmente il mio tragitto mattutino su Google Maps. Dopo qualche errore, finalmente la trovo: la lapide bianca. Ingrandisco l’immagine e leggo il nome inciso: Teresa Buonocore; ora ricordo tutto.

Siamo nel 2010. Teresa Buonocore viveva a Portici, una cittadina elegante alle porte di Napoli. La sua vita, come quella di molte madri single, era una corsa continua tra mille impegni. Aveva quattro figli, due ormai adulti da un precedente matrimonio e due bambine piccole, di sei e otto anni, nate dall’unione con il suo ex marito, un ingegnere dominicano. Le bambine erano bellissime, con lineamenti esotici che ricordavano le radici del padre, e Teresa faceva di tutto per garantire loro una vita serena, nonostante le difficoltà economiche. Per mantenerle, lavorava in due posti: di mattina come segretaria in un CAF e nel pomeriggio in un’agenzia di viaggi. Le giornate erano lunghe e faticose, ma non si lamentava. Sapeva che stava facendo il possibile per assicurare un futuro alle sue figlie, e questo le dava forza.

Una piccola gioia derivava dall’amicizia che la figlia più grande aveva stretto con una compagna di classe, figlia della famiglia Perillo, stimati professionisti. La casa di quella coppia rappresentava per Teresa una sorta di rifugio sicuro: spesso lasciava che sua figlia trascorresse del tempo lì, sapendo che era in buone mani. Il signor Perillo, il padre dell’amichetta, lavorava da casa e poteva controllare le bambine, assicurandosi che, tra un gioco e l’altro, facessero anche i compiti.

Ma dopo poco tempo, la donna notò un cambiamento nella figlia: la bambina aveva sempre paura, bagnava il letto e rifiutava le sue carezze. Un giorno, i servizi sociali si presentarono a casa, allertati da una segnalazione anonima. La bambina raccontò gli abusi subiti dal signor Perillo, che la minacciava di uccidere la madre. Come una leonessa ferita, Teresa non esitò e denunciò l’uomo. Per non turbare ulteriormente la figlia, decise di non raccontare nulla, nemmeno alla propria madre.

Enrico Perillo fu arrestato e condannato a 14 anni di carcere per pedofilia. Tentò di corrompere Teresa Buonocore con un’offerta di 150.000 euro, ma al suo rifiuto, iniziò una campagna diffamatoria, insinuando che la donna fosse una ricattatrice e che avesse acconsentito agli abusi. Nemmeno queste accuse infamanti fermarono la determinazione della donna, che riuscì a far restare Perillo in carcere.

Come dice Leonardo Sciascia ne “Il giorno della civetta” parlando delle mafie: “Prima cercano di corromperti, poi ti diffamano, e solo alla fine ti ammazzano”. Così accadde. Dal carcere, Enrico Perillo, con la complicità della moglie, assoldò due balordi promettendo loro 15.000 euro per uccidere la sua accusatrice. L’unica condizione era che l’agguato dovesse sembrare opera della Camorra.

Il 20 settembre 2010, Teresa Buonocore fu barbaramente giustiziata nella sua utilitaria mentre si recava al lavoro. La sua vita finì in quella squallida via, dove oggi una lapide la ricorda.

Ci sono tornato, esattamente il giorno del quattordicesimo anniversario del suo assassinio. Non credo nelle coincidenze, e mi sono chiesto quale fosse il significato di tutto questo. Gli assassini di Teresa sono stati puniti: Perillo marcirà in carcere, mentre gli esecutori materiali sconteranno vent’anni. Teresa Buonocore è diventata un simbolo della lotta per la legalità, onorata con la medaglia d’oro al merito civile (alla memoria), e a suo nome sono stati intitolati premi e associazioni. Ma cosa può volere ancora Teresa?

Mi ritorna alla mente ancora Sciascia, che scelse il titolo “Il giorno della civetta” ispirandosi a una citazione da Enrico VI di Shakespeare: “…come la civetta quando di giorno compare”. Un presagio di sventura. Lo scrittore paragona il rapace notturno alla mafia, che agisce alla luce del sole, senza più destare scalpore.

“La verità è nel fondo di un pozzo: tu guardi in un pozzo e vedi il sole o la luna; ma se ti butti giù, non ci sono né sole né luna, c’è solo la verità”.

Forse l’unica cosa che un morto può invidiare è la vita: il tempo che resta da vivere accanto a chi si ama, vedendo crescere le persone care. Sicuramente Teresa Buonocore non aspirava né al martirio né agli onori postumi, ma desiderava solo vivere ancora a lungo con le sue due gioie, vederle crescere, sostenerle. Forse è proprio questo il senso: Sic transit gloria mundi, così passa la gloria del mondo e il tempo che trascorre è più prezioso di quello che crediamo.

4 commenti su “Oggi vi invidio la vita”

  1. Sergio Pollina

    Struggente e toccante. Lei con i suoi racconti sa come penetrare nell’animo umano. La esorto a continuare, anche se ogni tanto nel leggere certe storie mi rattristo.

    1. Antonio Nacarlo

      La ringrazio molto per le sue parole gentili, lei sa quanto apprezzo i suoi lavori.
      Sono consapevole che certe storie possano suscitare tristezza, ma credo sia importante raccontarle affinché non siano dimenticate. Il suo incoraggiamento mi sprona a continuare. Grazie di cuore.

  2. C’è qualcosa in questa storia che mi ha lasciato con molte domande e un senso di inquietudine. Non si tratta solo di una vicenda di giustizia e ingiustizia, ma sembra celare una riflessione più profonda sulla vita, sul destino e su quanto poco controllo abbiamo su ciò che ci accade. Mi ha affascinato il modo in cui, dietro ogni dettaglio, sembra nascondersi un significato più grande, quasi come se ci fosse un enigma da risolvere. Cosa ci spinge a ricordare certe persone? E qual è il confine tra il coraggio e la tragedia inevitabile? Questo racconto mi ha lasciato con più domande che risposte, e forse è proprio questo a renderlo così avvincente. Complimenti

    1. Antonio Nacarlo

      Grazie per il suo commento. Sono lieto che la storia abbia suscitato in lei queste riflessioni. La invito a continuare a seguirci e a leggere gli articoli degli altri redattori: ci sono molte altre storie che potrebbero intrigare e stimolare ulteriori domande. Grazie ancora per il suo interesse.

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