È veramente inimmaginabile il dover essere costretti a pensare come la permanenza della vita umana sulla terra possa essere appesa a un filo, o meglio alla pressione su di un pulsante da parte di uomini che, oggi come mai prima, hanno il potere di vita e di morte sull’intero pianeta. È una condizione che non si è mai verificata in tutto il corso della storia documentata e anche prima.
Stiamo parlando dell’eventualità di una guerra nucleare, per la quale ormai molte nazioni della nostra Terra sono preparate, e alle sue conseguenze se essa dovesse scoppiare; evento che, purtroppo, sembra avvicinarsi ogni giorno di più; a tal fine basta seguire le cronache giornalistiche e i siti di approfondimento per rendersi pienamente conto di quanto sia fragile e instabile l’equilibro fra guerra e pace in questo momento storico, al quale speriamo vivamente possano seguirne molti altri.
L’argomento della pace e della guerra e la relazione di quest’ultima con il diritto è stato affrontato da eminenti studiosi del pensiero: uno per tutti Immanuel Kant con il suo Per la pace perpetua, del 1795 (Feltrinelli, 2019), al quale il nostro rinomato filosofo Norberto Bobbio ha abbondantemente attinto, insieme agli scritti di Hobbes e di molti altri, per cercare di definire il perenne conflitto fra guerra e diritto, che ha concretizzato nel suo saggio Lezioni sulla guerra e sulla pace (Laterza, 2024), lavoro che fu redatto nel 1962, subito dopo la crisi di Cuba che aveva portato il pianeta sull’orlo dell’olocausto nucleare, e che diede pertanto allo scrittore l’occasione per un ciclo di lezioni sulla guerra e sulla pace, che poi presero la forma del saggio di cui sopra, nel quale si sottolinea, come punto fermo e ineludibile, che nessuna teoria sulla guerra, elaborata nei secoli precedenti il suo, potesse essere anche lontanamente proponibile nel tempo della guerra atomica e nucleare. Anche in questo guidato dall’assioma kantiano che è un dovere intellettuale “proclamare l’impossibilità della guerra. Anche se non vi fosse possibilità alternativa”.
Mai come oggi si è sentita la necessità di un’autorità regolatrice dei conflitti che continuano a deflagrare nel nostro mondo; necessità concretizzatasi nella ricerca di una soluzione che avrebbe portato alla creazione di organismi sovranazionali, come l’Organizzazione delle Nazioni Unite e altri, ma che non hanno avuto praticamente nessun effetto veramente moderatore della conflittualità fra le nazioni. Eppure, se vogliamo che la nostra civiltà sopravviva, dobbiamo prendere accurata nota del problema – che non è di altri ma di tutti noi – non lasciandoci narcotizzare dai media che quotidianamente ci inondano di programmi cosiddetti “leggeri”, che distolgono la mente dai problemi più seri ai quali dovremmo prestare una maggiore e ponderata attenzione. Sembra che il mondo “reale” e quello dei media vivano su dimensioni diverse. In quest’ultimo non si parla d’altro che di pubblicità di roba essenzialmente inutile, che rende inguardabile – interrompendolo continuamente – ogni programma serio, e poi di giochi a quiz, di stupidaggini sesquipedali che rendono catatonici gli spettatori, mentre nel primo vi è la realtà, quella vera, nella quale il sangue scorre a fiumi, le città si sbriciolano, l’urlo dei moribondi, delle sirene e delle ambulanze sovrasta quello dei televisori – se ancora ne esistono in quelle nazioni – e che ci riporta con i piedi per terra, alla nostra realtà quotidiana che, anche se non riguarda direttamente il nostro Paese, ci tocca comunque, come ci ricorda l’immortale poesia di John Donne (1600): “Nessun uomo è un’isola, completo in sé stesso; Ogni uomo è un pezzo del continente, una parte del tutto. Se anche solo una zolla venisse lavata via dal mare, la Terra ne sarebbe sminuita, come se un Promontorio fosse stato al suo posto, o una magione amica o la tua stessa casa. Ogni morte d’uomo mi diminuisce, perché io partecipo all’Umanità. E così non mandare mai a chiedere per chi suona la campana: Essa suona per te”.
La guerra in Ucraina, per esempio, non riguarda solo l’Ucraina, perché vi è in gioco la libertà di un popolo, e la libertà è un bene di tutti noi, è un bene dell’umanità; se viene minacciata in un luogo, la minaccia riguarda anche noi. Quindi, non possiamo semplicemente volgerci dall’altra parte, pensando, ‘che se la sbrighino loro, non mi riguarda’; e invece ci riguarda perché il diritto di vivere in pace, il diritto di VIVERE in assoluto, è parte inscindibile della vita umana, e la guerra è l’esatto opposto di questo diritto, sia nel senso del diritto individuale che in quello del diritto transnazionale e giurisdizionale. E sono proprio queste le parole che ha pronunciato il presidente Biden all’ultima assemblea delle Nazioni Unite quando, parlando del conflitto in Ucraina ha detto: ‘non possiamo voltarci dall’altra parte: e non lo faremo’. E, riferendoci a Bobbio, come in precedenza, ci sembra veramente pertinente una sua riflessione a corredo del suo saggio L’età dei diritti (Einaudi, 2011), nel quale egli scrive: “Diritti dell’uomo, democrazia e pace sono tre momenti necessari dello stesso movimento storico: senza diritti dell’uomo riconosciuti o protetti non c’è democrazia; senza democrazia non ci sono le condizioni minime per la soluzione pacifica dei conflitti. Con altre parole, la democrazia è la società dei cittadini, e i sudditi diventano cittadini quando vengono loro riconosciuti alcuni diritti fondamentali; ci sarà una pace stabile, una pace che non ha la guerra come alternativa, solo quando vi saranno cittadini non più di questo o quello stato, ma del mondo”.
Le vie della pace, quindi, sembrano così affidate a ‘un ritorno alla ragione’ di cui Bobbio ricostruisce i diversi percorsi, mettendone in luce pregi e difetti. Egli, come accadeva per Kant e Hobbes, non viveva di illusioni, ma era un uomo concreto, e sapeva perfettamente che è illusorio affidarsi alla speranza di un miglioramento della natura umana, che è tipico del pacifismo morale. Quello che, invece, è attuabile è il pacifismo giuridico che è allo stesso tempo mediamente attuabile ed efficace perché affida le sue ragioni e il suo tentativo ad un realismo di fondo che fa i conti con la realtà della forza senza arrendersi al suo dominio. Pertanto, sia Bobbio che i suoi predecessori non si sono illusi minimamente di poter superare definitivamente la presenza della forza nelle vicende umane; ciò a cui possiamo aspirare, realisticamente, è la sua regolazione. Non occorre immaginare, quindi, un mondo in cui la forza possa scomparire, bensì organizzarne e limitarne l’uso attraverso la costruzione di appositi meccanismi istituzionali.
È il percorso in fondo seguito secoli prima da Hobbes nel suo capolavoro, il Leviatano, che è sempre stato un punto di riferimento costante della riflessione politica e giuridica del nostro grande filosofo, ma senza trascurare l’apporto consistente di Immanuel Kant che, con la sua opera precedentemente citata, sarà il faro della riflessione internazionalistica di Bobbio centrata sul trinomio pace-democrazia-diritti umani. Ed in questo gioca una parte significativa il “Diritto”. Si tratta infatti di creare le condizioni per quella ‘pace attraverso il diritto’ (Peace through Law), concetto che è la summa delle idee relative alla risoluzione dei conflitti, di Hans Kelsen, autorevole giurista e filosofo austriaco vissuto a cavallo dei secoli XIX e XX (la cui opera dallo stesso titolo vide la luce mentre ancora infuriava il secondo conflitto mondiale) che, insieme a tutta la sua produzione letteraria, rappresenta un passaggio ineludibile per chiunque voglia addentrarsi e avventurarsi nei meandri di queste delicate questioni internazionali.
Da essa Bobbio trasse la conclusione che bisogna creare le condizioni che possano garantire una certa stabilità all’ordinamento internazionale, stabilendo le condizioni per l’uso della forza e cercando tendenzialmente di superarne la necessità. Quindi, secondo il nostro filosofo, cercare la pace attraverso il diritto non significa e non può significare semplicemente accentrare l’uso della forza per rispondere con la forza legittima alla forza illegittima. Cosa vuol dire, allora? Secondo una definizione ricorrente, il diritto è considerato come un tutore di pace, ovvero una tecnica dell’organizzazione sociale, avente lo scopo di raggiungere la pace. Attraverso le sue regole di condotta il diritto cerca di ricomporre la società in un ordine, che è l’ordinamento giuridico. Il diritto, l’ordine, è dunque un rimedio alla guerra, al disordine. La guerra è un disvalore, mentre la pace è un valore, della cui realizzazione uno dei mezzi è il diritto. Non si può concludere l’argomento, che è vastissimo, senza porsi la domanda sul perché sia mai possibile che esista una guerra giusta, come quella che scoppia quando un paese inerme viene aggredito da un altro che vuole distruggerlo. In tal caso si potrebbe parlare di legittima difesa più che di guerra. Lo stesso Bobbio – che si attirò molte critiche proprio per questo – azzardò ad individuare la “guerra giusta” a proposito della guerra del golfo del 1991. È un argomento al quale speriamo di poter dedicare una prossima riflessione.