Giustizia: cos’è?

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«Vinta giace la bontà, e la vergine Astrea, ultima degli dei, lascia la Terra madida di sangue» (Publio Ovidio Nasone, Le metamorfosi, I, vv. 149-150). In queste sconfortanti parole di Ovidio, il grande poeta latino, troviamo il triste epilogo della giustizia sulla terra, dalla quale Astrea, dea della giustizia (chiamata anche Dike), si allontana sconfitta per trovare dimora tra le stelle lontane, lontana dagli uomini e dalla loro nequizia.

Addentrarsi in profondità all’interno dei molteplici, e pregnanti, significati che questo termine assume a seconda dall’ambito in cui viene espresso è, parafrasando il Sommo Poeta, come “inoltrarsi in una selva oscura”, e questo perché la giustizia, in quanto senso comune, o la giustizia nel senso di diritto, è uno degli aspetti più importanti, se non il più importante nell’ambito della società umana, nella quale la richiesta di giustizia è invocata sin dai tempi più remoti, se la ritroviamo, perfino nelle Scritture Cristiane, vecchie di secoli, nelle quali Pietro apostolo scrive: “Secondo la sua promessa [del Signore], aspettiamo cieli nuovi e una terra nuova, nei quali abita la giustizia”. E, in pieno accordo con questa veduta speranzosa della fine dei tempi, era anche il suo Maestro che aveva promesso – ai giusti, e solo a loro – la vita eterna (Matt. 25:46).

Giustizia è un termine amplissimo, e spazia tra l’esigenza di ogni essere umano di essere trattato con giustizia, ovvero con equità e imparzialità, dal che la familiare sua raffigurazione sotto forma di una divinità (Temi, personificazione della Giustizia e dea della Legge, appartenente alla stirpe dei Titani) che oltre a essere bendata brandisce una spada e una bilancia con i due piatti perfettamente allineati, a indicare la sua capacità di non farsi influenzare per trattare tutti allo stesso modo (la benda), oltre a simboleggiare equilibrio tra bene e male, misura, prudenza, ponderatezza ed equità. Infatti, questi sono alcuni dei compiti principali che la giustizia è tenuta a conservare, allo scopo di ristabilire ordine e armonia. Invece, la spada incarna il significato intrinseco del giudizio: forza e punizione, sanzione e severità della pena per chi non la rispetta. Ad essa dovrebbe corrispondere il vivere secondo giustizia, il diritto di godere di qualcosa di inalienabile, come quello della ricerca della felicità o della buona salute, o dell’amore dei propri cari (all’argomento ha dedicato un pregevole saggio Stefano Rodotà, intitolato Il Diritto di avere Diritti, Laterza, 2017), e la giustizia intesa nel senso del Diritto (lo Ius dei latini, da cui Iustitia), cioè l’insieme delle norme e regole che disciplinano la vita nella società umana e che esistono sin dalla notte dei tempi, dato che possiamo farne risalire le prime formulazioni ai tempi dei Sumeri, degli Accadi e dei Babilonesi. E, per quanto riguarda noi che abitiamo in questa penisola ricchissima di storia, non dimentichiamo che ancora nelle università si studia il Diritto Romano! I secoli trascorsi non ne hanno appannato i principi. Ed è difficile trovare uno studioso della storia del diritto che non abbia mai esaminato l’opera fondamentale di von Leibnitz, intitolata, per l’appunto Saggi di Teodicea, cioè saggi sulla giustizia divina.

La giustizia, dato il mondo imperfetto in cui viviamo, è circondata da nemici potenti, e lo illustra in modo esemplare Franco Cardini nel suo Astrea e i Titani (Laterza, 2003). Di esso vogliamo riferire solo un brano, nel quale il noto medievalista spiega: “L’Olimpo occidentale è minacciato. I vecchi dèi – le potenze statali e sovrastatali – non sono più in grado di dominare il mondo. Lo stesso Zeus americano è prigioniero dei Titani che hanno dato l’assalto all’Olimpo, i grandi poteri occulti delle multinazionali che si sono spartiti la terra e la stanno divorando. La loro vittoria coinciderà con la distruzione non solo del mito democratico, ma anche dell’ordine giuridico internazionale. Sarebbe (sarà?) la morte di Astrea – la dea della Giustizia – l’avvento del caos, la sparizione della possibilità di controllo dell’esercizio del potere e della decisione comunitaria alle decisioni di governo”.

Previsioni non proprio frutto di cieco ottimismo, ma di un crudo e duro confronto con la realtà in cui viviamo, nella quale la guerra, le guerre sono una drammatica realtà che ci circonda quotidianamente. Poc’anzi dicevamo che la Giustizia e il Diritto, suo fedele alleato, sono circondati da nemici. Il più acerrimo di tutti è senza ombra di dubbio la guerra, altra inestirpabile creazione umana. La guerra priva innumerevoli bambini del diritto sacrosanto a diventare uomini e donne, di quello di vivere una vita piena e, se possibile, felice; priva i genitori della gioia legittima e inalienabile di veder crescere i loro figli e circondarli d’affetto. La guerra è, quindi, per definizione, ingiusta, ed è veramente patetico che nel tempo si sia messo mano ad una sorta di codice delle guerre, che ne dovrebbe regolare l’atrocità, uccidendo e distruggendo solo alcuni e non altri, come se le vite avessero un valore diverso a seconda della dislocazione geografica o dell’etnia, o di altri criteri.

Il diritto (giuridico), il diritto (alla libertà personale), il diritto alla vita e alla ricerca della felicità sono le fondamenta del vivere civile, ovvero del vivere regolato da norme e principi che affondano la loro legittimazione nel profondo dell’animo umano. Scrive Rodotà nel suo saggio: “Un innegabile bisogno di diritti, e di diritto, si manifesta ovunque, sfida ogni forma di repressione, innerva la stessa politica”. E poi, così prosegue: “in questo tempo tanto mutato, torna forte, l’appello ai diritti fondamentali, che percorre il mondo in forme inedite, incontra sempre più nuovi soggetti … Il diritto di avere diritti connota la dimensione stessa dell’umano e della sua dignità, rimane saldo presidio contro ogni forma di totalitarismo”.

Ci sembra opportuno, nel concludere questa estremamente succinta disamina della giustizia e del diritto, rifarci alla nuova filosofia iniziata da Bacone e da Cartesio, la quale deriva invece dal senso o dalla ragione la nozione della giustizia. La concezione empiristica della giustizia culmina in David Hume, per il quale l’idea della giustizia deriva dall’esperienza psicologica dell’uomo, il quale è portato ad associarsi con i suoi simili. Da qui la necessità di norme di giustizia tendenti a garantire con la vita in comune la nostra stessa esistenza individuale: tali norme obbligano non per la loro verità o razionalità intrinseche, ma per il sentimento della loro comune utilità e necessità. La concezione razionalistica della giustizia originatasi dalla riforma cartesiana trova la sua alta espressione in Gottfried von Leibniz, per il quale la giustizia fondata su considerazioni di utilità e di convenienza sociale è la forma imperfetta della giustizia eterna, aspetto dell’essenza stessa di Dio, innata nell’anima umana.

Sulla giustizia molte cose ha avuto da dire la filosofia greca, come sempre fonte ancestrale del pensiero umano, ed è ad essa che dobbiamo rivolgerci se vogliamo cogliere lo sviluppo di questa “virtù”. Sì, perché la giustizia e, di conseguenza, l’essere giusti è una delle virtù cardinali, insieme alla fede, la speranza, la carità, la temperanza e altre. Più specificamente, in relazione alla sfera pratica di riferimento, la giustizia è intesa come virtù interiore (morale); come modalità di costituzione delle relazioni intersoggettive che attengono alla sfera del diritto privato e di quello pubblico. Una riflessione che apre le porte ad un maggiore e più profondo intendimento della giustizia, la troviamo nella relazione di Giovanni Maria Flick, a suo tempo ministro di grazia e giustizia che, in occasione di un convegno per ricordare l’abolizione della pena di morte e della tortura, disse, citando Norberto Bobbio: “In una prospettiva di puro potere non importa che la norma sia giusta; basta che essa esista o sia rispettata, vale a dire che esista e sia rispettata la soluzione di un conflitto di interessi che potrebbe, se lasciato a sé stesso, degenerare nella guerra”. Chi, viceversa, ha a cuore la giustizia, esigerà che una norma, ogni norma si conformi a un determinato ideale e non sarà, quindi, indifferente ai suoi contenuti; non si accontenterà di una giustizia formale e non gli basterà che l’ordine sia preservato «comunque», ma starà attento a come ciò sarà, in concreto, realizzato”. La giustizia, quindi, difficilmente può essere considerata una condizione raggiungibile nel corso della vita umana (l’unica che abbiamo), perché essa è, per sua natura, parziale e ingiusta. Ecco perché il Nazareno, a consolazione di chi vi anelava, la promise come ricompensa nel mondo futuro dei credenti, con le note parole: “Felici quelli che hanno fame e sete di giustizia, perché saranno saziati” (Matt. 5:7). Nel frattempo noi rimaniamo in attesa che qualcuno dei “saziati”, torni per dirci come vanno le cose dalle sue parti, e mi si perdoni l’irriverenza!

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