Gli imprenditori e la politica

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Disegno di A. Nacarlo

Due mesi circa separano gli elettori statunitensi dalle presidenziali. Si contendono l’ambita carica un imprenditore ed un procuratore, cioè un funzionario che ha rivestito il ruolo di pubblico ministero. Non è ozioso chiedersi se gli elettori si pongano o meno il problema della loro provenienza professionale: ci saranno, e costituiranno una maggioranza, quelli che non baderanno affatto alla pregressa attività dei candidati e chi invece ne farà un motivo di riflessione indipendentemente dalla loro appartenenza politica. La questione riguarda peraltro gli elettori di tutti i paesi democratici.

In effetti la figura dell’imprenditore che si dà alla politica dovrebbe insospettire. Innanzitutto, come inquadrarla psicologicamente? La sua caratteristica precipua è il rifiuto dell’idea di svolgere un lavoro dipendente perché mira a vivere agiatamente senza dover sottostare a vincoli gerarchici e a comportamenti obbligati, come, ad esempio, l’orario di lavoro. Questa legittima ambizione lo spinge ad essere naturalmente insofferente anche ai lacci e lacciuoli della burocrazia ed anche a tutte le regole che ritiene ingiuste: l’imprenditore è uno spirito libero, molto libero. Con le dovute eccezioni, gli pesa anche il pagamento delle tasse: le paghino piuttosto i suoi dipendenti che non rischiano in proprio e lavorano supinamente, sottraendosi non appena possibile agli impegni lavorativi puntualmente difesi dai sindacati, notoriamente invisi agli imprenditori.

Sotto il profilo sociologico l’imprenditore viene visto come una persona coraggiosa perché rischia in proprio ed è pertanto degna di rispetto. Alcuni lo considerano addirittura un esempio, un modello, ed apprezzano, quando c’è, il suo successo censuario e sociale (“Si è fatto da solo”). Quando l’imprenditore scende in politica si sentono tranquillizzati dal fatto che è già ricco e quindi non approfitterà della carica pubblica per accrescere il proprio patrimonio. E qui nascono i primi dubbi: l’imprenditore che scende in politica vantando la propria ricchezza è realmente ricco? Se lo è, vi è riuscito con merito o col sostegno di poteri forti o, addirittura, in maniera illegale? E poi, dove sta scritto che chi è già ricco non voglia continuare ad arricchirsi? La realtà ci mostra come questa affermazione sia totalmente illusoria perché è nella natura intima dell’imprenditore gareggiare per diventare il più ricco di tutti.

Sono dunque tutt’altro che rari i casi in cui questi dubbi hanno avuto un riscontro: Berlusconi, come ormai accertato, fece il grande passo perché la sua holding, la Fininvest, macinava debiti da un bel po’ e perché da una posizione di potere avrebbe potuto tentare di coprire le sue pregresse “intemperanze”. La figura di Berlusconi rappresenta l’archetipo del politico imprenditore. Prima di lui i politici provenivano dalle scuole di partito nelle quali bene o male venivano formati per poter svolgere attività legislativa e amministrativa. C’erano anche, per carità, personaggi meno attrezzati, spesso provenienti da movimenti di protesta ma comunque abbastanza introdotti nel contesto politico. In ogni caso gli imprenditori, gli Agnelli, i Gardini, i Caltagirone, i Tronchetti Provera ma anche quelli di taglia media o piccola si guardavano bene dall’esporsi in prima persona, limitandosi semmai a far rappresentare i loro interessi da politici di professione. Insomma gli imprenditori non avevano ancora scoperto che potevano rivendicare un seggio in Parlamento in quanto portatori di pacchetti significativi di voti. Se ci guardiamo in giro oggi scopriamo che Berlusconi ha fatto scuola sia in Italia che all’estero, come dimostrano le candidature di Donald Trump.

Nel Senato ridotto a 200 senatori siedono oggi ben 25 imprenditori a fronte di 43 avvocati, 20 dirigenti, 20 docenti universitari, 18 consulenti, 17 giornalisti, 10 altre professioni intellettuali, 10 medici e 1 magistrato (fonte: Senato della Repubblica). Nella scorsa legislatura dei 315 senatori, al primo posto figuravano gli imprenditori, ben 49. Allargando il discorso all’intero Parlamento, oggi vi troviamo, quando ci vanno, personaggi ben noti come la Santanché, Claudio Lotito, presidente della Lazio, e Antonio Angelucci, proprietario di ben tre quotidiani ma animato tuttora da smanie espansionistiche nel delicato settore dell’informazione.

Date le premesse di ordine psicologico e sociale innanzi accennate non sorprende che la classe imprenditoriale si collochi a destra nello schieramento parlamentare dove trova meglio tutelati i propri interessi. E dalla stessa parte propende la maggior parte degli avvocati: non dimentichiamo la falange di principi del foro che Berlusconi si è portato dietro sin dal suo primo ingresso in Parlamento: Costabile, Biondi, Longo, Ghedini e Paniz, solo per fare i nomi di chi, mentre svolgeva attività parlamentare, difendeva nelle aule dei tribunali il suo cliente privilegiato. E tuttavia, tornando al prossimo confronto Trump – Harris, ci auguriamo che gli elettori colgano la differenza che esiste comunque tra un imprenditore pregiudicato ed un magistrato.

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