Cosa sta accadendo nel mondo occidentale? Si aggira fra le nazioni una sorta di tarlo che ne sta erodendo le radici democratiche, lasciando sempre più spazio a perniciosi nazionalismi, populismi, sovranismi e negazionismi, che indeboliscono la tenuta delle istituzioni e il loro rispetto. Un recentissimo esempio, eclatante, lo ritroviamo nel comportamento riprovevole della nostra Presidente del consiglio che, dimentica di rappresentare il potere esecutivo dello Stato, è intervenuta a gamba tesa su un altro potere dello Stato, quello giudiziario, in modo del tutto irrituale in un processo penale, in difesa di un suo collega di governo, così infliggendo una ferita gravissima al concetto universalmente condiviso della separazione dei poteri che è uno dei principi giuridici fondamentali dello Stato di diritto e della democrazia liberale, che con molta eleganza John Stuart Mill definì a suo tempo “governo rappresentativo”. Che il potere esecutivo, in questo caso, cessi di esercitare la sua terzietà, assumendo la funzione di difesa di un imputato, affermando che la richiesta dei PM di sei anni di carcere per il reato compiuto da un esponente del Governo, esprimendogli “totale solidarietà” e affermando che la richiesta “rappresenta un precedente gravissimo”, è una flagrante e inaccettabile violazione delle norme del diritto italiano e di quello internazionale.
La separazione dei poteri – il legislativo, l’esecutivo e il giudiziario – rappresenta uno dei pilastri di maggiore importanza della nostra Costituzione repubblicana, e la sua violazione è un vulnus gravissimo all’indipendenza della magistratura, uno dei tre poteri. Agli occhi dei cittadini riflessivi ciò che accade nel nostro sfortunato Paese fa apparire il suo governo e le sue istituzioni come una sorta di “cricca”, di “clan”, teso a preservare le proprie prerogative a scapito di ogni buon senso comune e di ogni decenza. La sua composizione, inoltre, è stata anche definita come “familismo amorale”, “amichettismo”, e il singolo curriculum di molti dei suoi componenti sembrerebbe più in sintonia con un’associazione dagli scopi non proprio limpidi e giuridicamente corretti. Allo stato attuale alcuni esponenti di governo sono sotto l’attento scrutinio della magistratura e su una dozzina di altri parlamentari indaga, a vario titolo, la Procura di Perugia in relazione all’attività di accesso illecito alle banche dati e presunto dossieraggio a carico del luogotenente della Finanza Pasquale Striano, fino a qualche mese fa in servizio alla Direzione nazionale antimafia.
Potremmo continuare ancora, ma ci fermiamo qui, anche perché, andando a fondo nella questione, ciò che è ancora più grave della scorrettezza di chi detiene il potere è il fatto che il loro elettorato, l’elettorato di destra, non considera un problema ciò che accade e, come già ai tempi di Berlusconi, si parla di “giustizia a orologeria”, di “persecuzione giudiziaria” e altre amenità del genere. Al riguardo è impressionante il fatto che ad un uomo che è stato processato per quarant’anni della sua vita politica, con 32 processi conclusi e quattro in corso alla sua morte, si intitolino aeroporti, si vogliano innalzare monumenti. Che ciò accada anche in altre grandi democrazie non è affatto consolante, anzi, pone domande la cui risposta dovrebbe preoccupare, e non poco, tutti coloro che considerano la democrazia liberale e le regole dello stato di diritto il fondamento, la base, perché una nazione possa prosperare.
Ci riferiamo allo straordinario caso che riguarda il candidato alla presidenza degli Stati Uniti, Donald Trump. In America, così come in tanti altri stati occidentali, a chi è stato colpito da una condanna, anche lieve per violazioni di leggi o regolamenti, è interdetto l’accesso a certe università, ai concorsi, alla carriera nella pubblica amministrazione e nelle forze dell’ordine. In aperto disprezzo di ciò, invece, ad un politico sul cui capo già pendono altri giudizi, si consente di concorrere alla più alta carica dello Stato, Stato che lui ha proditoriamente attaccato alla base e per cui è stato incriminato, cioè l’assalto al Congresso del gennaio 2021 con l’intento di ribaltare il risultato delle elezioni che avevano assegnato la vittoria al suo avversario Joe Biden. Ciò che ha fatto Trump è di una gravità eccezionale. Per l’ex presidente ci sono quattro capi d’accusa federali: associazione a delinquere finalizzata alla truffa ai danni degli Stati Uniti; cospirazione per ostacolare un procedimento ufficiale; ostruzione e tentativo di ostruzione di un procedimento ufficiale; cospirazione per privare i cittadini dei diritti garantiti dalla Costituzione degli Stati Uniti.
L’accusa è lunga 45 pagine e sostiene che l’ex presidente, nonostante avesse perso le elezioni, “era determinato a rimanere al potere”, e che “ha diffuso menzogne sul fatto che ci fossero stati brogli determinanti per l’esito delle elezioni, e che lui avesse effettivamente vinto”. “Queste affermazioni erano false – si legge nell’atto di accusa – e l’imputato sapeva che erano false”. Che si possa consentire ad un individuo del genere di concorrere – peraltro dopo un primo quadriennio disastroso – alla massima carica dello Stato, sotto qualunque punto di vista lo si consideri, è semplicemente inaccettabile, eppure sta accadendo. Cos’è accaduto all’America di Tocqueville, filosofo, storico e magistrato, che per il grande studioso di politica avrebbe dovuto rappresentare un modello per tutta l’Europa? (Alexis de Tocqueville, La democrazia in America, Utet, 2010).
Ritorniamo in Europa, e precisamente in Austria, dove ciò che sta accadendo ha veramente del surreale; un Paese (non dimentichiamo che era il paese natale di Hitler) nel quale quasi un austriaco su due pensa che con Hitler non tutte le cose andassero male; più di un austriaco su due pensa inoltre che oggi, in libere elezioni, un partito come quello nazionalsocialista avrebbe probabilità di successo. Sono soprattutto i giovani e le persone con istruzione superiore ad esprimere una tale convinzione. Secondo il 61% degli intervistati, alla guida dell’Austria ci vorrebbe “un uomo forte”; l’auspicio è soprattutto degli anziani. L’uomo forte è già stato trovato, si chiama Herbert Kickl, leader di estrema destra, ed è primo nei sondaggi in vista del voto austriaco del 29 settembre, nel quale egli corre per la carica di Cancelliere. È salito alla ribalta internazionale per le sue dichiarazioni sulle SS naziste che secondo lui non sono da condannare. È tanto temuta la sua eventuale elezione, che le autorità ebraiche dell’Austria hanno dichiarato che, se egli dovesse vincere, gli ebrei sono pronti a scappare dal Paese. Allo stesso modo anche in Germania c’è un’ascesa vertiginosa dei partiti di estrema destra, anch’essi convinti, come Kickl, che le SS vadano condannate solo in parte, e che continuano ad avanzare più degli altri moderati e di sinistra, tanto è vero che l’Afd (Alternative für Deutschland) ha vinto le elezioni regionali in Turingia e avanza in altri Land. Un tedesco su tre ha votato Björn Höcke, leader del partito. Non ci meravigliamo, poi, se apprendiamo che in Italia, fidato sostenitore di questi partiti, quello austriaco e quello tedesco, sia il “nostro” Matteo Salvini, socio del partito “Patrioti per l’Europa” dell’ungherese Viktor Orbàn, che ne condivide pienamente il programma comprendente la chiusura dei confini e l’espulsione dei migranti prima ancora di condanne definitive. Non ci meravigliamo e non ci coglie nessuno stupore, particolarmente a motivo del fatto che proprio in questi giorni il “capitano” è sotto processo proprio per avere impedito lo sbarco di migranti, come dice lui orgogliosamente, allo scopo di “difendere il sacro suolo della Patria e i suoi confini”.
È evidente che il “capitano” è un uomo veramente coraggioso: non ha paura nemmeno del ridicolo che suscita quando arringa così le folle, atteggiandosi a moderno Alfred Dreyfus, e vittima di una persecuzione chissà da chi ordita. D’altra parte il “complottismo” fa parte del corredo ideologico della nostra destra casalinga, nella quale la Premier sembra afflitta da “paranoia cospirativa”. Perché non c’è giorno senza che si evochi un complotto, palesemente o attraverso i solerti spifferatori di palazzo Chigi. L’ultimo, dei tanti, sarebbe riconducibile a Bianca Berlinguer. Non per il cognome (che evoca la sinistra), piuttosto per il gruppo editoriale (Mediaset) che ospita l’intervista a Maria Rosaria Boccia, protagonista dello scandalo che ha travolto Gennaro Sangiuliano, complotti orditi dai soliti “poteri forti” che non si riesce mai a sapere chi siano.
In ogni caso, il problema politico è evidente: a Palazzo Chigi hanno paura. Paura dei complotti, delle spie, degli occhiali con telecamera: accade di solito ai dittatori. I bei giorni del potere assoluto sono andati. Nemmeno sulla Rai Meloni riesce più a spadroneggiare, sente tintinnii sinistri ovunque, pure se la signora Boccia annuncia che va a Retequattro, lei la interpreta come una manovra della famiglia Berlusconi. Dà la sensazione di avere difficoltà anche ad affrontare un dibattito parlamentare serio, o anche solo una conferenza stampa decentemente organizzata perché il rischio, come si dice a Roma, è che sbrocchi. Lega e Forza Italia assistono allo spettacolo e non l’aiutano granché. Se sta messa così, c’è da chiedersi per quanto tempo ancora Giorgia Meloni riuscirà a reggere. Ed è una domanda drammatica, per un’ambiziosa come lei.
In definitiva, sembra diventato un serio problema politico lo Stato di Diritto, nel quale la divisione dei poteri è uno dei principi fondamentali insieme alla democrazia liberale. Si tratta della determinazione di tre funzioni pubbliche nell’ambito della sovranità dello Stato – legislazione, amministrazione e giurisdizione – e nell’attribuzione delle stesse a tre distinti poteri dello Stato, intesi come organi indipendenti dagli altri poteri. Sia in Italia che in molte altre nazioni democratiche sembra che questa conquista, che risale ai primi decenni del XIX secolo, stia sempre più perdendo il suo smalto. Nel frattempo prendono sempre più piede non le democrazie, ma le demokrature, nelle quali esiste, sì, lo stato di diritto, ma esso si applica a una sola persona: il dittatore, come accade in maniera evidente nella Russia di Vladimir Putin, nella Cina di Xi Jinping e nella Corea del Nord di Kim Jong-Un, nell’Iran di Ali Khamenei. Paesi nei quali esiste la libertà di parola, ma solo se a pronunciare quella parola è il Capo. Agli altri essa è negata, pena conseguenze gravissime. Nonostante questo, in Italia vi è una forte corrente filo russa, o filo putiniana che dir si voglia, che ha fra i suoi più illustri sostenitori la nostra “vittima” sacrificale che si immola per il bene della Patria.
Stiamo veramente assistendo al declino della democrazia liberale in Italia? A settant’anni dalla nascita, sembra che stiamo vivendo il tempo malinconico dell’autunno. Un tempo in cui il nostro Paese sembra immerso nell’agonia della Repubblica, che sta morendo di corruzione per la stoltezza morale e intellettuale dei suoi governanti, per la superficialità, l’indifferenza, l’ottusità di spirito e l’animo servo di troppi suoi cittadini. Dopo molti secoli sentiamo ancora risuonare le parole di Niccolò Machiavelli: “Veramente nelle città d’Italia tutto quello che può essere corrotto e che può corrompere altri si raccozza: i giovani sono oziosi, i vecchi lascivi, e ogni sesso e ogni età è piena di brutti costumi; a che le leggi buone, per essere da le cattive usanze guaste, non rimediano, da qui nasce quella avarizia che si vede ne’ cittadini, e quello appetito, non di vera gloria, ma di vituperosi onori, dal quale dependono gli odi, le nimicizie, i dispareri, le sette; dalle quali nasce morti, esili, afflizioni de’ buoni, esaltazione de’ tristi” (Niccolò Machiavelli, Historie fiorentine, III, 5).
Tornano alla mente le parole di Pietro Calamandrei che fanno sembrare l’invettiva di Machiavelli non vecchia di secoli, ma di giorni: “La tragedia dell’Italia è la sua putrefazione morale, la sua indifferenza, la sua sistematica vigliaccheria … e le persone civili, che sono tante, sono inerti perché sono scoraggiate, ma in tempi brevi possono tornare a operare”. Oggi, che abbiamo un governo di estrema destra che sembra voler fare strame dello Stato di diritto, non possono non ritornare alla mente anche le parole di Piero Gobetti, secondo il quale il fascismo non era un episodio, ma “l’autobiografia della nazione”, e aggiungeva che “La libertà in Italia è sempre stata fragile conquista perché sono fragili le coscienze”, e quindi ammoniva che “il problema politico italiano, tra gli opportunismi e la caccia sfrontata agli impieghi e l’abdicazione di fronte alle classi dominanti, è un problema morale”. Gobetti pagò con la vita la sua intransigenza morale, e a soli 26 anni ci fu tolto dalla barbarie fascista. Ma possiamo apprendere da lui la lezione che non è sconfitto chi perde, ma chi si arrende. Di fronte alle continue ferite inferte al nostro Stato di diritto, dovremmo seguire il suo esempio. Egli non si arrese mai, e proprio la sua intransigenza è l’insegnamento migliore per chi non si rassegna a vivere da servo.