Cogito, ergo sum

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Cos’hanno in comune il pensiero, la conoscenza e l’ignoranza? Si tratta di tre attività o condizioni della mente umana. La prima di esse fu riassunta nel suo significato più importante in un memorabile motto che ha attraversato i secoli, giungendo fino a noi senza perdere una virgola della sua pregnanza, il notissimo “cogito, ergo sum, sive existo” (penso, dunque sono, ovvero esisto), che dobbiamo a quel gigante del pensiero che fu René Descartes, da noi conosciuto come Cartesio (1596-1650). Il pensiero è la forza più potente che esista, è con esso che si governano i popoli, più che con la forza delle armi, e quando il pensiero è libero di agire, allora da esso nascono le idee, idee che nel corso della storia hanno cambiato il mostro modo di vivere. Il pensiero è un potente agente di cambiamento della realtà. Operando su di esso possiamo farlo interagire con la nostra vita e orientarla. La qualità della nostra vita dipende dall’idea che ne abbiamo. Il pensiero che abbiamo nei confronti degli altri influenza in modo determinante i nostri rapporti. Ciò che pensiamo di noi stessi condiziona ciò che di fatto diventiamo.

La realtà è quello che è: né bella né brutta, né buona né cattiva. Ma i pensieri che coltiviamo rispetto a qualcosa determinano la modalità con cui questa stessa cosa verrà recepita e vissuta, che influenza a sua volta il nostro comportamento, le nostre azioni e gli effetti delle nostre azioni. Il pensiero è strettamente connesso agli altri due componenti della triade: conoscenza e ignoranza. Infatti pensare significa anche conoscere; ignorare è un ostacolo al pensiero perché in tal caso esso non ha basi su cui poggiare. La conoscenza è la base sulla quale si è sviluppata la civiltà umana, l’ignoranza è la sua più acerrima nemica, spesso utilizzata come “arma di distrazione di massa” per conseguire il risultato di tenere l’uomo chiuso nella prigione più angusta: la mancanza di sapere e, quindi, l’impossibilità di scegliere, essendo così obbligati a delegare ad altri questa facoltà, rendendoci così servi invece di essere padroni di noi stessi. Non stiamo parlando di un fenomeno che appartiene ai secoli passati, affatto. Esso è vivo e vegeto e opera fra di noi, in alcuni paesi più che in altri, e viene spesso usato per combattere battaglie di “libertà”, in aperta contraddizione con ciò che è la conoscenza.

È grande l’influenza, e i pericoli, che l’ignoranza porta con sé, tanto da indurre uno dei più autorevoli storici europei, Peter Burke, a dedicarvi un suo libro, dal titolo Ignoranza. Una storia globale (Raffaello Cortina, 2023). Quanto sia importante l’argomento trattato lo chiarisce lui stesso quando afferma che: “La conoscenza è la prima forma di difesa delle nostre democrazie, mentre l’ignoranza è, semplicemente, una mancanza di conoscenza”, quindi una falla pericolosissima nella struttura democratica delle nazioni, in specie quelle occidentali. Come il pensiero è un’arma potente, così lo è anche l’ignoranza che, secondo Burke “è l’arma principale dei leader populisti, il cui esempio più eclatante è Trump, un modello di ignoranza offerta da un capo di Stato. Ma ci sono tanti piccoli Trump nel mondo. E poi c’è l’ignoranza dei molti elettori che li votano, i quali spesso prendono per buone certe fake news senza verificarne le fonti”. Quindi ne ricaviamo che mantenere le persone nell’ignoranza può essere, e infatti è, uno strumento del potere, ed è quanto fanno a proprio vantaggio i regimi autoritari, ma a loro volta le democrazie purtroppo, troppo spesso, difettano di conoscenza, e ciò può costituire un grosso elemento di rischio. Strumento principe, da alcuni anni, nelle mani dei manipolatori di masse sono le fake news che secondo Burke “sono una forma di ignoranza costruita a tavolino, e che sono sempre esistite. Prima si chiamavano menzogne o semplicemente «voci». La differenza è che oggi si possono diffondere ovunque e in breve tempo. Ciò che le rende efficaci è la credulità, la carenza di pensiero critico … Un inganno coinvolge sempre due parti: chi lo pratica ma anche chi si fa ingannare”.

Fra i nemici più acerrimi della conoscenza possiamo includere la religione. Religione non in quanto credere in un dio o in un altro, ma religione in quanto sistema di potere e di coercizione mentale, entrambi necessari per permetterle, o meglio per permettere ai suoi rappresentanti, di tenere asservite le masse. Per millenni le religioni hanno esercitato un ruolo determinante nel tenere ingabbiato il pensiero delle folle, con il timore di atroci punizioni extraterrene (vedi l’Inferno) o di atroci punizioni terrene, come i roghi degli eretici. Di questi potremmo citarne un grande numero, ma ci limiteremo solo a due a mo’ d’esempio. Il primo d’essi è Socrate, il grande filosofo ateniese vissuto quattro secoli prima di Cristo. Socrate era un pensatore e non uno scrittore, che con il suo metodo dialogico distrusse le illusioni e i falsi concetti sulla conoscenza e il sapere che avevano gli ateniesi, cioè la punta più avanzata della civiltà occidentale. Egli li spingeva a pensare per proprio conto, abbandonare i pregiudizi, non farsi condizionare dalla prosopopea dei cosiddetti “sapienti”. Socrate è anche conosciuto per una frase emblematica che ne descrive il personaggio: “so di non sapere”. Il suo principale proposito era quello di educare gli uomini ad acquistare una consapevolezza sempre più rilevante del significato delle loro azioni. In lui la virtù coincideva con il sapere, con la “conoscenza”, la gnosi. Lui era fermamente convinto che il male nascesse dall’ignoranza o da una insufficiente conoscenza del bene, che si può riassumere in un’altra sua frase emblematica: “Nessuno sbaglia di sua propria volontà”. Era del tutto ovvio che a un uomo come lui, che esortava gli uomini a pensare con la propria testa e a non farsi abbindolare dai falsi dèi dei cosiddetti sapienti, non poteva essere consentito di continuare a farlo; ecco perché fu processato e condannato a morte con l’accusa fittizia di empietà. Socrate si sottomise al verdetto senza cercare vie di scampo: bevve la cicuta e se ne andò con serenità, accomiatandosi dai suoi discepoli e consegnando loro il suo lascito immortale.

L’altro esempio di un uomo che, quasi duemila anni dopo Socrate, cedette la sua vita per mantenere la sua libertà di pensiero è Giordano Bruno. Grande filosofo umanista e libero pensatore, nonché sincero credente, le sue idee religiose non erano gradite alle gerarchie ecclesiastiche del tempo, per cui nel 1600 fu condannato a morte dal tribunale dell’Inquisizione e bruciato sul rogo. La sua colpa? Aveva messo in dubbio l’esistenza della Trinità, un concetto cattolico che non trova nessuna base nelle sacre scritture cristiane. Per tale “crimine” fu giudicato eretico e quindi meritevole di morte.

Se pensiamo che Giordano Bruno e tanti altri liberi pensatori come lui siano soltanto un ricordo del passato, ci sbagliamo. Come abbiamo illustrato di recente, il mondo moderno è, per così dire, diviso in due parti che vengono connotate geograficamente: Oriente e Occidente. Con Oriente vogliamo qui indicare le grandi nazioni arabe ed anche altre che non lo sono, come l’India, la Turchia, l’Indonesia e tante altre nazioni non tutte arabe – vedi India e Turchia – ma nelle quali la religione predominante è l’Islamismo, trasgredire ai precetti del quale rappresenta un grave reato, o peccato, che può essere meritevole anche di morte. L’Islam, come il cattolicesimo e il protestantesimo medioevali, condiziona l’intera esistenza dei suoi popoli sotto ogni aspetto: vestirsi, credere, mangiare, pregare, e, soprattutto, pensare. Quindi, i grandi nemici dell’Islam, come lo erano delle grandi religioni cristiane, sono da sempre la gnosi (conoscenza) e il nous (la mente, il pensiero).

Fortunatamente, almeno nel mondo occidentale, con il trascorrere dei secoli, la presa della religione si è fatta sempre meno forte e, simmetricamente, è cresciuta la libertà di pensiero, e quindi la conoscenza e quindi lo sviluppo delle arti, delle scienze, del libero pensiero, dei cui doni oggi godiamo tutti abbondantemente.

Il pensiero è indissolubilmente connesso con la libertà, perché come dice David Hume nella sua Ricerca sull’intelletto umano, “Nulla, a prima vista, può sembrare più illimitato del pensiero umano, il quale non soltanto sfugge ad ogni potere e autorità umana, ma non è nemmeno trattenuto entro i limiti della natura e della realtà … E mentre il corpo è confinato ad un solo pianeta, sul quale striscia con pena e difficoltà, il pensiero può in un istante trasportarci nelle regioni più distanti dell’universo, né v’è cosa alcuna che sia al di là del potere del pensiero, all’infuori di ciò che implica assoluta contraddizione”. Vale veramente la pena leggere l’opera di Hume che, sebbene sia vissuto e abbia scritto quasi tre secoli fa, è attuale come se fosse stata scritta ieri. Non ci rimane molto altro da aggiungere se non che le generazioni che vivono nel mondo d’oggi non sono realmente consapevoli del privilegio che hanno di viverci, privilegio rappresentato dalla libertà di pensare, di conoscere, di operare secondo le proprie scelte ma che, tristemente, stiamo sempre più delegando a tecnologie avanzate che pretendono di sostituirsi alla mente umana, come l’Intelligenza Artificiale. V’è da prestare molta attenzione a ciò che accade intorno a noi perché, anche se inconsapevolmente, pure noi invece di cadere preda del dispotismo religioso, potremmo cadere in quello tecnologico, e non sarebbe un bene!

2 commenti su “Cogito, ergo sum”

  1. Elio Mottola

    Ringrazio caldamente per i complimenti al mio pezzo su Travaglio ma rilancio con un vivissimo plauso a tutti i tuoi articoli recenti, pieni di passione civile e, come sempre, istruttivi, curati ed egregiamente documentati: un impegno, immagino quotidiano, che spero ti gratifichi almeno quanto noi che ne leggiamo con grande interesse i frutti.

  2. Sergio Pollina

    mi hai fatto un po’ arrossire con il tuo commento, ma mi ha gratificato più di quanto tu possa immaginare, e mi è di sprone per continuare, sperando di non deludere chi ci legge, che dalla tua garbata ironia e profonda conoscenza della politica non può trarne che vantaggio.

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