Conosci te stesso

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Su questo giornale si trattano spesso temi politici, nonostante il fatto che parlarne vuol dire immergersi in un mondo che ci appare sempre più alieno, fatto non di argomenti nobili, quali sarebbero quelli di cui dovrebbe occuparsi una politica seria e responsabile, ma di pettegolezzi, di faide intestine, di lotte interne per il potere, di bassezze indegne di una nazione civile come, per esempio, il dibattito che sta animando da diversi giorni la scena politica italiana, le rubriche televisive, i talk show di approfondimento, e con cosa? Con una squallida storia di camera da letto, dalla quale i protagonisti, i comprimari e tutto il mondo che li circonda ne escono, loro con le ossa rotte, e noi con la nausea.

Eppure i lettori più attenti avranno notato che raramente queste pagine si occupano di cronaca, sulla quale ormai purtroppo la nera sovrasta tutte le altre e con sempre maggiore frequenza, portandoci a conoscenza di situazioni e di atti che forse preferiremmo non conoscere, data la loro crudeltà ed efferatezza. Infatti, quando parliamo di cronaca, spesso si tratta di cronaca nera, che ormai dilaga, anche se non è una novità dei nostri tempi, dato che già nei decenni scorsi era uno degli argomenti di maggiore interesse, come, per esempio, i femminicidi che crescono a velocità sempre maggiore, come se nel nostro Paese l’uccisione di una donna, madre, moglie, compagna, sia diventato uno sport nazionale. Di questi argomenti la linea editoriale di www.zonagrigia.it non ritiene di dover parlare, anche perché chi desiderasse approfondirli troverebbe pagine e pagine di giornali che, quotidianamente, sciorinano sotto i nostri occhi tutto ciò che c’è da sapere sull’argomento e che spesso è deprimente. Giornali che, come abbiamo di recente sottolineato, e in particolar modo quelli vicini all’attuale maggioranza di governo, hanno smesso di essere il “quarto potere”, con la nobile missione di educare, informare, plasmare il pubblico dei lettori; non pochi di essi assomigliano a una sentina maleodorante di gossip, di insinuazioni, di lapidazioni dell’avversario, la cui vita viene analizzata al microscopio, al solo scopo di trovarne punti deboli e imbarazzanti che possano soddisfare la pruderie di un certo tipo di lettori.

E allora? Allora conviene partire dal principio che sta alla base di tutto e che, lo abbiamo detto e ripetuto, è la natura umana, in quanto tutto ciò che accade, di bene o di male, non è altri che il risultato dell’azione di uomini che, ritenendosi i padroni del mondo, cercano di costruirlo a immagine e somiglianza di se stessi, ed è un’immagine che non ci piace proprio. L’Uomo, non in quanto “maschio” ma nel senso generale di essere umano, le cui azioni, passioni, opere, pensieri, convinto com’è di essere il padrone della natura e della terra su cui vive, ne sta facendo scempio, accelerandone la “sesta estinzione”. È della natura dell’uomo ciò di cui è opportuno parlare, cioè della natura di noi stessi; è alla nostra introspezione a cui ci dobbiamo dedicare, perché è da essa, dalla sua natura, che deriva tutto ciò che accade.

Nella Dichiarazione d’Indipendenza degli Stati Uniti (4 luglio 1776) è contenuta una frase che dovrebbe rimanere scolpita nei cuori e nelle menti di tutti gli esseri umani. In essa leggiamo che “tutti gli uomini sono creati uguali; che essi sono dal Creatore dotati di certi inalienabili diritti, tra questi diritti vi sono la Vita, la Libertà e il perseguimento della Felicità”. C’è, però, da fare una precisazione. Se per “creati uguali” intendiamo che essi fino al momento in cui vengono alla luce, nei nove mesi di gestazione nel grembo materno, sono uguali, questo è vero. Che nel momento della loro nascita sono tutti uguali gli uni agli altri, vagiscono alla stessa maniera, hanno bisogno del latte materno, delle cure parentali e di tutte le cose necessarie per la loro crescita, sì, sono uguali. Ma tale “uguaglianza” si ferma lì. Perché per un nuovo essere umano che viene al mondo è profondamente diverso il nascere in una tenda di beduini o in un ospedale di New York. Il bambino che nasce in un paese islamico integralista non potrà avere le stesse cose, gli stessi diritti, le stesse prospettive, le stesse opportunità di un bambino che nasce fra le braccia di una madre, donna libera, autodeterminantesi, e di un padre che per lui desidererà il meglio che la civiltà moderna occidentale potrà offrirgli. Un bambino che nasce in Afghanistan ha un destino molto probabilmente fatto di oscurantismo, di odio per il diverso, di fanatismo religioso, di regole e precetti che gli impediranno di sviluppare le sue proprie potenzialità, ma sarà obbligato, senza opportunità di scelta, a diventare come milioni di altri bambini nati prima di lui, per i quali il mondo non è luogo in cui vivere, amare, migliorare, curare, ma solo qualcosa da conquistare e asservire. Lo stesso accade anche in Occidente per i bambini che nascono all’interno di sette oscurantiste nelle quali le norme di vita, le regole, le aspirazioni non sono lasciate alla libera scelta dei singoli membri, ma a quella del guru, del capo carismatico, del “profeta” di turno, come nel caso dei seguaci di Jim Jones, aderenti alla setta del “Tempio del Popolo”, che sterminarono se stessi e i loro bambini, imponendo a tutti un suicidio di massa nel quale perirono più di 900 persone che avevano riposto la loro totale fiducia nel loro “reverendo”. Oppure della setta del “Tempio Solare”, passata alle cronache per un altro orrendo massacro. Potremmo includere anche quella setta americana, convinta da più di cento anni dell’imminente fine del mondo, nella quale sono legge le parole dei loro capi, secondo le quali ad un bambino cui serve una trasfusione di sangue per aver salva la vita, essa dev’essergli negata, perché così stabiliscono i loro precetti essendo essi investiti dell’autorità divina che ne fa i soli, veri e autorizzati portavoce di Dio.

Emerge con chiarezza che, se l’uscita dal grembo materno è uguale per tutti, non lo è ciò che accade dopo, perché non è affatto vero che i bambini che nascono nei contesti che abbiamo appena descritto sono tutti uguali: a molti di loro verranno per sempre negati diritti che, come recita la “Dichiarazione” sono quelli alla libertà e al perseguimento della felicità. Ecco, allora, di cosa dovremmo parlare, a cosa dovremmo interessarci: a noi stessi, perché siamo noi gli artefici del nostro destino, siamo noi esseri umani che, in base alla conoscenza di noi stessi, possiamo scegliere di vivere in un modo che ci darà la felicità o che ce la negherà. “Conoscenza”, parola cruciale, dalla quale, secondo la mitologia ebraica, derivano tutti i mali dell’uomo. Nel libro della Genesi è infatti Dio in persona che nega al primo uomo l’accesso alla conoscenza del bene e del male, riservando per sé questo privilegio e condannando l’uomo a rimanere per sempre soggetto alla potestà altrui nelle scelte cruciali della sua esistenza. La ribellione a questo comando portò, come ben sappiamo, “all’apertura degli occhi” dell’uomo e della donna e alla loro condanna.

La conoscenza è quindi l’elemento fondamentale della vita umana, se la ritroviamo perfino nei miti creativi vecchi di millenni. Essa è anche pericolosa perché sin da quando fu acquisita portò a conseguenze letali per l’egoismo di un dio che non la voleva condividere con la creatura che aveva appena portato all’esistenza. Ecco ciò di cui vale la pena parlare e a cui vale la pena di dedicare il nostro tempo e le nostre attenzioni: all’introspezione. Sappiamo bene che non è nostro potere quello di cambiare gli altri, né sarebbe corretto perché l’uomo ha diritto di autodeterminarsi, anche se volessimo, non potremmo farlo. Non possiamo cambiare i politici, nel senso di intervenire nella loro natura, non possiamo cambiare gli uomini malvagi – che ci saranno sempre – ma una cosa possiamo cambiare, ed è importante: noi stessi, ed è a questo che serve la conoscenza.

Gnōthi seautón: “conosci te stesso”. Questa è la scritta che campeggiava sul pronao del tempio del dio Apollo a Delfi e che per secoli ha influenzato i più importanti pensatori della cultura occidentale: da Socrate a Platone, da sant’Agostino a Kant. Ci esorta a scavare in noi stessi, per trovare la nostra stessa essenza e imprimerle quei cambiamenti che possono aiutarci ad essere persone migliori, e ogni persona che diventa migliore è un passo avanti per l’umanità. Diceva bene Immanuel Kant quando coniò la celebre frase della sua Critica della ragion pratica: “Due cose riempiono l’animo di ammirazione e venerazione sempre nuova e crescente, quanto più spesso e più a lungo la riflessione si occupa di esse: il cielo stellato sopra di me, e la legge morale dentro di me”. Cos’è la “legge morale”? Essa si basa sue due particolarità fondamentali: (1) incondizionatezza: come conseguenza ineludibile del postulato della libertà della vita etica, la scelta morale non può che essere libera e fine a se stessa (autonomia); (2) necessità ed universalità: non può e non deve dipendere in alcun modo dalla situazione contingente e particolare, ma è uguale per tutti alla medesima maniera.

Ogni uomo, e in particolare gli uomini che hanno la responsabilità di guidare altri e di stabilire le loro regole di vita, dovrebbero sempre tenere presente questo “imperativo categorico”, dal quale dipende la qualità della nostra vita. La morale deve basarsi su qualcosa di assolutamente certo e saldo: il dovere. Ognuno infatti percepisce la morale, in modo sicuro e consapevole, come un dovere. L’uomo, quello dotato di ragione, sente di fronte a determinate situazioni di dover compiere una scelta, a cui seguirà il comportamento morale. Anche gli uomini più malvagi, che ancora conservano almeno in parte la razionalità, sentiranno di doversi porre il problema della scelta morale, ovvero di come comportarsi. Questo è il momento che precede ogni reale azione morale. E questo è ciò che viene sempre meno nel giorno d’oggi, anche se i millenni passati non brillavano certo per l’applicazione di questo “imperativo categorico”. Noi pretendiamo da chi ci governa che si comporti secondo rette regole morali; ma non dobbiamo mai trascurare il fatto che chi ci governa, chi decide della nostra vita, è anch’egli un essere umano che dovrebbe guardare in se stesso e fare delle scelte consone alla legge morale e ai suoi doveri pubblici con “disciplina e onore”, come recita l’articolo 54 della nostra Costituzione. Ma, se non procediamo noi stessi a imprimere dentro di noi ciò che chiediamo agli altri, come possiamo pretendere che gli altri lo facciano? Sotto questo aspetto, tutti gli uomini sono uguali e lo sono le loro pulsioni, desideri, debolezze. E, a tal riguardo, possiamo asserire che nel lungo corso della storia vi è stato un sostanziale progresso. Come scrive Hanno Sauer in L’invenzione del bene e del male (Laterza, 2023): “I valori morali che ci legano sono più profondi di quanto pensiamo, mentre meno profondi sono i fossati politici che ci dividono. Con la crescita del benessere e una pace più duratura, le nostre priorità si sono spostate. Il comfort materiale e la stabilità socio-politica hanno messo in moto una dinamica di liberalizzazione a sostegno dei valori emancipativi. I confini della comunità morale si sono estesi comprendendo un numero sempre maggiore di individui, sono state concesse nuove libertà, le norme arbitrarie sono state oggetto di dibattito. Le tradizioni problematiche e le pratiche discriminatorie sono state moralizzate e, se necessario, se ne è raccomandata l’abolizione. Le società moderne hanno potuto permettersi di dare maggiore ascolto ai gruppi marginalizzati e alle loro istanze”. Quindi, quando ci chiediamo di cosa dovremmo interessarci, è opportuno scartare le meschinerie della vita pubblica quotidiana; le chiacchiere vuote che ormai riempiono tutti i mezzi di comunicazione a ritmo continuo, per soffermarci molto di più su ciò che è veramente importante, e che ciascuno di noi deve stabilire per se stesso. Speriamo di riuscirci. E, come disse il grande Virgilio: Audentes fortuna iuvat!

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