Capire l’Islam è una vera e propria sfida per noi occidentali, ma è importante che tentiamo di farlo perché stiamo parlando di una religione distribuita su molti paesi e che abbraccia un quarto dell’umanità, il 25% di 8 miliardi di abitanti della terra, e che con le migrazioni è sempre più presente sia in Europa che negli Stati Uniti. È ormai del tutto frequente e abituale incontrare donne arabe con il chador per le nostre strade, cosa che fino a qualche decennio fa era del tutto inconsueta.
Diversamente da come possa apparire ad uno sguardo superficiale quella dell’Islam, dei musulmani, non è una realtà monolitica, ma presenta diversi aspetti, spesso profondamente diversi tra loro, anche a seconda dei paesi nei quali essi vivono e operano. Ed è questa profonda divaricazione al loro interno che spesso dà risultati contraddittori quando si tenta di capire la realtà vera di questi uomini e donne che, volenti o nolenti, costituiscono una realtà che non si può assolutamente ignorare.
C’è l’Islam di Oriana Fallaci, descritto dalla scrittrice in un momento di profonda rabbia per l’atroce attentato che sconvolse il mondo, perpetrato da un pugno di fanatici talebani al comando di Osama Bin Laden; un Islam che non si può che odiare per l’efferatezza dei suoi crimini e il fanatismo dei suoi aderenti. E c’è, invece, l’Islam descritto da Reza Aslan in un suo recente libro, che è di estrema utilità per tentare di capire la realtà che si cela dietro una congerie di islam diversi che lui descrive efficacemente nel suo lavoro dal titolo appropriato: Non c’è Dio all’infuori di Dio. Perché non capiamo l’Islam (Rizzoli, 2015). Allora anche noi ci chiediamo: perché non capiamo l’Islam?
Probabilmente questa incomprensione è dovuta al fatto che i due Islam non sono conosciuti allo stesso modo, ed è più facile conoscere l’Islam dei fanatici macellai talebani dell’Afghanistan, che con le loro imprese sanguinarie hanno sconvolto il mondo, piuttosto che l’Islam che nel corso dei secoli è stato, per alcuni versi, anche un faro di civiltà. Probabilmente noi abbiamo cominciato a sentirne parlare in senso negativo, quando essi distrussero le due gigantesche statue del Buddha nella valle del Bamiyan, nel 2001, che erano un vero e proprio patrimonio dell’umanità. Il grande fotografo Steve McCurry, in un libro di Gianni Riotta (Il mondo di Steve McCurry), così descrive ciò che accadde: “Per il mondo, la distruzione dei due Buddha ha rappresentato una delle perdite culturali più significative dopo la seconda guerra mondiale, anche in considerazione del fatto che si è trattato di un atto deliberato”. E per dare un’idea dell’importanza di questi due monumenti, McCurry usa un’immagine efficace: “Immagina di tornare in Francia e vedere rasa al suolo la cattedrale gotica di Notre-Dame di Chartres, che iniziarono a costruire nel 1194, quando i Buddha erano già vecchi di secoli. Si arriva dall’autostrada, la cattedrale troneggia a distanza, solenne, magnifica. È gigantesca, domina sull’area circostante e ti chiedi come dovesse essere mezzo millennio fa, circondata solo da capanne e villaggi. I viandanti, i contadini, i mercanti la scorgevano da lontano, ne usavano le guglie per orientarsi, dovevano esserne ammaliati, la cattedrale era una fonte d’ispirazione per tutti. La stessa funzione carismatica svolgevano i Buddha, la loro distruzione sconvolge, come se un ciclo negativo scuotesse il nostro tempo”.
Inoltre, la violenza insensata dei Talebani ha sconvolto il mondo intero quando, nel 2001, vi fu l’attentato alle torri gemelle di New York, che fu, forse, il più eclatante, ma non il solo. Come dimenticare la strage alle olimpiadi di Monaco di Baviera del 1972, o l’attentato al World Trade Center del 1993, e il massacro al Charlie Hebdo di Parigi del 2015, l’atroce sterminio del 7 ottobre 2023 in Israele? Non possiamo e non dobbiamo dimenticare, perché quelle inferte alla carne viva dei nostri concittadini occidentali è una ferita inferta alla libertà; libertà di culto, di coscienza, di pensiero, tutte cose negate a chi fa parte di quel medioevo tenebroso e incomprensibile che è quel tipo di Islamismo, che non è rappresentato soltanto dai terroristi talebani, ma del quale troviamo tracce consistenti anche nelle dittature islamiche di Iran e Iraq e nei terroristi libanesi di Hezbollah. In Iran, per esempio, è ancora severamente proibito alle donne uscire di casa senza il velo tradizionale, lo hjiab, omissione che può portare anche a conseguenze gravi di natura penale. Il velo imposto alle donne non solo è un obbligo, ma rappresenta «uno dei fondamenti della civiltà della nazione iraniana» e «uno dei principi pratici della Repubblica islamica». Con una nota ufficiale il Ministero dell’Interno di Teheran informa che «non c’è stato e non ci sarà alcun ritiro o tolleranza nei principi e nelle regole religiose e nei valori tradizionali». Sottolineando che «l’hijab e la castità dovrebbero essere tutelate per rafforzare le fondamenta della famiglia». E questo vale anche in Arabia Saudita, in Pakistan, nello Yemen e in alcuni stati africani. Nell’Iraq, poi, è fatto obbligo di portare il velo anche alle donne cristiane.
Ma, e questo è più importante, non è così in tutto l’islamismo. Il fanatismo cieco di alcuni macellai non può e non deve farci dimenticare l’esistenza di un altro Islam, quello che, secoli fa, inondò l’Europa della sua cultura e delle sue opere d’arte. Prendiamo, per esempio, la Turchia. La Turchia è un paese musulmano al 90% della sua popolazione, ma questi musulmani sono distanti dai talebani, come lo siamo noi dalle sette oscurantiste che popolano il mondo occidentale, e che si dichiarano cristiane, ma si tratta di cristiani fondamentalisti e integralisti che non rappresentano la stragrande maggioranza dei cristiani delle varie denominazioni che popolano l’Occidente. Michele Serra, in una delle sue “amache” quotidiane nella quale si occupa della condizione delle donne in Afghanistan, descrive in modo commovente la vita di quelle creature, senza speranze né diritti, alle quali, come abbiamo visto, è proibito perfino di cantare: “Mi chiedo quanti dei nostri ragazzi sappiano, e lo sappiano per davvero, che in alcune parti del mondo per le donne cantare, ballare, sciogliere i capelli, andare a scuola, uscire di casa da sole, è reato capitale, rischiano la galera e la morte. Sono proprietà del padre, dei fratelli, del marito, non esistono come persone, sono solo fattrici”.
Serra dice bene, perché parla delle condizioni delle donne nello Stato islamico dell’Afghanistan, uno stato che è grande il doppio dell’Italia, ma con una popolazione di soli 40 milioni di abitanti. Ma stanno così le cose in tutto il mondo musulmano? Se ascoltiamo ciò che ha da dire Aslan al riguardo, probabilmente vedremo le cose sotto una luce diversa: “Non c’è dubbio che il Corano, come tutte le sacre scritture, fosse profondamente influenzato dalle norme culturali della società in cui venne rivelato; una società che, come abbiamo visto, non considerava le donne membri a pari titolo della tribù. Di conseguenza vi sono numerosi versetti nel Corano che, insieme con le Scritture Ebraiche e cristiane, riflettono chiaramente la posizione subordinata delle donne nelle società dominate dai maschi, del mondo antico”. E sotto questo profilo, aggiungiamo noi, non vi è difficoltà a riconoscere che la condizione in Italia, nell’Italia di una volta, agricola e rurale, considerava la donna alla stregua di un animale da lavoro, come nei dieci comandamenti, dove viene assimilata a proprietà dell’uomo come il suo bue e il suo asino, che non aveva libertà di parola e di movimento.
Ma, per quanto possa sembrare strano per chi non è aggiornato sull’argomento, nell’Islam di oggi i movimenti femministi si stanno facendo strada, battendosi per i loro diritti, e si tratta di movimenti in continua crescita. “Le femministe musulmane di ogni parte del mondo si sono adoperate per arrivare a un’interpretazione del Corano e a un’applicazione più equilibrata della legge islamica. La prima traduzione inglese del Corano a opera di una donna, Laleh Bakhtiar, è stata pubblicata di recente, con il plauso della critica, negli Stati Uniti e in Europa, mentre un nuovo manipolo di guida della preghiera e di Imam di sesso femminile è oggi alla testa di congregazioni islamiche, da Toronto a Shangai. Al tempo stesso si è assistito a una crescita costante del numero di donne leader di partito, premier e capi di Stati nei Paesi a maggioranza musulmana, tra cui Mame Madior Boye in Senegal, Tansu Çiller in Turchia, Kaqusha Jashari in Kosovo, Megawati Sukarnoputri in Indonesia, Nurul Izzah Anwar in Malesia, Benazir Bhutto in Pakistan (tragicamente uccisa da un attentatore suicida nel 2007), Khaleda Zia e Sheikh Hasina in Bangladesh. Negli ultimi anni il mondo islamico ha prodotto più presidenti e primi ministri donne di Europa e Nordamerica messe insieme”.
In precedenza abbiamo asserito che l’Islam ha anche rappresentato, per alcuni versi, un faro di civiltà. Ed è vero anche se non è appropriato generalizzare, perché non fu ovunque così. Vi fu un periodo in cui la dominazione araba e poi quella arabo-normanna dilagarono in tutta l’Europa meridionale, segnatamente in Spagna e in Sicilia, lasciandovi tracce profonde – che sopravvivono fino ad oggi – nella lingua, nei costumi, nella cucina, nelle tradizioni. Poiché spaziare in tutto quel mondo non sarebbe possibile nel contenuto di un solo articolo, ed essendo io un abitante della Trinacria, mi soffermerò maggiormente sugli arabi in Sicilia, avendo come guida un profondo saggio che tratta l’argomento, intitolato L’isola di Allah, a cura di Salvatore Tramontana (Piccola Biblioteca Einaudi, 2014). La loro permanenza nell’isola non fu di breve durata, e riguarda i secoli IX-XI, quando essa infine cessò con la loro cacciata da parte di Ruggiero il normanno, primo re delle due Sicilie. Palermo è, senza dubbio, la città più “araba” della Sicilia. Così fu descritta da Ibn Gubayr: “La più bella città della Sicilia, sede del re, è Palermo. Essa è il soggiorno principale dei cittadini musulmani, che vi tengono delle moschee, dei mercati loro propri e molti sobborghi”. (Ibn Gubayr, Scritti di viaggio, XII secolo). In Sicilia gli arabi portarono nell’isola cultura, poesia, arte, scienze matematiche, mediche e astronomiche; monumenti e architetture che oggi l’UNESCO ha incluso tra i più importanti siti dell’Umanità. Oltre al grande impulso culturale alla regione e all’Europa intera dell’epoca, il viaggio sulle tracce arabe in Sicilia ci porta a scoprire anche un lascito economico di primaria importanza, che riguarda il mondo agricolo e gastronomico, con l’introduzione delle colture del riso e degli agrumi, delle melanzane, dei gelsi e del baco da seta; e poi, ancora, opere di bonifica dei terreni e l’intero impianto di canalizzazione idrica che consentì l’uso razionale dell’acqua, oggi ormai dimenticato.
Come mai, ci chiediamo, esiste una così grande diversità nel mondo islamico, sia quello di una volta che quello di oggi, del quale, purtroppo, vediamo prevalentemente gli aspetti negativi che sono quelli ai quali viene dato maggiore risalto? Prima di concludere cerchiamo di abbozzare una risposta, che traiamo dal già citato Aslan, secondo il quale è in atto all’interno dell’Islamismo una forte contrapposizione che ha diviso i credenti; contrapposizione fra due fazioni, quella dei musulmani per così dire “riformisti” e quella dei tradizionalisti alla Bin Laden. Secondo l’Autore, quindi, ciò che, per esempio, è accaduto a New York nel 2001 ha fatto parte di un conflitto in atto fra quei musulmani che si sforzano di conciliare i loro valori religiosi con la realtà del mondo moderno e quanti reagiscono al modernismo e alla riforma ritornando – a volte in maniera fanatica – ai “fondamenti” della loro fede, e vengono pertanto definiti fondamentalisti. Questa “riforma” ha dato origine a una lotta intestina assai più importante per chi debba definire la riforma islamica già in corso in gran parte del mondo musulmano. “La riforma del cristianesimo fu un processo terribile, ma non si trattò, come spesso si è detto, di uno scontro tra la riforma protestante e l’intransigenza cattolica. Fu piuttosto una disputa che aveva come oggetto il futuro della fede; una disputa violenta, sanguinosa, che portò guerra e devastazione in Europa per oltre un secolo. Finora la riforma islamica non si è mostrata differente … Dal punto di vista islamico, peraltro, gli attacchi a New York e a Washington hanno fatto parte di un conflitto in atto tra quei musulmani che si sforzano di conciliare i loro valori religiosi con le realtà del mondo moderno e quanti reagiscono al modernismo e alla riforma ritornando – a volte in maniera fanatica – ai «fondamenti» della loro fede … Lo stesso fenomeno riformistico che cambiò per sempre l’ebraismo e il cristianesimo si sta verificando nell’Islam da quasi un secolo”.
“Le riforme, come insegna la storia cristiana, possono essere eventi caotici e sanguinosi. E la Riforma Islamica ha ancora molta strada da fare prima di essere stabilita. Forse è troppo presto per fare congetture su come il sentimento di anti-istituzionalismo e individualismo radicale che ha conquistato tanti musulmani influenzerà l’Islam negli anni a venire. Ma una cosa è certa: il passato e la sua visione idealizzata, perfezionata e totalmente immaginaria elaborata da quei puritani e fondamentalisti che si sforzano di ricrearla, sono ormai alle spalle … Ci sono voluti molti anni per liberare l’Arabia dai suoi nuovi falsi idoli – integralismo e fanatismo – venerati da coloro che hanno sostituito l’originaria visione di tolleranza e unità di Maometto con i propri ideali di odio e discordia. Ma il processo è inevitabile e l’ondata riformista non può essere fermata. La riforma islamica è già qui. Ci viviamo già dentro”. Un solo commento: Speriamo!