Se vi è un termine che descrive con efficacia lo stato attuale della nostra politica, credo che quello del titolo sia il più calzante. Ma è la stessa storia d’essa, che sin dall’ultimo dopoguerra è stata caratterizzata quasi sempre da uno stato confusionale. Nonostante il nostro non sia uno Stato confessionale, ma una Repubblica laica e aconfessionale, non è sempre stato così. Lo Statuto albertino del 1848, per esempio, all’articolo 1 sanciva che la «Religione Cattolica, Apostolica e Romana è la sola Religione dello Stato» e, successivamente, con il Concordato regolato dai Patti lateranensi dell’11 febbraio 1929, alla Chiesa fu confermato il riconoscimento del cattolicesimo quale religione di Stato in Italia. La stessa data di sottoscrizione di quei patti è significativa e non casuale, in quanto l’11 febbraio 1929 ricorreva infatti il settantunesimo anniversario della prima apparizione di Nostra Signora di Lourdes, a conferma dell’apprezzamento della Santa Sede per la conclusione dell’accordo con colui che il Pontefice definì “l’uomo della Provvidenza”. Ma, nel 1948, la Costituzione repubblicana sancì, in effetti, con l’articolo 3 l’abolizione della religione di Stato in Italia. A ciò si giunse ufficialmente nel 1984, con la revisione dei Patti lateranensi nel Protocollo addizionale, punto 1, del 18 febbraio di quell’anno (“Si considera non più in vigore il principio, originariamente richiamato dai Patti lateranensi, della religione cattolica come sola religione dello Stato italiano”) e con la sentenza n.203/1989 della Corte Costituzionale, che sancisce che la laicità è un principio supremo dello Stato.
Nonostante quanto sopra, da quel tempo e per circa mezzo secolo, il partito dominante nel nostro Paese è stato uno schieramento politico chiaramente confessionale, cattolico, in quanto nel proprio simbolo era raffigurata una croce iscritta in uno scudo, lo scudo crociato della Democrazia Cristiana, che cessò di esistere poco prima degli anni duemila. E oggi?
Oggi la confusione regna sovrana, sebbene con l’avvento al potere del primo partito di estrema destra dalla fine della Seconda Guerra Mondiale, le antiche pulsioni confessionali facciano capolino con sempre maggiore frequenza. E questo non perché nell’italica popolazione vi sia un risveglio religioso – anzi è il contrario, come in tutto il mondo occidentale – ma solo perché ciò fa comodo agli attuali reggitori della Nazione. L’attuale capo del governo ha sempre fatto mostra, sbandierandolo ad ogni pie’ sospinto, il trinomio Dio, Patria, Famiglia, e sottolineando di essere, oltre a una “moglie e una madre”, (moglie non lo è più, perlomeno per adesso) anche una “cristiana”, volendo con questo implicare che gli aderenti al suo partito dovrebbero essere tutti credenti nello stesso dio della loro premier. Ma non solo cristiana, anche “defensor fidei”, come dichiarò orgogliosamente a Orbàn in un incontro a Budapest del settembre 2023, dicendo che “combattiamo per difendere Dio e la famiglia”. In questo tentativo di accaparrarsi le masse di elettori cattolici, è sempre più evidente che un suo vicepresidente non mostra nessuno scrupolo nel dichiarare pubblicamente la sua venerazione per il “cuore immacolato di Maria”, al quale egli affida le sorti del suo schieramento politico.
Ma, a prescindere dal papocchio religioso di questa maggioranza così sfilacciata ed eterogenea, ciò che fa sorgere non pochi interrogativi è la direzione politica che essa imprime al Paese. Il capo di uno dei partiti che fanno parte della colazione di governo, per esempio, Matteo Salvini, è filorusso, o meglio, filoputiniano, cioè un entusiasta estimatore del tirannico dittatore di uno stato che si è sempre proclamato ufficialmente ateo e che attualmente minaccia il mondo con lo spauracchio delle armi nucleari. Insieme all’estrema destra tedesca dell’Afd – che ha stravinto in Turingia – e al Rassemblement Nationale di Le Pen in Francia, Salvini è stato definito “l’avamposto di Putin” nell’Unione Europea. L’Italia non solo è uno degli Stati fondatori dell’Unione Europea, ma è anche membro a pieno titolo della NATO, essendo anche per essa uno dei 12 paesi fondatori, nel 1949, quando sottoscrisse a Washington il relativo trattato. Orbene, se un componente essenziale del governo, di cui è anche vicepremier, insiste che l’Italia esca non soltanto dall’ombrello protettivo della NATO, ma anche da quel miracolo politico che, nonostante tutto, è l’Unione Europea, non soltanto non dovrebbe trovare posto nella maggioranza di governo ma con il suo atteggiamento nel contempo rinnega anche il secondo elemento della triade, cioè “Patria”, in quanto egli mira a sottometterla all’influenza del peggiore dei tiranni oggi in circolazione, emarginandola dal consesso delle nazioni occidentali che, bene o male, costituiscono ancora un faro per un mondo ottenebrato dal fanatismo islamico e dalla grande Cina che ha un solo obiettivo: conquistare i mercati mondiali sottraendoli al mondo occidentale. Un governo che, con i suoi continui tentennamenti su tutto, dimostra quanto sia fragile la sua base e quanto poco avvezzi alla politica – quella vera – siano i suoi componenti, che dovrebbero avere come fine ultimo e solo il bene del Paese. Ma si può dire che lo abbiano veramente a cuore quando sono nel cantiere della maggioranza interventi che mirano a smembrarla, questa Italia, e a renderla sempre più un eterogeneo miscuglio di staterelli, le regioni, che, con la prevista Autonomia Differenziata, si troverebbero a doversi districare fra leggi regionali, leggi nazionali, autonomie varie, con il solo risultato di spaccare sempre di più il Paese che di questo non ha proprio bisogno. Ne uscirebbe malconcio certamente il Meridione e avvantaggiato il Settentrione, ma solo in apparenza, perché la forza di una famiglia, di uno stato, di una nazione è solo una: la coesione. Ce lo ricorda perfino l’uomo di Nazaret, che già 2000 anni fa, in Matteo capitolo 12 disse ai suoi: “Ogni regno diviso contro se stesso va in rovina; ed ogni città o casa, divisa contro se stessa non può durare”.
Era il 1858, quando uno dei più grandi presidenti degli Stati Uniti, Abramo Lincoln, pronunciò il famoso The House Divided Speech, cioè il discorso sulla casa divisa che, basandosi sulle parole del Vangelo, aveva come nucleo centrale proprio l’affermazione che “Una casa divisa contro sé stessa non può reggere”. E infatti non regge. Quando vediamo in atto il tentativo di minare le fondamenta dello Stato democratico, con il costante attacco e la delegittimazione della Magistratura, dalla quale dovrebbe scaturire la giustizia, quando questo attacco, con la proposta indecente del premierato, erode persino le fondamenta dello stato repubblicano mettendo in dubbio la legittimità del suo Presidente, allora dice bene il senatore di uno dei partiti di centro quando afferma che “il centrodestra è diviso su tutto, e in Europa porta l’Italia fuori asse”.
È una lezione, questa, che sembra che chi ha le redini del nostro carrozzone politico sembra non voler capire. E non può volerlo capire perché il vero interesse di chi guida la politica italiana (e non solo quella italiana) non è il benessere della nazione e dei suoi cittadini, a qualunque sesso, etnia, condizione sociale appartengano, ma soltanto quello della conquista e del mantenimento del potere. Ed è facile da capire il perché. Si tratta in buona parte di persone che, se non facessero politica, conterebbero ben poco nella società, persone abili solo nell’esercizio dei mestatori, dei faccendieri, dei politicanti, nel quale hanno fatto esperienza di vita. Uscire dalla politica per loro non significherebbe soltanto perdere le prebende che essa procura, ma essere soltanto uno come tutti gli altri, uno della massa, e questo nessuno d’essi è disposto ad accettarlo. Ed ecco perché la nostra politica si trova in una sorta di ginepraio inestricabile.
Non vogliamo, però, attribuire ogni colpa soltanto all’attuale maggioranza di governo. Anche qui vogliamo attingere alle parole di Cristo, che in un’occasione pronunciò la celebre frase del Vangelo di Giovanni, “Chi è senza peccato scagli la prima pietra”. La domanda che i rappresentanti della minoranza, o dell’opposizione che dir si voglia, dovrebbero anche loro porsi è: che spettacolo stiamo offrendo al Paese? Sembra un carro di Tespi, nel quale dei guitti senza arte né parte continuano a recitare sempre la stessa parte in commedia, finché non finirà in tragedia. Personalmente, anche se mi sforzo di capire, non riesco a districarmi in quello che di recente è stato definito il “campo largo”, che mi ricorda tanto il “campo dei miracoli” di collodiana memoria. In questo “campo largo” si confrontano Matteo Renzi, Italia Viva, Elly Schlein, segretaria del Partito Democratico, Giuseppe Conte, dei Cinque Stelle ed ex presidente del Consiglio, il dem Andrea Orlando e altri. Questi personaggi, ben noti agli italiani, sono anch’essi divisi su tutto. Per esempio, Conte e il suo movimento sono concordi con la Lega nel negare l’invio delle armi in Ucraina, e anche la Schlein, a sorpresa, ha fatto dei distinguo al riguardo. Che gli elettori possano dare fiducia a una compagine che addirittura, mentre fa parte dell’opposizione, non ha ancora trovato direttrici d’accordo, significa pretendere troppo, e infatti gli ultimi sondaggi oltre che ad un calo della fiducia nell’esecutivo, mostrano un calo della sinistra, dei Dem in particolare.
Diciamo “sinistra”, ma cosa vuol dire? In teoria, essere di sinistra dovrebbe voler dire che la sua politica sostiene l’uguaglianza sociale e l’egualitarismo. I suoi aderenti, in genere, percepiscono alcuni membri della società come svantaggiati rispetto ad altri, e ritengono che ci siano disuguaglianze ingiustificate che devono essere ridotte o abolite. Ma si può ottenere un risultato del genere marciando disuniti quasi su tutto? Ritengo insuperabili le parole con le quali Michele Serra avanza una definizione della maggioranza di destra e dell’opposizione di sinistra. In quanto alla destra, eccola: «Liberali, fascisti, socialisti, democristiani. Gente che rispetta la Repubblica insieme a gente che la odia. Nazionalisti e secessionisti. Animalisti e cacciatori. Libertini e omofobi. Il partito delle escort insieme a quello della famiglia, gente che nemmeno si odia, perché per odiarsi bisogna avere qualcosa da spartire o un motivo del contendere, ma alle prossime politiche si presenterà unito senza uno straccio di visione”. E in quanto alla sinistra: “L’altra parte”, come lui la chiama, viene descritta come composta da fazioni pervase da “una spocchia ideologica indivisibile: ognuno si tiene la sua”, che alla fine faranno vincere la Destra. Insomma, una specie di tenzone medioevale tra vermi e galli. L’aspetto curioso è che i cittadini non sono nemmeno sullo sfondo, ma visti come lo erano nell’Ottocento: carne da cannone e non elettori detentori del diritto di voto. Ce n’è a sufficienza per lasciarci disorientati e confusi, ma anche preoccupati. Con una guerra che sta lacerando il cuore dell’Europa, questo non è proprio il tempo dei distinguo pelosi su come sostenere l’Ucraina, perché un atteggiamento del genere potrebbe ripetersi in altre circostanze difficili, che potrebbero riguardare noi italiani; e allora sono certo che vorremmo, senza distinguo, l’aiuto e la collaborazione della “nostra” Europa, della nostra casa comune, della nostra utopia comune, ma proseguendo su questa strada mi sembra difficile, e pertanto concordo con il titolo di un recente libro di Nadia Urbinati, Utopia Europa, (Castelvecchi, 2019) di cui consiglio la lettura per aiutarci a capire il perché di questa impasse in cui ci troviamo, e come uscirne.