In Occidente abbiamo poco di cui vantarci, essendo la storia documentata straripante delle nostre guerre, dei nostri massacri, dell’aver ridotto in schiavitù interi continenti; ma almeno di una cosa possiamo menar vanto, e cioè di avere ormai sepolto sotto la polvere dei secoli quella triste compagna del nostro Medioevo che si chiama intolleranza religiosa. Roghi, torture, inquisizioni, stati teocratici, roghi di libri e di liberi pensatori sono ormai il passato di un retaggio che speriamo non ritorni mai più. L’Occidente, però, non è tutto il mondo, anzi ne è una parte minoritaria. Se si getta lo sguardo oltre i nostri confini ideali, ci rendiamo conto che tutte le atrocità che abbiamo appena descritto, e la loro matrice, continuano a imperare in gran parte del pianeta, mentre con somma incoerenza, anche nelle nostre contrade, nel nostro paese, dettano legge – o vorrebbero farlo – persone che di quell’atteggiamento intollerante e ipocrita ne sono, tristemente, i portatori.
Prima di parlare dei talebani e dei loro ayatollah, quelli veri, che sono responsabili di tenere milioni di persone sottomesse a leggi assurdamente fuori tempo, costringendo interi popoli a piegarsi alle loro farneticazioni, vogliamo dare un’occhiata ai “talebani” di casa nostra, agli intolleranti, agli incoerenti, ai razzisti, dei quali i rappresentanti più insigni appaiono essere individui come Matteo Salvini e il “generale” Vannacci, che con la loro “politica” contribuiscono, insieme a quella della destra attualmente al potere, a tenerci relegati ai margini dell’Europa.
È di questi giorni la spinosa vicenda dell’uso delle armi cedute all’Ucraina dall’Occidente (di cui l’Italia fa parte) che, però, secondo due Stati europei non si vorrebbe che siano usate fuori dai confini ucraini. Manco a dirlo si tratta dell’Ungheria di Orbàn e dell’Italia di Meloni, che si sono guadagnati la riprovazione di tutti gli altri membri dell’UE. Ora, premesso che la guerra è sempre un’atrocità senza giustificazioni, á la guerre comme á la guerre, ovvero, ci si batte con ciò che si ha, senza guardare tanto per il sottile. Non dimentichiamo nemmeno per un istante che l’Ucraina si sta battendo per difendersi da un’aggressione e invasione ingiustificate del suo territorio; per dirla con un po’ d’enfasi, gli ucraini difendono la loro Patria, e poiché si battono contro un nemico immensamente più forte, hanno chiesto aiuto per potersi difendere efficacemente. L’aiuto gli è stato prontamente concesso, anche con forniture belliche, ed ecco il paradosso ipocrita e inaccettabile. Secondo Salvini (e adesso anche Meloni) le armi europee, italiane in particolare, non devono essere usate sul territorio russo. Mosca non dev’essere colpita con armi fabbricate in Italia, mentre Kiev lo può con armi di cui nessuno chiede la provenienza. Le bombe, donate a Putin dalla Corea del Nord e dagli altri stati suoi complici, non vengono forse usate per colpire le città ucraine, i civili ucraini, le centrali idroelettriche ucraine? E perché dovrebbe essere vietato agli ucraini che lottano per la loro vita e sopravvivenza come nazione di lanciare bombe su Mosca, se sulle stesse c’è il marchio made in Italy? Si tratta di una richiesta così assurda che non pensavamo nemmeno lontanamente di doverne parlare, se non fosse che l’argomento è diventato una questione di governo, che è palesemente spaccato in due, con Salvini prono al suo méntore Putin, così come Orbàn, e la sua “alleata” di governo che si trova fra l’incudine e il martello delle pretese del “cazzaro verde” e quelle dell’Europa di Bruxelles. È sua la paternità del comunicato “dal sen fuggito”, secondo il quale è “Confermato l’appoggio a Kiev ma siamo contrari a ogni ipotesi di intervento militare fuori dai confini ucraini”. Comunicato che stava per far deflagrare una crisi diplomatica e politica all’interno della Commissione Europea, ma al quale la “nostra” sorella d’Italia è stata costretta a piegare la schiena perché il suo elettorato non condivide il sostegno dell’Italia all’Ucraina. Il suo elettorato e principalmente le falangi di Salvini e Vannacci.
Nel rivedere uno dei più bei film degli anni ’60, “Vincitori e Vinti”, che si svolge durante il processo di Norimberga ai gerarchi nazisti, non ho potuto non ripensare all’ipocrisia e al doppiopesismo di quel tempo, nel quale i tribunali dei vincitori condannavano i crimini degli sconfitti, e nello stesso tempo assolvevano i propri. La Seconda Guerra Mondiale finì perché gli Stati Uniti decisero di bombardare con ordigni nucleari due città giapponesi, Hiroshima e Nagasaki, polverizzandole e sterminando i loro abitanti; sterminandoli non solo quando le bombe esplosero, ma condannando a morte i superstiti che per decenni continuarono a morire a causa delle radiazioni. A quel tempo, uno degli scienziati nucleari, collega di Einstein, anch’egli contrario all’uso della bomba, il professor Leó Szilárd, in una lettera a quattro mani indirizzata al Presidente F.D. Roosevelt, scrisse: “Se i tedeschi avessero gettato bombe atomiche sulle città al posto nostro, avremmo definito lo sgancio di bombe atomiche sulle città come un crimine di guerra e avremmo condannato a morte i tedeschi colpevoli di questo crimine a Norimberga e li avremmo impiccati”. Non dimentichiamo che gli Stati Uniti erano stati fra i sottoscrittori della Convenzione dell’Aja del 1907, secondo la quale: “I bombardamenti, assieme ad altri attacchi ai civili, si potevano ritenere violazioni delle Convenzioni dell’Aia del 1899 e del 1907, che erano state ratificate dal Senato degli Stati Uniti nel 1902 e nel 1908”. La Convenzione dell’Aja del 1907 concernente le leggi e gli usi della guerra per terra, vigente all’epoca, recitava all’articolo 25: “È vietato attaccare o bombardare, con qualsiasi mezzo, città, villaggi, abitazioni o edifizi che non siano difesi”. Ma ai vincitori tutto è consentito, proprio come si fa con la Russia, che può bombardare i civili ucraini con bombe delle quali a nessuno importa la provenienza, mentre agli Ucraini ciò è vietato. Giorgio Mulè, deputato di Forza Italia, in una recente intervista a la Repubblica ha dichiarato: “È nella libera deliberazione dell’Ucraina difendersi e riappropriarsi del suo territorio. Non sta violando le leggi internazionali, noi diciamo solo che non può farlo con le nostre armi”. Ascoltare queste parole ci trasporta in un mondo di cui non sentiamo di far parte, un mondo in cui i meschini interessi politici – in sintesi, mantenere il potere – prevalgono su quelli umanitari, su quelli della logica, della coerenza, dell’intelligenza. Perché accade questo? Come dice Tommaso Ciriaco: “Il sospetto è che Salvini tenga in ostaggio la linea della premier”.
Salvini, sempre Salvini, un politico che sempre più persone considerano la rovina dell’Italia e che, nonostante tutto, ha ancora la capacità di determinarne i destini. Poco prima l’abbiamo definito un “talebano” in dodicesimo, ovvero un fanatico integralista come quelli che tengono in ostaggio non la nostra premier, ma interi popoli che fanno professione di fede islamica. Popoli che, come ci informa la stampa quotidiana, privano i loro cittadini dei diritti più elementari, come quello all’autodeterminazione o alla libertà di scelta se credere o non credere ai precetti coranici. Una testimonianza dall’Afghanistan ci riferisce che “pochi giorni fa i Talebani hanno emanato l’ennesima legge mortifera contro le donne, dopo averle già costrette in casa, vietando loro scuole, palestre, centri estetici, parchi. Ora devono coprirsi integralmente in pubblico, anche gli occhi e anche in casa se ci sono estranei. Hanno diritto di uscire «solo in caso di necessità». Come narra Myriam, una di loro: “Vado a fare la spesa con mio marito, dico a lui le cose di cui ho bisogno e lui parla con il commerciante, io non posso, altrimenti ci arrestano”. (la Repubblica, 31 agosto 2024). Anche in Occidente esistono le sette, ma si tratta di piccoli gruppi di fanatici, retrogradi, per i quali la scienza è ferma al tempo in cui fu scritta la Bibbia, e le regole di vita sono quelle del Pentateuco. Ma sono, per l’appunto, piccole sette che, comunque, devono sottostare alle leggi degli Stati in cui vivono. Le sette islamiche, invece, incidono su intere popolazioni del mondo musulmano, che tengono in uno stato di abietta soggezione; milioni di persone costrette, pena la morte, a vivere come si viveva in Europa cinque secoli fa, e fanatici che, ogni tanto, “puniscono” l’Occidente con attentati come quelli delle Torri Gemelle e tanti altri, sempre nel nome del Corano e di Allah Akbar.
Per un occidentale tutto questo è semplicemente inaccettabile, eppure lo accettiamo. Anche milioni di musulmani, che vivono in Occidente e godono dei vantaggi delle sue leggi liberali e democratiche, sono indotti a seguire i dettami coranici e vivere come persone di seconda categoria. E, alla luce di tutto questo, mi sento di condividere ciò che scrisse Oriana Fallaci nel 2001, poco tempo dopo l’attentato alle Torri, nel suo celeberrimo La rabbia e l’orgoglio (BUR, Rizzoli, 2023): “Al mondo c’è posto per tutti. A casa propria tutti fanno ciò che gli pare. E se in alcuni paesi le donne sono così cretine da accettare il chador anzi il lenzuolo da cui si guarda attraverso una fitta rete posta all’altezza degli occhi, peggio per loro. Se sono così scimunite da accettare di non andare a scuola, non andare dal dottore, non farsi fotografare, eccetera, lo stesso. Se sono così minchione da sposare uno stronzo che vuole quattro mogli più un harem pieno di concubine, idem. Se i loro uomini sono così grulli da non bere la birra e il vino, pure. Non sarò io a impedirglielo … Ma se pretendono di imporre stesse cose a me, a casa mia … Lo pretendono. Osama Bin Laden afferma che l’intero pianeta terra deve diventare musulmano, che dobbiamo in massa convertirci all’Islam, che con le buone o con le cattive lui ci convertirà, che a tal scopo ci massacrerà e continuerà a massacrarci”. Fallaci riferiva, poi, ciò che accadde durante un Sinodo che il Vaticano tenne a Smirne nell’ottobre del 1999 per discutere i rapporti tra cristiani e musulmani. In quella sede, un eminente musulmano si rivolse ai partecipanti cattolici dicendo: “Attraverso la vostra democrazia vi invaderemo. Attraverso la nostra religione vi domineremo”. Poco prima abbiamo riferito le parole di sdegno della scrittrice nei confronti di uomini e donne di quei paesi, che permettono ai loro imam di costringerle a vivere in uno stato di soggezione perenne. Se a loro piace così, facciano pure, è la sua conclusione. Comprendo benissimo la rabbia di Fallaci, dopo essere stata testimone di un’atrocità inimmaginabile, e il suo orgoglio di essere una donna libera, autodeterminantesi. Ma le sfugge qualcosa, e cioè che se quegli uomini e quelle donne trasgredissero le regole arcaiche e fuori dal tempo sotto le quali sono costretti a vivere, verrebbero messi a morte. Sì, i talebani tengono in ostaggio milioni di persone, come accadeva al tempo del nazismo in Germania e del fascismo in Italia. Quando si era costretti a indossare divise (non importa se si chiamino chador o in altro modo), a inneggiare ai loro capi, anche se intimamente li disprezzavano. Quando i dissidenti erano portati nei campi e poi nei forni.
Quando c’è in gioco la vita, nostra e dei nostri figli, non c’è alternativa se non quella di piegare la testa. Si tratta di sopravvivenza. E non stiamo parlando del passato, ma anche del presente: basta guardare ciò che accade in Palestina dove fanatici musulmani il 7 ottobre 2023 diedero inizio a una guerra di sterminio nella quale le principali vittime odierne sono i loro stessi correligionari.
È di questo che dovremmo indignarci e per cui protestare, non se le bombe con cui gli ucraini si difendono sono fabbricate in Italia o nel Burundi. Quando anche da noi, in Occidente, non ci sarà più spazio per i “talebani” alla Salvini, allora potremo cominciare ad occuparci delle cose serie e di come fare per far sì che milioni di persone, che vivono sotto teocrazie sanguinarie, possano essere liberate dal loro giogo, e che non sia permesso nemmeno a uno iota del loro sistema di vita di attecchire anche da noi.
Sono molto forti, ma anche stimolanti, le parole con le quali Oriana Fallaci conclude la sua narrazione: “Non capite cos’è che gli permette di combattere in modo tanto globale e spietato questa guerra contro l’Occidente? È la passione. La forza della passione, cari miei. È la fede che viene dalla passione. È l’odio che viene dalla passione. Allah-Akbar, Allah-Akbar … per combattere la loro passione, per difendere la nostra cultura cioè la nostra identità e la nostra civiltà, non bastano gli eserciti. Non servono i carri armati, le bombe atomiche, i bombardieri. Ci vuole la passione. La forza della passione. E se questa non la tirate fuori, non la tiriamo fuori, io vi dico che verrete sconfitti. Che verremo sconfitti. Vi dico che torneremo alle tende del deserto, che finiremo come pozzi senz’acqua. Wake up, then! Sveglia, wake up”. Si può non condividere tutto ciò che è scritto nel suo libro, ma una conclusione si potrebbe però trarre, e cioè che invece di batterci ogni giorno in defatiganti e insulse controversie che tengono i nostri governi, e noi, con i piedi saldamente attaccati per terra, ogni tanto dovremmo renderci conto che c’è ancora così tanto da fare per rendere questo mondo un luogo dove vivere in pace e fraternità. A condizione che gli estremisti, di qualunque colore e religione, vengano spazzati via. A cominciare da casa nostra!