Patria e nient’altro

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La destra di Meloni si insediò al governo al grido di “Dio, Patria e Famiglia”. Ma il tempo passa e logora anche gli slogan più suggestivi. Nel giro di poco meno di un anno le sorelle Meloni hanno “ripudiato” i padri dei propri figli riducendo la loro triade identitaria al binomio “Dio e Patria”. Ma i più recenti sviluppi della situazione politica interna vedono crescere l’opposizione dei Vescovi alla barbarie messa in atto dal Governo per ostacolare il salvataggio dei naufraghi da parte delle navi delle ONG: dopo una prima, chiara denuncia delle misure restrittive adottate da Piantedosi, la Conferenza Episcopale Italiana (Cei) ha espresso una ferma condanna dell’autonomia differenziata. Particolarmente duro è apparso il grido di allarme del vicepresidente della Cei, il vescovo Savino, intervistato da la Repubblica il 26 agosto: “Con l’autonomia sarà il Far West. Se affonda il sud affondiamo tutti”. Come se non bastasse, sul tema del soccorso ai naufraghi i vescovi erano passati dalle parole ai fatti progettando addirittura di mettere in mare una loro imbarcazione. L’iniziativa è poi venuta meno perché non condivisa da alcuni vescovi. Bisognerebbe chiedere loro se hanno idea di quanti annegamenti aggiuntivi nascono dal disumano divieto posto alle navi delle Ong di effettuare più di un salvataggio per ogni viaggio e di imporre loro il porto dove attraccare, prescelto in località tali da costringerle ad allontanarsi più a lungo possibile dalle zone di salvataggio. Una legge che grida vendetta ed alla quale, tanto per cambiare, ci siamo abituati. C’è comunque quanto basta perché l’altisonante invocazione della Meloni, pronunciata anche all’estero, si riduca miseramente alla sola “Patria”, che dovrebbe di fatto richiamare soltanto i veri patrioti, cioè quel 4% di elettori nostalgici di FdI, mentre i cattolici caritatevoli e i familisti ortodossi dovrebbero prendere le distanze.

Questi recentissimi episodi si inquadrano nella vocazione all’isolamento della Meloni e dei suoi più stretti collaboratori (la sorella Arianna, Mantovano, Fazzolari e, forse, il cinguettante Donzelli). Alcuna presa di distanza c’è stata, ovviamente, dagli elettori acquisiti attraverso promesse non sempre mantenute, come gli evasori fiscali, i concessionari del litorale balneabile, i tassisti, i no vax, né dagli scomodi alleati di governo pur dovendo cedere talvolta ai loro diktat. Non bisogna però trascurare una fronda interna allo stesso partito della Meloni, dove soffre insieme ad altri, pur non mostrandolo apertamente, un personaggio come Rampelli, emarginato pur essendo stato per anni il “tutore” di entrambe le sorelline. Quando parliamo di isolamento, ci riferiamo innanzitutto alle altre istituzioni a partire dal Capo dello Stato, costantemente inascoltato, fino al Parlamento ridotto quasi a quel “manipolo di bivacchi” minacciato un secolo fa dal Duce (ma non sgradito, in tempi più recenti, a Beppe Grillo). Parliamo inoltre della magistratura che si intende riformare perché condiziona la politica, vecchio e squallido capovolgimento della realtà instaurato da Berlusconi per giustificare le varie leggi “ad personam” confezionate in suo favore da personaggi alcuni dei quali sono ancora in circolazione. Parliamo inoltre dei sindacati confederali con esclusione della solita CISL, opportunisticamente attendista e nel frattempo prona all’azione del governo. Ma anche, per restare nel perimetro sindacale, dell’Usig Rai che rappresenta gli addetti ai servizi informativi e giornalistici dell’emittente radiotelevisiva pubblica, più volte mortificata. E cosa dire dei rapporti con la stampa critica nei confronti del Governo? Ma più si va avanti e più aumentano le istituzioni e gli organi di garanzia che Meloni finge di non vedere: ultima, la Banca D’Italia il cui presidente ha di recente sottolineato l’esigenza di rafforzare l’immigrazione, pena gravi squilibri nel sistema contributivo ed anche in quello produttivo, cosa peraltro già condivisa anche dagli imprenditori leghisti del nordest.

Come se non bastasse l’isolazionismo in àmbito nazionale, dopo un biennio di collaborazione con le istituzioni comunitarie, tollerato malgrado le frequenti strizzatine di occhio della Meloni ad Orban e ai suoi amici sovranisti e l’ostinato, ricattatorio rifiuto di ratificare il Meccanismo Europeo di Stabilità, il famoso MES, la Meloni sta riuscendo ad isolarsi anche in Europa: si è astenuta dal votare a favore della riconferma della Von Der Leyen in difformità dal Partito Conservatore Europeo che l’ha invece sostenuta.

Che la tendenza a fare da sola sia un retaggio del vagheggiato despotismo mussoliniano o una strategia politica o, come probabile, l’altissima considerazione che la Meloni ha di se stessa, resta il fatto che la capacità di mediare tra posizioni ed interessi divergenti è totalmente assente dalla visione della nostra Premier. Compito proprio di chi governa dovrebbe essere quello di unire, di coinvolgere l’intera “Nazione”: un Paese diviso, lacerato, parcellizzato in tanti centri di interesse non ha futuro.

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