Nell’ottavo capitolo dei Promessi Sposi il mite don Abbondio si pone questa domanda, alla quale la sua modesta cultura non gli consentiva di rispondere. È accaduta a me la stessa cosa quando, sfogliando i giornali e scorrendo le notizie sui media, mi sono imbattuto in Irene Cecchini. Ed ecco la domanda: Irene Cecchini, chi è costei, tanto da riempire pagine di quotidiani come se si trattasse di chi ha vinto una medaglia d’oro alle Olimpiadi o avesse fatto qualche clamorosa scoperta scientifica? Niente di tutto questo. Apprendiamo che si tratta di una studentessa ventiduenne del nord Italia, la cui più grande aspirazione è quella di ottenere la cittadinanza russa, e che è stata “onorata” da una conversazione nientepopodimeno che con lo zar di tutte le Russie, Vladimir Putin. Perché dovrebbe interessarci? Il motivo è presto detto, la giovin fanciulla, nel corso di un soggiorno di studio nella patria di Tolstoj e di Dostoevskij, ha maturato la profonda convinzione che “in Russia c’è libertà, e Putin non è un dittatore”, tanto è vero che nel corso del suo incontro con il suo idolo gli ha confessato di essere “innamorata della Russia”: “Per questo Paese ho avuto un vero colpo di fulmine… me ne sono innamorata subito. Quindi ho deciso di venirci a studiare e proseguire il mio percorso di studi e di vita qui. Spero di avere la cittadinanza presto”, aggiungendo, poi, in un’intervista a La Stampa, che “Quella che vedete in Italia non è la realtà, qui si sta benissimo. È un paese libero che dà opportunità a tutti … “Il racconto della Russia illiberale, dittatoriale è una costruzione dell’Occidente che da anni attacca Mosca – ha poi precisato –. L’Occidente ha sempre considerato questo Paese come la pecora nera. La Russia non ha fatto altro che difendersi”. E, ovviamente, quella di Putin contro l’Ucraina non è una guerra di aggressione, ma soltanto un’«operazione militare speciale».
Dopo aver letto questo e molto altro sulla vicenda della giovane studentessa balzata agli onori della cronaca, ci siamo sentiti sinceramente rinfrancati e anche un po’ arrabbiati per il travisamento della verità che la stampa internazionale opera da anni ai danni del “bellissimo e ospitale” paese. Dipingere Putin come un illiberale che mette a tacere il dissenso in maniera brutale, come un guerrafondaio che è assetato di potere e di gloria, è un vero e proprio insulto alla verità, secondo la nostra Irene.
Ma, c’è un “ma”, una sorta di tarlo che rode tutti quelli che da anni, anzi da decenni, seguono le vicende della Russia a partire dalla fine della Seconda Guerra Mondiale, e che si sono fatti un’idea profondamente diversa di quella grande nazione rispetto alle “verità” che ci ha rivelato la studentessa lombarda. Stiamo parlando di politologi, di diplomatici, di storici, di giornalisti e di tutta quella categoria di persone che, libere di esprimersi grazie alla libertà di stampa e d’opinione che esiste nel mondo occidentale, ci hanno trasmesso del paese degli Zar un quadro alquanto diverso da quello che ci viene presentato da Cecchini. E, poi, ci siamo anche ricordati di un certo Aleksej Navalny che, dopo il martirio del gulag (la controparte russa dei lager), dovette lasciare quel “meraviglioso paese” causa morte per avvelenamento. Motivo della sua dipartita? Semplice: non era d’accordo con il modo di governare di Putin, si era permesso di sbandierarlo ai quattro venti, e quindi bisognava estirpare il male alla radice. E che dire di Anna Politkovskaja, assassinata nel 2006, anch’essa per il suo giornalismo libero e “scomodo”? Poco prima di morire aveva dato alle stampe un libro, La Russia di Putin (Gli Adelfi 2005), che Irene Cecchini farebbe bene a leggere. Un estratto di questo volume si potrebbe compendiare così: “Siamo solo un mezzo, per lui. Un mezzo per raggiungere il potere personale. Per questo dispone di noi come vuole. Può giocare con noi, se ne ha voglia. Può distruggerci, se lo desidera. Noi non siamo niente. Lui, finito dov’è per puro caso, è il dio e il re che dobbiamo temere e venerare. La Russia ha già avuto governanti di questa risma. Ed è finita in tragedia. In un bagno di sangue. In guerre civili, io non voglio che accada di nuovo. Per questo ce l’ho con un tipico cekista sovietico che ascende al trono di Russia incedendo tronfio sul tappeto rosso del Cremlino”.
Un nostro giornalista, Giorgio Dell’Arti, ha dedicato un libricino allo “zar”, che ha intitolato Le guerre di Putin (La Nave di Teseo, 2022), anch’esso fonte di ricche informazioni per chi, come Cecchini, insiste nel rappresentare Putin come un mite e innocuo capo di Stato incompreso, e nel quale vengono minuziosamente elencati tutti gli interventi militari, culminati con quello più noto dell’invasione dell’Ucraina. Persone come la nostra studentessa, non sappiamo se in buona fede oppure no, contribuiscono notevolmente alla disinformatia sulla figura del re di Mosca, e non rendono un buon servizio alla verità, che non si basa sui sentimenti o sugli innamoramenti, ma sui fatti. Ed è un fatto inoppugnabile che nella “libera” Russia il dissenso è punito con la morte, come da tradizione consolidata dell’ex Unione Sovietica, proseguita dall’agente del famigerato KGB, assurto poi ai fasti del potere, Vladimir Putin.
Sarebbe interessante, poi, chiedere alla estimatrice di Putin se è disponibile ad incontrarsi con le madri dei quasi 500.000 soldati russi morti nel corso dell’«operazione militare speciale», per chiedere loro se sono state liete che i loro figli siano stati mandati al massacro per il bene della Russia e il trionfo della verità. Ma domande del genere non credo che le varie Cecchini le porranno mai: le risposte potrebbero non piacere, temiamo. E come si suol dire “occhio non vede, cuore non duole”.
Per essere la Russia “un paese libero che dà opportunità a tutti”, sembra veramente strano quello che la Politkovskaja narrava nel numero 665 del giornale Internazionale del 2006, poco prima di essere uccisa: “Sono una reietta. È questo il risultato principale del mio lavoro di giornalista in Cecenia e della pubblicazione all’estero dei miei libri sulla vita in Russia e sul conflitto ceceno. A Mosca non mi invitano alle conferenze stampa né alle iniziative in cui è prevista la partecipazione di funzionari del Cremlino: gli organizzatori non vogliono essere sospettati di avere delle simpatie per me. Eppure tutti i più alti funzionari accettano d’incontrarmi quando sto scrivendo un articolo o sto conducendo un’indagine. Ma lo fanno di nascosto, in posti dove non possono essere visti, all’aria aperta, in piazza o in luoghi segreti che raggiungiamo seguendo strade diverse, quasi fossimo delle spie. Sono felici di parlare con me. Mi danno informazioni, chiedono il mio parere e mi raccontano cosa succede ai vertici. Ma sempre in segreto. È una situazione a cui non ti abitui, ma impari a conviverci: erano queste le condizioni in cui lavoravo durante la seconda guerra in Cecenia, scoppiata nel 1999. Mi nascondevo dai soldati federali russi, ma grazie ad alcuni intermediari di fiducia riuscivo comunque a stabilire dei contatti segreti con le singole persone. In questo modo proteggevo i miei informatori. Dopo l’inizio del piano di “cecenizzazione” di Putin (ingaggiare i ceceni “buoni” e fedeli al Cremlino per uccidere i ceceni “cattivi” ostili a Mosca), ho usato la stessa tecnica per entrare in contatto con i funzionari ceceni “buoni”. Molti di loro li conoscevo da tempo dato che, prima di diventare “buoni”, mi avevano ospitato a casa loro nei mesi più duri della guerra. Ormai possiamo incontrarci solo in segreto perché sono considerata una nemica impossibile da “rieducare”. Non sto scherzando. Qualche tempo fa Vladislav Surkov, viceresponsabile dell’amministrazione presidenziale, ha spiegato che alcuni nemici si possono far ragionare, altri invece sono incorreggibili: con loro il dialogo è impossibile. La politica, secondo Surkov, dev’essere “ripulita” da questi personaggi. Ed è proprio quello che stanno facendo, non solo con me”. Pochi giorni dopo aver rilasciato questa intervista, Anna Politkovskaja fu freddata a revolverate da sicari di Putin. Lo stesso Putin che di recente ha minacciato di sganciare ordigni nucleari sulle capitali europee, come rappresaglia per le loro forniture di armi all’Ucraina. Cosa penserebbe la signorina Cecchini vedendo levarsi un fungo atomico sul Colosseo o sull’altare della Patria, dove una volta c’era la città di Roma?