Parole, parole

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Gli esseri umani sono l’unica specie vivente dotata della facoltà della parola per comunicare tra loro; ma ciò non vuol dire che ne siano prive tutte le altre specie; ognuna d’esse comunica efficacemente con i suoi simili senza alcun problema. Da milioni di anni tutte le specie viventi, senza spiccicare una parola, continuano a vivere, ciascuna nella propria nicchia ecologica, nel pieno rispetto della natura che le circonda, chiedendo solo d’essere lasciate in pace.

All’uomo questo non è consentito, purtroppo. E qui trova piena validità il detto “ne uccide più la lingua che la spada”, che già millenni fa era contenuto nel libro biblico del Siracide (considerato apocrifo) che così si esprimeva: “Sotto i colpi della spada caddero molti, ma non tanti quanti soccombettero per la lingua” (28:18).

Da tutte le parti siamo circondati da una cacofonia assordante di parole, e chi volesse districarsi nel ginepraio d’esse difficilmente troverebbe la via d’uscita. Molto spesso le parole in libertà, pronunciate senza riflettere sufficientemente, sono la causa di tragedie familiari che spesso finiscono in un bagno di sangue. Ma – ed è facilmente comprensibile – le parole con il maggiore impatto, le parole che a volte hanno come esito finale guerre sanguinose, sono quelle pronunciate da individui che del dispiegamento del potere che detengono, ne fanno il peggior uso possibile.

Ne abbiamo già parlato in passato, ma è necessario tornarci sopra. Noi cittadini non abitiamo le “stanze del potere”, non abbiamo la minima idea delle conversazioni che vi si svolgono, e a volte ne veniamo a conoscenza soltanto dai risultati che si abbattono su noi come un’ascia, quando non ci è possibile in alcun modo reagire. A allora? Allora esiste da secoli una professione, di cui parlò perfino Honoré de Balzac, grande giornalista e scrittore del XIX secolo dedicandovi un libello intitolato proprio I giornalisti. In effetti, in quello scritto l’autore dileggiava perfino sé stesso, con questa icastica frase: “Se la stampa non esistesse, non bisognerebbe inventarla”. Astrazion facendo dai motivi per cui de Balzac intinse la sua penna avvelenata nei confronti della stampa, questo prezioso pamphlet è una delle cose più durature che gli sono sopravvissute, una sorta di antropologia del complicato intreccio fra politica e quarto potere nella società borghese, dove arrampicatori e corrotti, cinici uomini di Stato e vanitosi tromboni usano la stampa per le loro scalate sociali.

Il ruolo della Stampa, nel mare delle parole che ormai si riversano senza freni su di noi, dovrebbe essere quello di ermeneuti, ovvero di traduttori in pensieri e concetti accessibili ai comuni lettori, privi di competenze specifiche nel campo della politica (interna ed estera), dell’economia e di altre materie complesse, gli astrusi sproloqui che politici di bassa lega (il gioco di parole non è casuale!) appartenenti alle ormai svariate decine di formazioni “tribali” (perché così è diventata la politica di casa nostra) ci propinano quotidianamente a loro uso e consumo. Le parole, di prammatica, dovrebbero servire a chiarire, a spiegare, ma molto spesso oggi, e in alcuni paesi più che in altri, servono a coprire, a nascondere, a mascherare le malefatte del potere. Ci sono paesi al mondo, e la Russia è uno di questi, dove la stampa – quella libera – è morta e sepolta e le uniche informazioni che il popolo è autorizzato a ricevere sono quelle di regime, che ha basato la sua ascesa su un castello di menzogne per tenersi buono quello che è più corretto definire “gregge” che cittadini. Ai cittadini spetterebbe la verità, al gregge solo ciò che decide il proprietario. Il proprietario, in questo caso il despota Putin, una cosa l’ha capita bene, come l’avevano capita altri prima di lui, ovvero che più che l’incompetenza militare o la rabbia pubblica, è una stampa libera a poter condannare la sua presidenza. E oggi non c’è più nessuno a smentire le sue bugie. Gli fanno compagnia altre tristi figure, che come lui considerano il loro popolo come servi obbedienti ai quali non deve essere fatto leggere o apprendere nulla di ciò che può dar fastidio al regime. Dal piccolo stato terroristico della Corea del Nord, passiamo al gigantesco Stato della Cina, nel quale al miliardo e mezzo di suoi abitanti è proibito severamente l’accesso ad una stampa libera e indipendente. E poiché non può esservi democrazia senza una stampa libera e indipendente, è del tutto ovvio che i paesi che abbiamo appena menzionato non sono e non potranno mai essere delle democrazie, eppure noi continuiamo a fare lucrosi affari con loro. Passiamo adesso al nostro Paese.

A qualunque ora del giorno e della notte, le emittenti televisive brulicano di Talk Show, nei quali “giornalisti” di opposte fazioni con torrenti di parole cercano di sopraffarsi reciprocamente fino a che il telespettatore, stanco, non cambia canale, senza avere appreso nulla. Uno dei più grandi vulnus alla libertà di stampa lo dobbiamo alla nascita dei grandi monopoli televisivi privati. Chi, un tempo, aveva solo il TG1 per apprendere cosa accadeva nel mondo, a meno che non comprasse diversi quotidiani al giorno per sentire le varie campane, riceveva informazioni avvolte nella carta regalo della Democrazia Cristiana. Ma, all’improvviso, ecco che arriva il liberatore! Agli italiani fu fatto un regalo assolutamente inaspettato: tre reti televisive fra le quali scegliere e non solo quella che passava il convento, con tre telegiornali e, per di più, senza canone. Furono in pochi, a quel tempo, a chiedersi come mai tanta munificenza da parte di un oscuro imprenditore (fino a quel momento) del profondo nord. La risposta l’ebbero qualche anno dopo, quando la “stampa libera” di Berlusconi aveva ormai irrimediabilmente inquinato le acque dell’informazione nostrana, piegandola alle esigenze del suo capo e padrone, consentendo che venisse alla luce il cosiddetto “impero mediatico” di Mediaset. E se c’è un impero dev’esserci anche un imperatore, il che è in profondo contrasto con una stampa che non deve conoscere né imperatori, né re, né altri proprietari di ciò che viene pubblicato.

Perché la libertà di stampa (e conseguentemente, di parola) è così importante, e perché è minacciata nel mondo? La libertà di stampa è minacciata o in declino proprio perché è così importante per la democrazia. I governi autoritari vogliono mantenere il potere sopra ogni cosa. Il fatto che siano tanto spesso incredibilmente corrotti quanto incompetenti, dovrebbe effettivamente mettere in pericolo la loro presa sul potere, a condizione che ai cittadini venga data la verità. Ma quando non c’è una stampa libera, quando il flusso di informazioni è controllato dal governo o dagli oligarchi, la gente riceve un’immagine distorta di quello che accade. A volte questo accade quando la stampa è sotto il controllo governativo, altre, invece, quando per libera scelta si trasforma in organo di partito, perdendo così la sua imparzialità, ed è questo il caso del nostro Paese, nel quale le parole, travasate su carta da professionisti della disinformatia, divengono pietre, e colpiscono gli sprovveduti lettori che si fidano del quotidiano che leggono e che, man mano, si costruiscono un’opinione basata prevalentemente su fake news. È, per esempio, il caso di Donald Trump, un parolaio inarrestabile dalla cui bocca vengono vomitati quotidianamente torrenti di bugie, in assoluto dispregio della verità dei fatti. Per fortuna, nel suo paese, esiste, ed è sempre esistita, una stampa esercitata da reporter coraggiosi che, incuranti dei pericoli personali, non si sono mai tirati indietro nel narrare i retroscena più sordidi della politica governativa e, chi volesse, può leggerne un dettagliato resoconto in un libro che ho già raccomandato per la lettura, Paura. Trump alla Casa Bianca, di Bob Woodward che, nel 2018, dipinse un quadro realistico e veritiero di ciò che accadeva durante il primo governo del Tycoon, e che presenta un uomo indecente, rimbambito più di Biden, ossessionato dal potere, contrario ad ogni dissenso, che avrebbe potuto condurre il suo paese alla rovina. Nonostante le minacce e le intimidazioni, Woodward non si tirò indietro e raccontò a tutti la verità. Ciò richiama alla mia mente un vecchio film del 1952, L’Ultima minaccia, nel quale Humphrey Bogart impersona il coraggioso direttore di un giornale, deciso a smascherare le oscure trame di chi voleva coprire affari sporchi, minacciando la sua stessa incolumità fisica. Sono memorabili le parole con le quali il protagonista risponde con ironia a chi voleva impedirgli di portare a termine il suo lavoro con una frase ormai diventata famosa: “È la stampa, bellezza, e tu non puoi farci niente!”.

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