Una famosa frase di Federico García Lorca recita: “Il teatro è poesia che esce da un libro per farsi umana”. Eduardo De Filippo, grande maestro del teatro italiano, ha incarnato questo concetto nella sua opera permeandola d’umanità. A differenza del padre, Eduardo Scarpetta, le opere di Eduardo partono spesso da situazioni particolari e divertenti, per poi evolversi in riflessioni sarcastiche e amare sulla condizione umana.
Nella sua poetica prebellica, Eduardo esplora temi simili ai registri teatrali pirandelliani, focalizzandosi sull’uomo e le sue mille maschere indossate per presentarsi in società. Un esempio significativo di questo approccio è la commedia del 1924 “Uomo e galantuomo”. Qui, De Filippo ritrae personaggi che, per necessità o per convenzione sociale, assumono diverse identità e comportamenti, rivelando l’ipocrisia e le contraddizioni della vita quotidiana. Nel dopoguerra, Eduardo evolve come vero intellettuale, presentando capolavori che sfidano i dati oggettivi di tempo e luogo. Lavori come “Napoli milionaria!” e “Filumena Marturano” rappresentano questa maturazione artistica. Queste commedie affrontano temi universali come la sofferenza, la speranza e la resilienza, trascendendo i confini geografici e storici per parlare all’umanità intera.
Una commedia però mi ha sempre colpito più di altre in quanto mi appare come un impossibile dialogo tra la napoletanità olografica del primo trentennio del Novecento, illustrata da poeti del calibro di Salvatore Di Giacomo, Ferdinando Russo, Libero Bovio, e la futura città disincantata di Rea, Morante, Malaparte. L’opera in questione è “Questi fantasmi!” del 1946. In questa amara commedia, Eduardo riesce a catturare lo spirito di una Napoli in bilico tra il passato sentimentale e il presente crudo e smaliziato del dopoguerra.
“Questi fantasmi!” riflette sulle illusioni e le disillusioni dei suoi personaggi, utilizzando il fantasma come metafora delle speranze perdute e delle promesse non mantenute, insomma come vera personificazione del disincanto. Come noto a tutti, la trama si svolge in un vecchio palazzo napoletano, dove il protagonista, Pasquale Lojacono, si trasferisce con la giovane moglie Maria, accettando di vivere lì gratuitamente in cambio di fare la guardia alla proprietà, che si dice infestata dai fantasmi. Al suo arrivo nella immensa abitazione il portiere dello stabile gli racconta la storia dell’anima dannata che infesta i luoghi, il grande di Spagna Los Derios macchiatosi di uxoricidio. In un crescendo parossistico il portiere narra ad un sempre più impaurito Lojacono di come l’uomo tradito abbia fatto murare viva la moglie ed il suo drudo in una delle camere della casa.
Lo scrittore, per creare la storia dell’appartamento infestato, fonde due leggende legate a due diversi palazzi dei decumani. Quella di Maria d’Avalos, moglie fedifraga del grande musicista Gesualdo da Venosa, barbaramente uccisa dagli scherani del coniuge, insieme al suo amante Federico Caracciolo e abbandonata nuda sulle scale di Palazzo Sansevero. L’altra dimora storica, famosa per la presenza di un fantasma, è Palazzo Spinelli dei principi di Laurino. La leggenda vuole che la magione sia infestata dallo spirito di una giovane damigella di nome Bianca, un’orfana adottata dal duca Troiano Spinelli, padrone di casa. Bianca morì tra gli stenti murata viva all’intero di una delle tante stanze del palazzo, a deciderlo fu la spietata moglie del duca, Lorenza, gelosa della giovane che aveva conquistato il cuore del marito.
Tornando al testo eduardiano, Lojacono viene presentato come un uomo convinto che le presenze ultraterrene siano solo frutto di suggestione popolare. Tuttavia, quando il protagonista comincia a sentire strani rumori e a vedere cose inspiegabili, inizia a credere davvero ai fantasmi. Infatti si ritrova nelle giacche mazzette di banconote e crede di aver dato una svolta alla sua vita.
Altro chiaro riferimento a una figura liminare molto conosciuta e temuta dai napoletani: ‘o munaciello, spirito domestico che indossa abiti da domenicano, noto per i suoi comportamenti imprevedibili, che a volte lascia soldi come dono. Guai però a rivelarne la presenza agli estranei! Si perderebbe ogni privilegio concesso dallo spirito ed inizierebbe un’escalation di sfortunati eventi…
Chi è Pasquale Lojacono? Un povero illuso che rifiuta d’accettare la prosaica realtà: la bella moglie lo tradisce sotto i suoi occhi con il ricco amante ed i soldi che si ritrova tra le mani sono il prezzo del suo silenzio, della bieca connivenza? Oppure è veramente affascinato dall’idea di spettri benevoli, il quale si autoconvince che gli spiriti siano reali e che stiano cercando di aiutarlo? La commedia si sviluppa attraverso una serie di malintesi e situazioni comiche, ma anche amare riflessioni sulla disperazione. Nella scena finale Pasquale torna a casa di notte e scorge un uomo uscire dalla stanza con mosse lente e studiate, sparendo nella penombra verso il balcone. Convinto di aver incontrato il suo benefattore inizia a raccontare la sua versione che fuga nello spettatore ogni dubbio: «La casa me la diedero gratis perché nessuno la voleva più. Non dissi niente a mia moglie per non spaventarla. Infatti tu ti facesti vedere solo da me, da lei no. In seguito mi hai aiutato, mi hai messo su la casa, soldi quanti ne volevo… Ma poi, da un momento all’altro, sei sparito e mi hai lasciato privo di tutto. Tu mi hai procurato un tenore di vita che da solo non posso sostenere: Aiutami!… Tu sei un’anima buona e non puoi capire… Non ho mai potuto regalare a mia moglie un bracciale, un anello, nemmeno il giorno del suo compleanno. Non sono mai riuscito a mettere insieme i soldi per portarla al mare. Certe volte le ho dovuto negare un paio di calze di nylon… E se tu sapessi quanto è triste, per un uomo, nascondere la propria umiliazione con una risata, una barzelletta. Il lavoro onesto è doloroso e misero… e non sempre si trova. E allora sento che la perdo, la perdo ogni giorno di più… E io non posso perderla! Maria è la mia vita!… E tu capisci che non ho il coraggio di dirglielo… perché il coraggio te lo dà il danaro… e senza danaro, si diventa timidi, paurosi… senza danaro si diventa delle carogne! … Con un altro uomo, con uomo vivo come me, non ne avrei mai parlato, ma con te sì, tu sei un’altra cosa. Tu sei al disopra di tutti i sentimenti che ci condannano a non aprire i nostri cuori l’uno con l’altro: orgoglio, invidia, superiorità, finzione, egoismo, doppiezza… Con te non ne sento. Parlando con te mi sento più vicino a Dio e mi sento piccolo, piccolo … mi sento una nullità… e mi fa piacere sentirmi una nullità, cosi posso liberarmi del peso del mio essere che mi opprime!»
Pasquale Lojacono rappresenta la Napoli del passato che, a differenza delle apparenze, conosceva la “fatica del vivere” ma che comunque lasciava spazio all’immaginazione, credendo possibile la presenza dei “munacielli”. Egli incarna un mondo in cui l’innocenza quasi fanciullesca può coesistere con la maturità, in una società che accetta la magia e la superstizione come parte integrante della vita quotidiana. Al contrario, tutti gli altri personaggi, e noi spettatori, rappresentiamo la modernità scettica e cinica, più propensa a tollerare le azioni più bieche piuttosto che ammettere la possibilità di un’innocenza duratura. In “Questi fantasmi!” Eduardo De Filippo ci mette di fronte a una riflessione profonda sulla condizione umana e sulle illusioni che la sostengono, ponendo la domanda se sia meglio vivere con una dolce illusione o affrontare la dura realtà senza filtri. Attraverso Pasquale, Eduardo ci mostra che, nonostante tutto, l’animo umano ha bisogno di credere in qualcosa di superiore, di immaginario, per affrontare la difficile banalità della vita. Pasquale è un uomo che, pur consapevole della sua realtà fatta di tribolazioni, ha la forza di mantenere viva la speranza e l’illusione, anche in un mondo disincantato…
Digressione …
Dal punto di vista di Camus, il personaggio di Pasquale Lojacono potrebbe essere visto come un esempio dell’uomo assurdo che cerca di dare un senso a un mondo privo di significato intrinseco. La sua scelta di credere nei fantasmi e nelle illusioni potrebbe essere interpretata come un tentativo di ribellarsi all’assurdità della vita, creando un proprio significato in un mondo che ne è privo. Camus avrebbe probabilmente apprezzato la resilienza di Pasquale nel mantenere viva la speranza nonostante le circostanze avverse, vedendola come una forma di rivolta contro l’assurdo.
Sartre, d’altra parte, avrebbe probabilmente interpretato le azioni di Pasquale come una forma di “malafede”, un concetto chiave nella sua filosofia. Per Sartre, la malafede è l’auto-inganno attraverso il quale le persone negano la loro fondamentale libertà e responsabilità. In quest’ottica, la scelta di Pasquale di credere nei fantasmi potrebbe essere vista come un rifiuto di affrontare la dura realtà della sua situazione e di assumersi la responsabilità delle proprie azioni e scelte.
Tuttavia, entrambi i filosofi avrebbero probabilmente concordato sul fatto che la commedia di De Filippo mette in luce l’autenticità dell’esperienza umana e la lotta per trovare un significato in un mondo che spesso sembra privo di senso. La tensione tra l’illusione e la realtà, tra la speranza e il disincanto, riflette le preoccupazioni esistenziali che erano al centro del pensiero sia di Camus che di Sartre.
In conclusione, “Questi fantasmi!” può essere vista come una potente esplorazione dei temi esistenzialisti, mettendo in scena il conflitto tra la ricerca di significato e l’accettazione dell’assurdo, tra l’autenticità e l’auto-inganno. Attraverso il personaggio di Pasquale Lojacono, De Filippo ci invita a riflettere sulle nostre stesse illusioni e sulla nostra capacità di affrontare la realtà, temi che risuonano profondamente con le riflessioni filosofiche di Camus e Sartre.
Grazie Raffaele per il tuo commento così profondo. È affascinante vedere come il personaggio di Pasquale Lojacono possa essere interpretato attraverso le lenti della filosofia esistenzialista.
Grazie e complimenti. Anche il dubbio che Eduardo lascia agli spettatori: lui sa o non sa dell’amante della moglie? È una cosa che Eduardo ripete in altre commedie come Non ti pago. Il cane dei Frungillo l’ha ucciso lui o no? Saluti.
Innanzitutto grazie mille per il commento. Come ogni grande opera intellettuale anche quelle di Eduardo si prestano a più chiavi di lettura. Credo che questa complessità continui a rendere le sue opere attuali e profondamente umane.
Cordiali saluti!