Giornalisti o pennivendoli?

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Quella del giornalismo è – o dovrebbe essere – una professione nobile, e con il tempo si è meritata la definizione di “cani da guardia del potere” (watchdog journalism). Ma è sempre così, o meglio, è sempre stato così? Insieme alla perdita dei valori e dell’etica che caratterizza il mondo in cui viviamo, anche il giornalismo sembra essersi piegato, ed in buona parte è diventato vassallo del potere e non guardiano.

Il giornalismo ha una funzione essenziale nei sistemi democratici, perché dà modo al popolo, ai cittadini, agli elettori, di conoscere nel profondo gli arcana imperii della politica. Il giornalismo vero ha la funzione di raccontare i fatti, non imbellettandoli a seconda del partito di appartenenza del cronista. Poiché in Italia, e in Occidente, una delle grandi conquiste è stata la libertà di stampa e quindi di pensiero e di manifestarlo in qualunque forma, il giornalista che racconta un fatto e che ne ha le prove, deve rigorosamente attenersi alla verità. Che a scrivere di un omicidio, di una strage, di una corruzione sia un giornalista di sinistra, di destra o di qualunque altra formazione politica, non per questo il fatto può assumere connotazioni diverse per sostenere una o un’altra tesi. Capita ormai sempre più spesso, nel nostro Paese, che leggendo la narrazione di ciò che è avvenuto in Parlamento, o le dichiarazioni rilasciate da ministri o alti funzionari, a seconda della testata che esaminiamo, ci troviamo quasi sempre di fronte ad una palese distorsione della verità dei fatti. Lo stesso fatto, le stesse parole, il resoconto degli avvenimenti sono molto spesso presentati sotto una luce profondamente diversa. È evidente che non pochi nostri giornalisti hanno dimenticato l’etica e l’onore e si sono sdraiati ai piedi del potente, o dei potenti, di turno.

Quando si parla di giornalismo d’inchiesta non può non essere ricordato il clamoroso caso del Watergate, nel quale il “nemico” dei giornalisti Bob Woodward e Carl Bernstein era addirittura il potentissimo presidente degli Stati Uniti, Richard Nixon. Chi volesse leggerne in dettaglio la cronologia degli avvenimenti che portarono alla destituzione di Nixon (impeachment) può farlo leggendo il racconto che i due cronisti ne hanno fatto in Tutti gli uomini del Presidente (Res Gestae, 2012). Lo stesso accadde anche con i Pentagon Papers (1971), documenti segretissimi che dimostravano come ben quattro presidenti, compreso quello in carica, avevano spudoratamente mentito al popolo americano sulla guerra del Vietnam. In quel caso il “cane da guardia” fu rappresentato dal noto quotidiano The Washington Post e dai suoi coraggiosi editore e direttore.

Quello di cui stiamo parlando è il giornalismo d’inchiesta che ha un ruolo cruciale nella democrazia. Affinché i cittadini possano fare scelte informate nelle elezioni devono sapere esattamente cosa sta succedendo nel loro paese. I politici rispettano le regole? I fondi pubblici sono utilizzati male? Gli interessi delle lobby esercitano un’influenza sleale sul processo legislativo? Probabilmente siamo rimasti in pochi, ma ancora c’è gente che legge i giornali, e da essi si fa un’opinione di ciò che accade nel paese. Purtroppo i giornali italiani sono come la Bibbia, a secondo della teologia del traduttore, dei documenti a sua disposizione e delle falsificazioni che ne hanno costellato il cammino, chi volesse farne uso per sapere come si svolsero realmente i fatti di duemila anni fa, deve lasciare “il libro sacro” e affidarsi agli storici, ai linguisti, agli archeologi, insomma gente che non deve difendere niente se non la verità fattuale.

Credo che sia inutile stilare una lista di proscrizione nella quale includere fogliacci senza valore, come ha fatto la nostra Presidente del consiglio. I lettori attenti e preparati sanno distinguere il grano dal loglio, le fake news dai fatti reali.

Ma non solo questo: è una triste realtà che i giornali oggi sono quasi esclusivamente fogli di gossip. Il cittadino che vuole leggere articoli di politica estera che lo aiutino a capire cosa sta succedendo nel mondo, si trova a sfogliare pagine intere riguardanti vicende amorose di personaggi del mondo dello spettacolo. Per non parlare delle Olimpiadi, che una volta erano un appuntamento veramente importante, tanto è vero che nella Grecia antica durante il periodo dei giochi si sospendevano pure le guerre. Adesso i giornali di “destra” non fanno altro che ridicolizzare Macron e le sue “manie di grandezza”. A straparlare della Senna che è una fogna, del “sesso degli angeli”, o meglio del sesso delle pugili, come se si trattasse di un argomento di vitale importanza.

Se, poi, ci trasferiamo dall’altra parte dell’Atlantico, ci rendiamo immediatamente conto che negli Stati Uniti non è in corso una sana competizione elettorale, ma una gara a chi le spara più grosse, a chi riesce con machiavellici escamotages a infangare l’avversario, senza tener conto di onestà, morale, etica e verità. Basta leggere alcuni titoli sull’ex presidente Trump (Fuoco e furia, di Michael Wolff; Paura, Trump alla Casa Bianca, di Bob Woodward; Collusion, Come la Russia ha aiutato Trump a conquistare la Casa Bianca, di Luke Harding; Fascismo, di Madeleine Albright). Luke Harding accompagna il lettore alla scoperta di tutti i particolari non dicibili e inquietanti della vicenda «Trump – Russia», un evento di tale portata da coinvolgere spionaggio mondiale, banche offshore, i dissidenti avvelenati, la pirateria informatica e le elezioni più sconvolgenti di tutta la storia americana. Il risultato dell’inchiesta di Harding è un atto di denuncia esplosivo, che ha portato allo scoperto il più grande scandalo politico dell’era moderna. La Russia sta sovvertendo a proprio vantaggio l’ordine mondiale e la democrazia americana. È una questione che ci riguarda tutti. Se non fosse stato per il coraggio e l’onestà intellettuale di Luke Harding, gli americani, e il resto del mondo, non avrebbero mai saputo che razza di individuo ha governato l’America per quattro anni, e vorrebbe rifarlo di nuovo. Trump e il suo vice Vance sono in questo momento storico le maggiori minacce alla democrazia americana. E Bob Woodward, con il suo Paura, afferma che «si è verificato niente di meno che un colpo di Stato Amministrativo. Un collasso nervoso dei vertici esecutivi della nazione più potente al mondo». Fuoco e Furia, di Michael Wolff, è un altro di quei libri-inchiesta che Trump ha cercato invano di bloccare. Noi, invece, abbiamo giornalisti che scrivono sotto dettatura, per i quali “tutto va bene madama la marchesa”, per i quali Meloni è il politico più amato d’Italia, che ha risollevato le sorti della Nazione, dove sono diminuiti l’immigrazione clandestina e i morti in mare, dove la sanità pubblica è un’eccellenza, ma dove purtroppo molti muoiono perché non hanno i soldi per accedere a questa “eccellenza”, dove le grandi e tremende stragi di destra, che hanno insanguinato l’Italia, sono state opera dei palestinesi e fanno anche parte del teorema contro la Destra (Federico Mollicone dixit). Insomma certa stampa italiana così come quella straniera è diventata molto spesso una fazione politica e non una voce libera e indipendente; una fazione che scrive deformando i fatti per tirare acqua al mulino del “padrone”. Ci sono delle eccezioni – poche – ma lasciamo ai nostri lettori di rendersene conto da soli. Il tanto decantato Quarto Potere (conio di Edmund Burke, 1787), protagonista dell’indimenticabile film di Orson Welles del 1941, è ormai l’ombra di se stesso. Rimane una domanda cruciale a proposito di Trump, ovvero, una volta smascherate tutte le sue indicibile malefatte e la sua assoluta povertà etica e morale, come possono gli elettori americani rivolerlo alla guida del Paese? La risposta è sempre la stessa: «Ogni popolo ha il governo che si merita» (Joseph De Maistre, 1811).

1 commento su “Giornalisti o pennivendoli?”

  1. Elio Mottola

    Caro Sergio, condivido come sempre le tue opinioni, chiare, documentate ed esaurienti, com’è ormai d’abitudine. Mi permetto soltanto di chiosare l’affermazione di De Maistre da te opportunamente richiamata, rilevando che in Italia, fin quando sussisteranno nel sistema elettorale le liste bloccate e le candidature plurime riusciremo ad avere un parlamento e quindi un governo peggiori di quanto non ci meritiamo.

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