Sin dall’insediamento del Governo Meloni abbiamo visto agitare da Fratelli d’Italia il vessillo della lotta all’egemonia culturale della sinistra. Nel giro di qualche mese si è passati dalle parole ai fatti e le cronache ci hanno raccontato della dipartita volontaria o dell’estromissione di personaggi non graditi dalla TV pubblica, dalle cerimonie di assegnazione di premi letterari e dalla direzione di festival, rassegne cinematografiche ed eventi culturali vari.
Le interviste ed i commenti critici che stanno accompagnando questa “sostituzione culturale” rivelano che il suo scopo è e rimane quello di recuperare una identità nazionale perduta o almeno sbiadita dalla prevaricante cultura di sinistra.
Nell’impossibilità di conoscere e ricordare il contenuto di tutte le domande rivolte a chi vuole realizzare questa rivoluzione e delle risposte ricevute dall’intervistato di turno, nasce spontanea una domanda: qualcuno di loro ci spiega cos’è questa egemonia e come si manifesta?
Poiché tutto il “pacchetto” sembra oggi affidato al fiero ministro Sangiuliano, è a lui che vorremmo rivolgere qualche domanda. Prima però proponiamo alla sua attenzione una semplice osservazione: nelle sue esternazioni il Ministro ha richiamato le figure di Dante, cui ha affibbiato una posizione politica di destra, Cristoforo Colombo e Galileo Galilei. Sangiuliano, che è Ministro della Cultura ma anche persona colta, saprà certamente che Dante, Colombo e Galilei sono alcuni dei pilastri della cultura occidentale. O sospetta che all’estero siano sottovalutati rispetto, per esempio, a Shakespeare a Isaac Newton ed alle tante menti brillanti provenienti da tutti i paesi europei e talvolta anche da più lontano? Sangiuliano sa che la “Gioconda” è il quadro più ammirato del mondo (e magari sotto sotto vorrebbe pure riportarlo nella nostra amata Patria)?
Lasciando momentaneamente da parte i giganti del passato, egemoni culturalmente su quasi tutto il pianeta, l’impressione è che Sangiuliano e i suoi mandanti individuino i protagonisti dell’egemonia culturale di sinistra in Scurati, Saviano, la Murgia e Geppy Cucciari oppure in quei registi cinematografici che sprecano il contributo di Rai-Cinema in produzioni di scarso successo. Ai loro occhi saranno certamente da ridimensionare anche i più seguiti editorialisti della stampa italiana come Ezio Mauro, Aldo Cazzullo, Massimo Giannini e i tanti altri criticoni radical chic che scrivono sui “giornaloni”.
Possibile che la perniciosa egemonia culturale nella visione di Sangiuliano si riduca a così pochi nomi? A meno che il nostro loquace Ministro non vi includa, pur senza nominarli, scrittori come Pasolini, Moravia, Pavese o registi come Rossellini, Antonioni, Fellini o autorità indiscusse come Umberto Eco, tutti autori che hanno dato lustro alla Patria e sulla scia dei quali si muovono oggi registi come Sorrentino, Garrone e Martone apprezzati e premiati anche all’estero. Lustro alla patria che hanno dato personalità di valore internazionale come Rita Levi Montalcini, Carlo Rubbia, Renzo Piano e cioè, solo per citarne alcuni, nominati per questo senatori a vita, qualifica che la riforma Meloni non a caso vuole sopprimere compiendo, per la verità, un gesto di grande onestà intellettuale: dove li troverebbe nell’area di destra personaggi di levatura confrontabile con i nomi richiamati? Buttafuoco? Veneziani? Tremonti? Brunetta? O direttori responsabili di testate amiche come Alessandro Sallusti, Mario Sechi e Maurizio Belpietro?
La nostra impressione è che l’egemonia culturale della sinistra sia un’invenzione dei neofascisti. Vale la pena ricordare che al “Manifesto degli intellettuali fascisti”, redatto dal filosofo Giovanni Gentile, aderirono, sia pure provvisoriamente, figure come Pirandello, Marinetti, Malaparte, artisti tuttora presenti a pieno titolo nella “cultura dominante” che, vorremmo Sangiuliano lo comprendesse, è la cultura dominante “tout court”, né di destra né di sinistra.
Ci riterremmo comunque soddisfatti di sapere su quali artisti, scrittori e pensatori Sangiuliano ritiene possa fondarsi la “nuova cultura” a lui gradita. A noi pare di capire che il Ministro non possa che contare sul “Vate” D’Annunzio, da tempo trascurato in Europa ma che compare tuttora in qualche antologia ad uso scolastico e proposto agli studenti solo da qualche docente nostalgico e misticheggiante. Sai che successo otterrebbe la messa in scena de “La figlia di Iorio” al Piccolo di Milano, tempio teatrale dell’Italia liberata! Alla prima vedremmo qualche ministro, Sangiuliano in testa col suo codazzo, mentre alle repliche i presenti annovererebbero solo qualche curioso.
In realtà l’egemonia culturale della sinistra, nell’ottica storicamente distorta della destra neo-fascista, altro non è che l’avversione a Mussolini, al suo eroe tradito che dichiarava di voler riportare in auge lo splendore dell’antico impero romano mentre in realtà mirava a blindare il proprio potere nato, come quello nazista, dal terrore montato intorno all’ideologia marxiana ed alle sue applicazioni concrete, talvolta violente. Insieme al suo sodale Hitler, il Duce e tutto il ciarpame ideologico che si portavano dietro sono stati cancellati dalla cultura occidentale sin dall’immediato dopoguerra: neo-nazisti e neo-fascisti ne pretendono la riabilitazione consapevoli che sarebbe una inversione a 360 gradi della storia del ‘900
Le nostre domande puramente teoriche resteranno, com’è giusto, senza risposta e, preso atto che il Governo vuol mettere le mani proprio sul “Piccolo” di Milano (nel Consiglio d’amministrazione c’è già un figlio del patron La Russa), assistiamo increduli all’assalto di Sangiuliano ai teatri lirici, già avviato con l’imposizione del direttore artistico della Scala di Milano. Cosa succederà con “La Fenice” di Venezia, il “San Carlo” di Napoli, il “Bellini” di Catania e il “Petruzzelli” di Bari quando avranno, una volta approvata questa riforma apparentemente marginale, un consiglio di amministrazione prono alle scelte governative? Dubitiamo che ne facciano le spese Verdi, Puccini, Donizetti e Rossini: saranno messi da parte gli autori di opere classificate da Goebells come “arte degenerata”, come Schonberg e Berg, sostituiti dal ripescaggio di qualche opera minore di autori come Mascagni e Respighi ben visti dal Regime. In realtà la missione “teatri lirici” così come tutte le manovre iscritte sotto la voce “rinnovamento culturale” non è che il tentativo di orientare l’opinione pubblica italiana verso i valori fatui del Ventennio, finalità dietro la quale, in perfetta linea con quanto succedeva nell’Era Fascista, si cela unicamente lo scopo di soggiogare gli italiani ad un regime contrabbandato come una rivincita sovranista.
L’articolo mette in luce un preoccupante clima d’odio alimentato dalle destre, specialmente da parte del governo Meloni e del suo entourage. Questo “vessillo della lotta all’egemonia culturale della sinistra” si traduce in una crescente intolleranza nei confronti di voci e idee diverse, sfociando in pratiche di esclusione di figure culturali che non si allineano con la visione del governo. L’idea di una “sostituzione culturale” non rappresenta solo una battaglia ideologica, ma un tentativo di ripristinare una narrazione univoca e omogenea che tende a soffocare la pluralità e la ricchezza della nostra identità culturale.
L’approccio della destra, che si fonda su un’interpretazione distorta della storia e un’ossessione per un passato idealizzato, mira esplicitamente a cancellare qualsiasi traccia di dissenso o diversità, relegando i nomi citati dall’articolo a un arrogante ostracismo.
La denuncia di un’“egemonia culturale di sinistra” appare quindi come una semplice strategia per giustificare il controllo e la censura, anziché una reale preoccupazione per la cultura nazionale. In questo clima di odio, artisti e intellettuali si trovano costretti a rientrare in schemi precostituiti, mentre la vera ricchezza della cultura italiana viene messa da parte in nome di una presunta superiorità ideologica.
Complimenti maestro Mottola, l’articolo evidenzia come una concezione ristretta e autoritaria della cultura da parte delle destre stia non solo minando il pluralismo, ma rischiando di riportarci a un’epoca in cui il pensiero libero era visto con sospetto, se non apertamente perseguitato.