Gesù di Nazareth: mito o realtà?

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Uno dei personaggi più famosi degli ultimi duemila anni, e probabilmente il più famoso, è certamente un ebreo conosciuto universalmente come Yehoshua ben Yosef, Gesù figlio di Giuseppe della stirpe di David. Per miliardi di credenti, nei venti secoli trascorsi dalla sua nascita, egli è Dio, o meglio, il figlio di Dio e la seconda persona della triade divina: Padre, Figlio e Spirito Santo. Nella narrazione che fanno di lui i Vangeli, quest’uomo, un predicatore itinerante, inizialmente seguace di Giovanni il Battista, fu messo a morte durante il regno di Tiberio Cesare, e tre giorni dopo la sua sepoltura, risorse e fu assunto in cielo alla destra di Dio Onnipotente, suo padre.

Su Gesù Cristo, cioè Gesù il Messia (la parola messia deriva dall’ebraico Mashiah, “il consacrato”, ed in greco fu tradotta con Christòs, l’Unto) sono stati scritti migliaia di volumi, ed è in seguito alla sua morte che dallo sparuto gruppetto dei suoi seguaci ebbe origine la religione conosciuta come Cristianesimo; religione in realtà non fondata da lui, che non ne aveva avuto mai la minima intenzione, ma da un uomo che non lo aveva mai conosciuto in vita, il fariseo Saulo di Tarso, noto come Paolo.

Sulla storia, sulla figura di Gesù, su chi fosse in realtà, addirittura se fosse realmente esistito, si sono cimentati molti nomi illustri. Come non menzionare Hegel, o Strauss, o Feuerbach, Pascal, con le loro “Vite di Gesù” e, in tempi più recenti, Ernest Renan, Rudolf Bultmann e tanti, tanti altri. Che la nascita di quest’uomo, nel villaggio ebraico di Nazareth, abbia rivestito, e rivesta, un’importanza eccezionale nella storia dell’Occidente, è dimostrato, anche, dal fatto che pure il tempo è stato modificato; la storia si è spaccata in due: “avanti Cristo” e “dopo Cristo”. Se, però, qualcuno volesse farsi la domanda cruciale circa cosa è cambiato sulla Terra fra il “prima” e il “dopo”, onestamente si è costretti a riconoscere che ogni cosa è rimasta com’era prima. Gli uomini si uccidono ancora con le guerre, come tremila, duemila, mille anni fa, e oggi più che mai; la malvagità, l’egoismo, la crudeltà, le ingiustizie, le prevaricazioni, le disuguaglianze allignano esattamente come nei millenni precedenti. All’atto pratico, che Gesù sia venuto al mondo o meno non ha fatto la minima differenza nella Storia, per lo meno nella storia del mondo occidentale, nel quale sono germogliate decine di religioni diverse, tutte portanti il suo nome. Nel mondo islamico, in quello indù, in quello asiatico, così come nella maggior parte del continente africano non colonizzato e convertito forzatamente dalle potenze coloniali, la figura di Gesù Cristo non ha mai avuto rilevanza, ed anche presso di loro la vita, nel trascorrere dei millenni, prosegue invariata come in Occidente, con tutte le sue asprezze connaturate con la natura umana.

In uno dei sessantamila (circa) testi pubblicati sulla biografia di Gesù, autori Corrado Augias e Mauro Pesce, dal titolo “Inchiesta su Gesù”, il sottotitolo così recita: “Chi era l’uomo che ha cambiato il mondo”. I molti libri di Augias e Pesce sono degli eccellenti ausilî per conoscere profondamente il testo biblico e le sue storie, eppure mi permetto di dissentire riguardo all’affermazione che Gesù “ha cambiato il mondo”. Abbiamo infatti visto che il mondo, negli ultimi duemila anni non è cambiato nemmeno in minima misura per quanto riguarda gli effetti che avrebbe dovuto avere la breve missione terrena di Gesù. È vero che il mondo è cambiato profondamente sotto molteplici aspetti, ma certamente non lo sono gli esseri umani, ovvero i destinatari di quella predicazione che avrebbe dovuto cambiare quelli che lo ascoltarono e le generazioni successive. Sappiamo, anche, dalla Storia documentata che, proprio nel suo nome, le grandi religioni “cristiane” hanno compiuto crimini la cui efferatezza non è minimamente paragonabile alle efferatezze precedenti la nascita del “Salvatore”. Stragi, genocidi, stermini, inquisizioni, roghi, torture, tutti effettuati nel nome di Gesù Cristo “il Principe della Pace”.

Prima di proseguire, desidero precisare che la mia personale convinzione sull’esistenza reale di Gesù – sebbene non rivesta particolare importanza – è la stessa espressa da uno dei più grandi studiosi moderni del Nuovo Testamento, Bart Ehrman, che, in un libro veramente prezioso intitolato “Gesù è davvero esistito?”, in chiusura afferma lapidariamente: “Gesù è esistito, piaccia o no”. In questo è stato preceduto da un grande teologo del XX secolo, Rudolf Bultmann, che dedicò parte della sua opera a parlare della figura di Gesù, e nella prefazione al suo libro intitolato “Gesù”, troviamo: “Certo il dubbio che Gesù sia veramente esistito è infondato e non merita di essere confutato … Ma è un’altra questione quella di sapere fino a qual punto la comunità ha conservato in maniera oggettivamente fedele l’immagine di lui e della sua predicazione

Che, quindi, l’uomo nella sua fisicità di carne, sangue, muscoli, l’uomo che circa duemila anni fa percorse la terra d’Israele, parlò alle folle, lanciò uno straordinario messaggio e finì su un patibolo infame, sia davvero esistito non è revocabile in dubbio. Su Gesù sono proliferate nei secoli molte leggende e alcune autentiche fiabe, segno della curiosità – ma forse si potrebbe dire dell’ansia – di sapere chi fosse lui veramente prima che il mantello della teologia lo coprisse, celandone allo sguardo la figura storica. Il profilo del Gesù storico, al netto del mito che nei secoli lo ha alonato di misticismo, di divinità, di potenza, di miracoli, è quello di un ebreo, ligio alla legge di Mosè, amante del suo popolo e delle sue tradizioni, eppure aspramente critico verso gli aspetti che giudicava «superati» o «secondari» e, soprattutto, portatore di un progetto di rinnovamento incentrato sul riscatto degli emarginati; una personalità complessa, mai svelata per intero nemmeno a chi gli era più vicino, una figura profondamente solitaria, coerente con i suoi principi fino alla morte in croce. Ecco, questo era Gesù di Nazareth: un uomo del suo tempo, un uomo pieno di ideali, come tanti altri prima e dopo di lui, disposto a cedere la sua vita per essi, ma nient’altro che un uomo. Non era più figlio di un dio di quanto non lo fossero quelli che gli stavano intorno, né risorse da morti, come non è mai accaduto nella storia umana. Non ritornerà a purificare, salvare e restaurare il mondo, come predicatori da strapazzo e grandi religioni insegnano da sempre. Gesù è morto duemila anni fa, ed è morto per sempre. Se, quindi, non vogliamo fargli torto, dovremmo spogliare la sua figura dalle mitizzazioni e mistificazioni che le si sono accumulate sopra nel corso dei secoli, perché ci venga restituito il Gesù “originale”, quello vero, che nacque, visse e morì in Palestina duemila anni fa.

Mi sembrano pertinenti le parole del grande Ludwig Feuerbach, il cui saggio “L’essenza del Cristianesimo”, costituisce una lettura essenziale per comprendere chi fosse realmente Gesù. Feuerbach è anche noto per il suo motto, da me pienamente condiviso, che: “Non Dio ha creato gli uomini, ma gli uomini hanno creato Dio”. E Feuerbach, in piena sintonia con quanto abbiamo detto sulla disumanità delle religioni, nell’ultimo capitolo della sua opera, scrive: “Quando la morale viene fondata sulla teologia, e il diritto su un’autorità divina, le cose più immorali, più ingiuste e più vergognose possono avere il loro fondamento in Dio ed essere giustificate. Il grido «Dio lo vuole!» era servito a giustificare le guerre più feroci, le più crudeli condanne”.

In effetti si può dire, con una quantità ridondante di supporti storici, che esistono due Gesù: quello vero, della storia, semplice giovane giudeo, pieno di ideali, deciso a riportare la fede d’Israele ad una sua “purezza” primigenia. Poi, esiste il Gesù del mito, creato da chi gli è succeduto, in particolare la chiesa cattolica, che ne ha stravolto completamente l’identità, rendendolo ciò che lui non fu mai. Potremmo domandarci: come si sentirebbe Gesù se lo collocassimo al centro di piazza San Pietro e vedesse l’incommensurabile ricchezza di marmi, statue, opere di pregio, dimore lussuose, un esercito di guardie e di soldati, e dove all’interno del magnifico edificio centrale vivesse un uomo, chiamato il “Vicario di Cristo”, il Papa, la cui figura, per secoli, è stata magnificata, riverita, temuta, adorna di vesti principesche con una tiara preziosissima sul capo, le cui leggi e direttive erano legge per imperatori e re del mondo antico, e la cui parola e dottrina, ancor oggi, è considerata “infallibile”. Un uomo circondato da uno stuolo di cardinali, arcivescovi, vescovi, preti, la cui vita è distante anni luce da quella di Gesù, e i cui insegnamenti sono la negazione totale dei suoi. Una chiesa che ha divinizzato una semplice donna giudea, inventando dogmi, cioè verità che devono esser credute solo perché lo dice la Chiesa, una donna che, miracolosamente, divenne “l’immacolata concezione”, cioè una donna che, diversamente da tutti gli abitanti, passati, presenti e futuri della Terra, nacque senza lo stigma del “peccato originale”. Una donna che sempre la stessa chiesa ha ordinato di considerare sempre vergine, anche dopo la nascita del suo primogenito, e di una pletora di altri figli e figlie, che sarebbero nati lasciando intatto il suo santissimo imene. Ecco con quali parole la Chiesa ha stabilito questo dogma: “la Beatissima Vergine, nel primo istante della sua concezione, per singolare grazia e privilegio concessole da Dio Onnipotente, in previsione dei meriti di Gesù Cristo, Salvatore del genere umano, fu preservata immune da ogni macchia di peccato originale” (bolla Ineffabilis Deus). [Enciclopedia Cattolica, Città del Vaticano, volume VI, p. 1651]. Quindi, una fantasticheria (immacolata concezione) tratta da un’altra fantasticheria (il peccato originale). Ma poiché si tratta di dogmi, bisogna accettarli senza esitare, poiché, sempre per la stessa Enciclopedia, il significato di dogma “è quello teologico e tecnico odierno di una dottrina rivelata da Dio e proposta come tale dalla Chiesa con la garanzia dell’infallibilità”. Come giustamente fanno osservare Augias e Pesce nel loro “Inchiesta su Gesù”: “Ed è un fatto che solo alcuni testi antichi sostengono la nascita verginale di Gesù, circostanza che fa pensare come, all’inizio del movimento, la straordinaria condizione di sua madre non venisse considerata abbastanza verosimile o importante, o entrambe le cose. Una verginità conservata dopo il parto è talmente fuori dell’ordine naturale che, se in qualche modo fosse stata non si dice accertata, ma anche solo largamente condivisa, tutti i testi avrebbero dovuto segnalarla”.

Dobbiamo avviarci alla conclusione, con l’impegno che cercheremo nel prossimo futuro, e se l’argomento è di interesse per i nostri lettori, di ampliare un discorso su questo personaggio che la Storia ci ha consegnato, e sul quale ci sono moltissime cose da dire. Le parole con le quali Mauro Pesce conclude il libro scritto insieme ad Augias, mi sembrano pertinenti anche per la nostra conclusione: “Gesù era un ebreo che non voleva fondare una nuova religione (ci pensò Paolo). Non era un cristiano. Era convinto che il Dio delle Sacre Scritture ebraiche stesse cominciando a trasformare il mondo per instaurare finalmente il suo regno sulla terra. Era del tutto concentrato su Dio e pregava per capire la sua volontà e le sue rivelazioni”. “Gesù si sbagliava. Si sbagliò su molte cose. La gente non vuole sentirselo dire ma è vero … Gesù era un ebreo del I secolo e, quando cerchiamo di farlo diventare un americano del XXI, ne falsiamo le caratteristiche individuali e le convinzioni” (Bart Ehrman, Gesù è davvero esistito? Mondadori 2013).

La mia conclusione è che i peggiori nemici di Gesù non sono gli atei, gli agnostici o i non credenti, che ne rispettano la vicenda umana, come quella di un giovane idealista del suo tempo che voleva cambiare il mondo e fallì; no, i veri nemici di Gesù Cristo sono le chiese – in primis la Chiesa Cattolica – che sono state fondate nel suo nome e ne hanno tradito per millenni il messaggio e la figura. Speriamo di poterne parlare ancora un’altra volta.

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