I numeri della politica

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Nelle democrazie parlamentari come la nostra, espletate le elezioni, si forma una maggioranza alla quale il governo chiederà la fiducia. Quello dei rappresentanti scelti dal popolo sovrano è senza alcun dubbio il fulcro del sistema democratico delineato dalla nostra Costituzione. Ci sarebbe da discutere sulla capacità della legge elettorale di essere realmente rappresentativa e, da questo punto di vista, un sistema proporzionale senza sbarramenti di sorta sarebbe certamente il più corretto.

In Italia i due terzi dei parlamentari vengono eletti col sistema proporzionale e l’altro terzo col maggioritario che è in sé meno rappresentativo perché esclude le minoranze. Ma è l’astensionismo crescente il primo fattore che mette in crisi la centralità dei risultati elettorali e della maggioranza di governo. Alle ultime elezioni politiche ha votato il 63,91% degli italiani: alla luce di questo dato il partito della Meloni, che le ha vinte col 25,96% nel proporzionale, è stato votato da 16,6 italiani su 100. Diciamo subito che proclamare in base a questo esito che “gli italiani sono con noi” o altre espressioni equivalenti è del tutto arbitrario: cosa ne facciamo degli altri 83,4? La maggior parte di loro ha preferito altri partiti ma gli astenuti, pari a 36,1 rappresentano la scelta più consistente di qualunque altra. Ed invece tocca ormai da anni, mutatis mutandis, ascoltare il leader del partito vincente arrogarsi il diritto di rappresentare la volontà di tutti gli italiani in essi compresi quelli dei partiti sconfitti e degli astenuti, cioè dell’intera “nazione”.

Al momento la dimensione dell’astensionismo, peraltro elevatissima anche in numerosi paesi democratici, non inficia la natura democratica del governo espresso dagli esiti elettorali. E tuttavia la base parlamentare che sostiene il Governo potrebbe essere considerata insufficiente rispetto a decisioni di importanza capitale specie se non condivise dal resto del Paese. Questo perché anche gli astenuti esprimono tendenze, come ci dicono i tanti sondaggi di opinione. Ma i sondaggi non hanno effetti concreti immediati: possono soltanto, per chi voglia raccoglierne il senso, indicare quali sono le scelte più condivise. Prendiamo ad esempio quello relativo alla permanenza dell’Italia nell’Unione Europea. L’Eurobarometro Standard 100, organismo che raccoglie gli orientamenti dei paesi europei fin dal 1974, nell’ultimo rapporto relativo all’Italia dell’autunno 2023 ci dice, tra l’altro, pur in un momento di fiducia calante nell’UE, legata all’inflazione ed alla immigrazione, che gli italiani vedono con favore l’ampliamento delle decisioni prese al livello dell’Unione Europea. La maggioranza è ottimista sul futuro dell’UE e ritiene che l’Italia sia presa in giusta considerazione a Bruxelles.

Queste aspirazioni non sono però coltivate da due dei partiti di governo, FdI e Lega, e lo certifica la decisione di astenersi dalla conferma della Von Der Leyen alla Presidenza della Commissione. Decisione presa dalla premier Meloni in dissenso da Forza Italia e, ovviamente, dalla Lega in versione “patriottica” che l’Unione Europea vuole sostituirla con una non meglio identificata ma improbabile alleanza di stati sovranisti.

La scelta della Meloni, benché confortata da un sondaggio che vede momentaneamente il suo partito in leggera crescita, è stata evidentemente presa non in quanto Premier del Governo italiano ma come leader del suo partito: scelta quindi divisiva sia all’estero che sul terreno nazionale. Non sapremo mai se, nel travagliato percorso che ha portato la Meloni a non votare per la Von Der Leyen, la Premier abbia ritenuto necessario ascoltare, oltre alle opinioni della sorella, del cognato, di Fazzolari e di Mantovano, anche quella di Mattarella. Riteniamo di no, perché il Presidente, quale unico rappresentante dell’unità nazionale (art. 87 della Costituzione) le avrebbe fatto presente che riconfermare la presidente tedesca era negli interessi degli italiani, in larga misura favorevoli alla presenza del nostro Paese nella Comunità. Se invece l’orientamento presidenziale è stato richiesto ma scartato, vuol dire che la Meloni si sta giocando la sua personale partita di leader di FdI, altro che “gli italiani sono con noi”.

D’altra parte non ci risulta che le opinioni, i moniti, i richiami del nostro Presidente, dettati puntualmente dalla saggezza, dalla moderazione e dalla correttezza istituzionale, siano mai stati presi in seria considerazione da Meloni & Co. E succederà anche per l’ultimo duro richiamo alla libertà di stampa la cui limitazione è un atto eversivo. Cosa potrà mai succedere quando l’astensionismo si avvicinerà o supererà la soglia del 50%? Specialmente se dovesse malauguratamente passare la riforma costituzionale del premierato? Sono domande inquietanti perché accanto al possibile sforamento dell’astensionismo oltre il 50% fanno intravedere la creazione di premi di maggioranza esorbitanti con la conseguenza che la guida del Paese venga in futuro affidata ad un partito o ad un’alleanza votati solo da una decina di italiani. Per prevenire tale nefasta prospettiva occorre non solo scongiurare l’avvento del premierato ma anche intraprendere urgentemente la lotta per reintrodurre le preferenze, strada maestra per invertire il corso del fenomeno dell’astensionismo.

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