Napoletanità e mistero: la liquefazione dei sette sangui

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Antonio Nacarlo, Xilografia di san Gennaro

Pasolini definì i napoletani “una tribù in via d’estinzione per non aver accettato il menzognero progresso imposto dal consumismo”. A ben vedere forse aveva ragione il poeta friulano. L’attuale conformarsi alla “modernità” – rinnegando le proprie radici profonde: cattoliche, misteriche, superstiziose, quasi tribali – sta facendo scomparire la Napoletanità con la “N” maiuscola. Il tutto a favore di un appiattimento globalizzante, dove l’irrazionale è etichettato come stupido, reazionario, oscurantista. Ebbene, in una città che “sopravvive per scommessa” da quasi trenta secoli, tra il Vesuvio e il complesso vulcanico dei Campi Flegrei, tra vecchi sismi e nuove pandemie, sembra egualmente logico affidarsi ai 52 Santi protettori non prescindendo dai progressi della Scienza e della Tecnologia.

Premessa personale fatta perché in questo articolo parleremo dell’irrazionale, meglio, tratteremo la storia di quegli altri sette Santi che operano lo stesso prodigio del più mediatico San Gennaro: la liquefazione del sangue. Con buona pace del dottor Garlaschelli del CICAP e della sua sostanza tissotropica “simil-sangue” che, nelle intenzioni, darebbe spiegazione scientifica al presunto miracolo “gennarino”, considerando che non tanto clamore ebbe il medesimo esperimento, riuscito al principe alchimista Raimondo De Sangro, quasi tre secoli prima, nel 1751.

Un pellegrino secentesco definì la città di Napoli “Urbis Sanguinum” (città dei sangui), in riferimento alle reliquie ematiche prodigiose dei Santi: Giovanni Battista, Lorenzo, Pantaleone, Patrizia, Luigi Gonzaga, Alfonso Maria de Liguori. Nel passato, oltre per il presunto valore taumaturgico, le reliquie venivano considerate fonte di potere e moneta di scambio per gli istituti religiosi che le possedevano. Trovarne una simile abbondanza in un’unica città ci dà la dimensione dell’importanza della capitale partenopea. Narreremo di come i “sacri resti” sono giunti in città, le fonti agiografiche e i posti che li ospitano.

Secondo gli scritti del sacerdote agostiniano Zambrano le reliquie di San Giovanni furono portate in città da Carlo II d’Angiò scortato dai Cavalieri Templari della Commenda francese di Bernos. Gli stessi Templari che le avevano recuperate in Terra Santa durante le crociate e riportate in Francia nel XIII secolo, esponendole alla venerazione nella Canonica dedicata al santo nel paese di Lignan-de-Bazas. Le reliquie (tre ampolle di sangue e un osso della spalla) furono donate al re Carlo I dal commendatore Templare Amauri de la Roche, dopo la vittoria conseguita nella battaglia di Benevento nel 1266. Un’ampolla fu collocata nella basilica paleocristiana di Sant’Arcangelo a Baiano, in onore a San Michele, comandante delle Milizie Celesti. La seconda fiala di Sangue fu donata dalla Regina Giovanna (sorella di Carlo II) al suo amante, il potente connestabile del regno, Sergianni Caracciolo. Il nobile partenopeo affidò la reliquia ai monaci di San Giovanni a Carbonara, chiesa dove sorge il meraviglioso suo monumento funebre. La terza ed ultima ampolla fu portata in dote al convento di Donnaromita da una discendente del casato angioino che ivi prese il velo monacale.

Per una serie di vicissitudini storiche le tre ampolle col sangue del cugino di Cristo furono riunite nel Convento di San Gregorio Armeno. Infatti il convento di Sant’Arcangelo a Baiano fu soppresso a causa delle accuse di condotta immorale e delittuosa mosse alle monache (cfr. Benedetto Croce, Storie e leggende Napoletane). Per lo scioglimento degli Agostiniani chiuse il Convento di via Carbonara, mentre le suore di Donnaromita si riunirono alle loro consorelle, nella chiesa di San Gregorio Armeno, nel 1828. La prima liquefazione del sangue di San Giovanni Battista è documentata e datata al 29 agosto 1554, data in cui il martirologio romano ricorda la decollazione del Santo. Raccontano le cronache che immenso fu lo stupore dei presenti quando videro il sangue raggrumato da secoli ritornare vivo e rosso scarlatto. Prodigio che si rinnova ancora, il 29 di agosto, nella Chiesa di San Gregorio Armeno.

Nella stessa incantevole perla del barocco napoletano sono conservati, tra altre innumerevoli reliquie, resti mortali di Santa Patrizia ed il suo sangue miracoloso. L’agiografia della Santa narra che Patrizia, nipote dell’imperatore Costantino, scappò da Bisanzio per non dover contrarre matrimonio. Partì alla volta di Roma per ottenere dal Papa la consacrazione monacale. In viaggio poi per la Terra Santa morì naufraga sull’isolotto di Megaride il 25 agosto 685, all’età di 21 anni. In fama di santità già in vita, fu trasportata sul colle di Sant’Aniello a Caponapoli, dove sorse una chiesa in suo onore. Le spoglie furono traslate nella Basilica di San Gregorio alla fine dell’Ottocento, per permettere la costruzione delle Cliniche Universitarie della Federico II. Tutti i martedì dell’anno e ogni 25 agosto si compie il prodigio della liquefazione del sangue della Santa. Sangue che, narra la leggenda, fu raccolto in un lacrimatoio due secoli circa dopo la sua morte. Successe che un pellegrino furfante si nascose nella cripta per rubare una reliquia della Santa bizantina. Nella notte scassinò la teca di vetro e cercò di estrarre un molare dalla bocca della morta. Sangue vivo iniziò a sgorgare dalla ferita aperta. Una monaca accortasi del trambusto sorprese il sacrilego e raccolse la sostanza ematica. Il sangue si raggrumò, per tornare a liquefarsi ogni martedì successivo.

Ancora a San Gregorio Armeno è custodito il reliquiario con il sangue di San Pantaleone di Nicomedia (invocato dai giocatori accaniti del lotto e dalle vergini partenopee in cerca di un buon matrimonio). Pantaleone fu medico martirizzato sotto l’imperatore romano Galerio il 27 luglio del 305. Le reliquie (sangue e braccio) furono trasportate a Napoli da Costantinopoli da suore in fuga dalla rivolta iconoclasta del IX secolo. Il sangue del santo si è sciolto fino agli anni Cinquanta del secolo scorso. Altra reliquia del Santo, che continua a liquefarsi regolarmente, si trova nel Duomo di Ravello, “giardino incantato” della costiera come ebbe a definirlo Richard Wagner.

Le reliquie di San Lorenzo e la storia di San Gaudioso

Lorenzo venne martirizzato a Roma il 10 agosto 258, per aver rifiutato di omaggiare gli dei pagani venne arso vivo su di una graticola. Le sue reliquie sono sparse un po’ in tutto il mondo cristiano, quella napoletana è particolare perché appartenuta ad un altro Santo, San Gaudioso vescovo di Bitinia (Africa), che, costretto all’esilio dalla sua terra natale, approdò fortunosamente a Napoli dopo un estenuante viaggio su di una barca alla deriva. Portava con sé poche cose, tra queste il reliquiario contenente il sangue di San Lorenzo. Arrivato in città andò a vivere sui colli fuori dalle mura, prospiciente il vallone degli Eunostidi (l’attuale rione Sanità). Lì fondò il primo monastero basiliano sul suolo italiano. Quando morì nel 455 il suo corpo venne sepolto nelle catacombe della chiesa che ancora portano il suo nome. Il sangue di San Lorenzo, affidato alle clarisse napoletane nel XIV secolo, fu ospitato nella Basilica di Santa Chiara dove si compiva il prodigio della liquefazione nell’occasione del suo dies natalis (10 agosto). Durante l’occupazione nazi-fascista, Il 4 agosto 1943, un devastante raid aereo delle forze anglo-americane distrusse mezza Napoli. Nemmeno la chiesa di Santa Chiara restò indenne, centrata da diverse bombe incendiarie delle fortezze volanti, andarono in fumo gli affreschi di Giotto, le tombe dei re angioini, le arcate trecentesche di Masuccio, una svariata quadreria di opere dal XIV al XVIII secolo. La reliquia del sangue di Lorenzo, però, fu straordinariamente ritrovata intatta. Fu traslata nella chiesa a lui dedicata in Piazza San Gaetano, dove ancor oggi è esposta alla venerazione dei fedeli il 10 agosto, giorno del prodigio.

Il Sangue di San Luigi Gonzaga al Gesù vecchio

Figlio di Ferrante Gonzaga, primo marchese di Castiglione delle Stiviere, studiò Lettere, Filosofia e Scienze. Rifiutò a 17 anni la primogenitura e il titolo di marchese per entrare nella Compagnia di Gesù. Minato nella salute ma molto dedito alla carità, durante le epidemie di Roma del 1591, insieme a San Camillo de Lellis e altri correligiosi, si dedicò all’assistenza dei malati. Morì di sfinimento alla giovane età di 23 anni. Mentre il suo corpo fu ospitato nella chiesa Generale dell’Ordine Gesuita a Roma (dedicata a Sant’Ignazio di Loyola) parte del suo sangue, raccolto in un reliquiario, fu portato a Napoli dai confratelli. Il 21 giugno, ricorrenza della sua festività, il sangue iniziò a liquefarsi nella prima chiesa dell’ordine dei Gesuiti a Napoli dedicata al Santissimo Salvatore ma detta del Gesù Vecchio per distinguerla da quella omonima, sempre in città. A quanto si legge il sangue si sciolse fino alla fine degli anni Cinquanta del Novecento.

Alfonso Maria dei Liguori, Santo della Carità e fondatore della Congregazione del Santissimo Redentore, autore di opere letterarie, teologiche e di celebri melodie in lingua napoletana (Quanno nascette Ninno), fu proclamato Santo e Dottore della Chiesa da Papa Pio IX nel 1871. Il suo sangue fu prodigiosamente estratto vivo, due anni dopo la sua morte nel 1789, durante la ricognizione della salma. Si scioglieva regolarmente ogni primo di agosto nella cinquecentesca chiesa di Santa Maria della Mercede in via San Sebastiano. Fu trafugato e mai più ritrovato durante il sisma del novembre 1980. Alle persone che dicono “a Napoli nun fanno stà cuijeti manco ‘e Santi”, questo fatto potrebbe dargliene conferma. Ma, se leggiamo la biografia di Alfonso, non avrebbe considerato tale gesto un sacrilegio. Anzi sarebbe stato sicuramente felice di regalarlo al ladro, per il suo amore verso gli ultimi e per quello spirito di Carità che animò l’intera sua vita terrena.

Le reliquie dei santi e i loro prodigi, come la liquefazione del sangue, rappresentano una testimonianza della profonda e misteriosa fede che pervade la storia di Napoli. Mentre alcuni possono cercare spiegazioni scientifiche per questi fenomeni, oppure semplicemente negarli come superstizioni di un passato da eliminare, è importante ricordare che fede e scienza non sono necessariamente in contrasto. Come affermava John Polkinghorne, fisico delle particelle e teologo britannico del XX e XXI secolo: “Non esiste alcuna contraddizione tra la fede e la scienza, perché entrambe aspirano alla verità. La scienza ci mostra come funziona il mondo, mentre la fede ci dà il significato del perché il mondo funziona così.”

4 commenti su “Napoletanità e mistero: la liquefazione dei sette sangui”

  1. Mercedes Aguirre

    Articolo molto ben documentato e come sempre ricco di spunti interessanti. Ci conosciamo da tempo e una cosa però permettimi di chiedertela, tu sei credente?
    Non sono mai riuscito a capirlo…
    Complimenti professore!

  2. Raffaele Catania

    Antonio hai portato alla luce aspetti della città che molti, anche tra i napoletani stessi, potrebbero non conoscere, arricchendo così la nostra comprensione di questa straordinaria realtà urbana.
    Dimostri, inoltre, come la “Napoletanità” non sia un concetto statico, ma una realtà viva e in evoluzione, capace di abbracciare sia l’antico che il moderno.

  3. Antonio Nacarlo

    Preside la ringrazio per il “professore” ma ho solo insegnato a dei bellissimi bambini a disegnare e ad amare l’arte…
    Quando mi chiedono se sono credente, mi piace rispondere con le parole del Vangelo di Marco 9:24: ‘Credo; aiuta la mia incredulità!’ Questo verso riflette il mio atteggiamento verso la fede. Credo, ma riconosco anche le mie debolezze e i momenti di dubbi che non mancano nella vita di nessuno. Un caro saluto!

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